c a p i t o l o  vii

 

IN ZONA DI GUERRA

(marzo 1917 - ottobre 1918)

 

           

 

                                         B. dalla corrispondenza di ivan merz

 

 

            I. Dalle lettere di Merz a Nikola Bilogrivić.

 

            Le cartoline inviate dal fronte recano l'indirizzo del mittente: Kadett Asp. Merz Hans, Feldpost 369, Regimentsstab, Bergführer. Noi abbiamo indicato fra parentesi quadre la località dove, secondo il Diario di Ivan, egli si trovava il giorno in cui scrisse la cartolina.

 

                                                                           1

 

            (Zingarella), 29 aprile 1917.                   

 

            Mio caro Nina (Nicola),

            Sul lago agitato nella piccola barca gli apostoli si sono spaventati per la loro vita. Gesù era con loro, ma essi pensavano che Egli dormisse. Oh, come erano uomini di poca fede!

            Ed io, pur credendo tutto e sapendo che quel mare agitato è la vita e il pericolo di morte, mi spavento come se Dio mi avesse dimenticato e dormisse.

            Sono uomo di poca fede! Egli sa come andrò a finire, e allora perché ho ancora paura della morte?! E' una cosa miserabile!

            Poiché presso il reggimento non c'è un sacerdote cattolico oggi sono andato da quello ortodosso e ho condotto i miei ragazzi (ortodossi) alla Santa Comunione. Pensavo perfino di farLa anch'io, ma quando ho visto quell'atmosfera, decisi di aspettare e di non andare dagli Ortodossi. Benché io fossi andato privo di qualsiasi pregiudizio bosniaco, tuttavia mi sono sentito respinto dal sacerdote: gli manca un minimo di misticismo e di quella religiosità profonda. «E' difficile per noi sacerdoti (parlare), noi dobbiamo sempre dire la verità ed essere sinceri» (e noi non dobbiamo fare così?)... Non intendo con questo condannarlo, dico solo che questo è così caratteristico per i nostri preti ortodossi.

            Non puoi immaginare quanto mi dispiace che le Chiese siano separate; è proprio catastrofico l'effetto di questa divisione sull'umanità!

            Ancora qualcosa sui nostri bosniaci! Inorridisco quando sento i loro discorsi, i loro canti. Tutto è decadente nel senso peggiore, sentono e pensano in modo decadente. Mi sembra che ciò sia dovuto al cattivo influsso dei musulmani, i quali, in seguito alla rigidità delle loro leggi, hanno perduto ogni rapporto con la religione. Proprio perché hanno violato le norme più ordinarie (carne suina, alcool). Ritengo che il popolo che tanto bestemmia, non merita la libertà. Bisognerebbe fondare un ordine (=istituto) secolare con il compito di combattere la bestemmia.

            La guerra molto probabilmente non finirà presto; i popoli non hanno ancora capito che cosa è la vita e chi è Colui che regna lassù. Saluti ai conoscenti! Hans

 

                                                                           2

 

            (Zingarella), 1 giugno 1917.

                                                                                                                                                      

            Ivan ha ricevuto un opusciolo riguardante la conversione di una Serba e risponde all'amico:

 

            Caro amico,

            Mi hai procurato una grande gioia facendomi avere l'opuscolo sulla Đurđinka (Giorgina) Pavlović.[1] Non sapevo nulla di questo caso. Provo una grande gioia e conforto quando penso che non siamo ultimi. Quest'azione mistica della Grazia di Dio proprio in una Serba mi fa pensare che dall'ambiente cattivo come il loto si alza un'anima fiorente e santa.  Già prima l'avevo notato a Graz da tre soldati che durante il traffico sul corso si erano inginocchiati davanti alla porta chiusa della chiesa. Prega per la mia licenza, e la riceverò. Saluti. Ivo

 

                                                                           3

 

            (Zingarella), 14 giugno 1917.

 

            Carissimo,

            Ti ringrazio per l'ultima lettera. Peccato che non possa adesso venire a casa e leggere e tradurre quel piccolo lavoro. Più esperienza ho, più cresce il materiale. Lo capisci da solo che il titolo Novo doba è di troppo grande portata; lo sento di giorno in giorno perché vivo tra gli uomini, sulle cui spalle si svolge questo passaggio e che saranno davvero i primi uomini nel prossimo periodo.

            Osservando questi uomini nuovi ne vedo due gruppi tra i quali la guerra ha segnato abbastanza nettamente i confini: uomini della mistica e uomini del piacere. Questi ultimi sono la maggioranza e vivono veramente nel peccato, almeno non si vede in loro alcuna traccia dell'aspirazione alla propria perfezione. Pensano al cibo, al fumo, si gioca a carte e ci si compiace nelle bestemmie. Non pensano alla morte. Una gran parte apertamente bestemmia Dio e vuol dimostrare che Egli non esiste. (Ho notato che questi, non appena sentono un piccolo sparo, si nascondono e tremano come una verga, e quando non si spara più, la loro lingua trova le parole per giustificare questa vigliaccheria. E quando anche involontariamente ho sottolineato l'esistenza di Dio, subito con una certa paura dicono: «E se Lui esiste, allora...?» e si contraddicono). Non tutti questi atei vanno messi nella stessa classe, tutti però sono come certi morti che si muovono: molti hanno vedute abbastanza larghe, ma sono senza alcun entusiasmo. Tutto è così grigio, incolore, che uno si sente gelare il cuore pensando a queste anime umane.

            Di quegli uomini mistici non saprei raccontarti molto, perché essi vivono solitari, non si segnalano da nessuna parte, però quando li ho incontrati - una volta si è trattato di un contadino di Bjelina (Bosnia) - le nostre anime si sono infiammate e parlando dell'attuale società abbiamo sentito la vicinanza dell'Anticristo, così che ci venivano i brividi.

            Anche la mia vita interiore è una lotta continua e quando penso di aver raggiunto qualcosa e di essere arrivato ad un certo grado di perfezione cado in un peccato più grave. Non ho mai pace; una forza inesorabile mi spinge in alto, per un po' vado avanti e poi di nuovo scivolo terribilmente. Se Dio non fosse così buono e non avesse avuto misericordia di me ogni giorno, dopo tanti peccati, non so che cosa sarebbe accaduto di me. Perciò ti chiedo di pregare spesso per me perché l'uomo da solo non può fare nulla, deve dall'esterno venire l'Agens che lo ama e solleva.

            Quasi ho dimenticato Giorgina P. Anch'essa appartiene al "Novo doba" (=nuova epoca). Occorre con tutte le forze fermare l'azione di quei primi uomini. A tal fine sembra che la Provvidenza mandi uomini che, meglio di tutte le riforme, nel modo più semplice e più umile mostrano la via che bisogna percorrere. Đurđinka (Giorgina) è tale, e ce ne saranno altre ancora. - Sospendo la licenza. Saluti. Hans

 

                                                                                    4

 

            Bolzano, 22 marzo 1918.

 

            Caro Nina (Nicola),

            Ho scritto a Rebac...[2]

            Del Movimento cattolico non è più il caso di parlare. Tutto è esclusivamente un movimento nazionale, dove tutti seguono la politica dell'opportunismo. Uno mi disse che «nella politica non c'è sincerità». Così giustificano la loro tattica. Il Movimento oggi è una cosa del tutto diversa dal passato.

            Buona Pasqua alla mamma, alla sorella e a Te. Hans

 

 

            II. Dalle lettere di Ivan Merz al prof. Maraković.

 

            Il contenuto della corrispondenza Merz-Maraković è più ricco di argomenti, perché Ivan si interessa del lavoro letterario del suo ex-professore, esprime i propri giudizi sugli articoli pubblicati in "Hrvatska Prosvjeta", dà anche dei suggerimenti.

 

            Così nella lettera del 10 aprile 1917, tra l'altro, si interessa della continuazione del lavoro Ljudi naših dana (Uomini del nostro tempo), la cui prima parte era già stata pubblicata.

            «E' tempo che lo termini, ne sono particolarmente curioso. Veramente preferirei che Lei raccogliesse in un libro i Suoi lavori, in modo che se ne possa cogliere quel filo che li unisce. Su questi lavori sparsi nelle riviste nessuno si esprime, e questo è un peccato. E' necessaria la critica. Lei invece così lavora per se stesso: è Lei la critica di se stesso, per cui nessuno Le fa alcuna osservazione».

 

            Nella lettera del 19 maggio 1917 aggiunge:

            «Mi pare che Lei abbia l'intenzione di inserire in quel Suo libro anche la recensione del Padrone del mondo. Le faccio presente i Tre colloqui di Solovjev, dove pure il problema dell'Anticristo è trattato in forma di un racconto. E' molto interessante ed ha parecchi punti in comune con l'opera di Benson. Altrimenti, questi Tre colloqui sono molto simili alle Serate sul lago di Ginevra di Moravski".

 

            In una lettera non datata (giugno 1917?) Ivan scrive:

            «Non abbia timore per me. Se perisco, ciò sarà per puro caso. L'Italiano non spara molto ed io mi son costruito una casetta lontano dietro la linea del fronte, sotto una rupe. E' la prima volta che abito nella casa da me costruita: ha due grandi finestre che danno sul bosco di abeti, e dentro sul tavolo c'è Solovjev, Meško, Gorki, Krek e Tr. von Säckingen. La stanza è rivestita di carta gialla e due cartoline artistiche (non ne ho altre) ornano questa stanza e le danno vita... Ogni domenica faccio visita a Suljić. La sua casetta si trova proprio sulla linea e lì davanti alla caverna stiamo seduti e beviamo il tè. Spesso saliamo sul parapetto e attraverso le feritoie guardiamo le trincee italiane che si trovano un paio di centinaia di passi da noi».

 

            Il 3 settembre 1917 fa sapere al Maraković:

            «Non sono più presso il comando, ma già da alcuni giorni mi trovo nella trincea, dove ho assunto un plotone. Dicono che ritornerò al posto di prima non appena cadrà la neve!»

 

            L'11 dicembre 1917, dopo una lunga pausa, si fa vivo con una cartolina:

            «Ho attraversato per varie regioni; ho guardato il Triglav al chiaro della luna, che illuminava il Krn coperto di neve, siamo passati nelle zone estive (=più calde). Gli Italiani ci hanno accolto con allegria, mentre il nostro esercito ha depredato tutto quello che ha potuto. Ho visto bei libri e immagini (quadri), ma non ho preso nulla».

           

            Il 6 febbraio 1918  ringrazia per tre cartoline che

            «mi hanno rallegrato, perché mi hanno ricordato i tempi passati quando ero libero e decidevo da solo della mia sorte. Qui vivo di giorno in giorno, ascoltando continuamente punzecchia­menti, litigi per le decorazioni, derisioni sul conto dei superiori ecc. Non ho un vero amico, di amiche nemmeno parlarne. Marietta, Minetta, Assunta sono ragazze simpatiche - piene di vita e di salute, di entusiasmo momentaneo e di indole volubile - che tutto il giorno cantano canzoni popolari tristi e canzoni di guerra».

           

            Nella cartolina del 19 maggio 1918 informa il prof. Maraković:

            «Di nuovo mi trovo sul fronte all'altezza di 1300 m e ogni giorno guardo attraverso i monti la valle del Piave... Si spara abbastanza... Faccio il servizio di Gasschutzoffizier e Beobachtungsoffizier, per cui tutto il giorno osservo che cosa fanno gli Italiani. Ho poco tempo libero. Leggo il "Gral" e imparo l'italiano».

           

            Poco confortanti sono le notizie che Ivan comunica il 21 giugno 1918:

            «Tempo fa ho ricevuto le Sue cartoline artistiche. Non ho potuto subito risponderLe, perché ecco da qualche tempo abitiamo e languiamo in una certa prigione sotterranea e facciamo la vita di schiavi. (La barba e le unghie sono cresciute, il corpo è dimagrito così che ciascuno avrebbe bisogno di un montone arrosto e una tinozza di vino per rimettersi). Adesso non faccio niente; intorno a noi c'è un mucchio di cadaveri, di fetore e di altra sporcizia. Sono caduti molti nostri uomini. (Anche St. Krndelj, ex-studente di teologia di Sarajevo)...»

           

            Il 2 luglio 1918 Ivan manda al prof. Maraković 20 Corone

            «con preghiera di inviarmi per questo valore libricini per analfabeti, che sono stati editi secondo il sistema di Fra Buntić.[3] Malato sono sceso giù nel villaggio. I nemici mi hanno circondato da tutte le parti e non mi lasciano a casa».

           

            Infine, nela lettera del 27 agosto 1918 fa una valutazione sommaria degli ultimi due anni trascorsi al fronte:

 

            Caro Ljuba,

            Per caso ho avuto tra le mani "Luč" (che non mi hanno mandato anche se già in febbraio ho mandato il denaro) e ho letto la Sua "Lettera".[4] La ringrazio perché oltre agli altri ha pensato anche a me. Di questa "Lettera" fra poco parleremo a voce, se Dio vuole...

            Penso che La rallegrerà la notizia che nei prossimi giorni andrò nelle retrovie, per un periodo più lungo. Andrò a Lebring o nelle Dolomiti (Wolkenstein presso St. Urlich). Probabilmente studierò durante il semestre invernale a Vienna...

            Così sono rimasto in vita, e in più sono sano, grazie alla bontà del Padre misericor­dioso e alle preghiere di molti buoni amici.

            In questi due anni di vita instabile ho letto molto poco e anche quello che ho letto l'ho dimenticato. Però non mi dispiace di aver visto e vissuto tante cose, perché mi si sono aperti veramente molti orizzonti e fino ad un certo punto ho compreso il senso della vita. Solo temo che non avrò tanta forza e volontà da mettere in pratica i miei principi della cui verità sono convinto. Questo mi fa pensare spesso ai "Lanci" (Catene) di Poljak.[5]

            Adesso il nostro reggimento si trova in riposo e, nonostante molto lavoro che ho come aiutante, leggo tuttora Il Santo (di Fogazzaro) e "Novine"[6] (Il giornale). Nell'ultimo tempo è migliorato: gli articoli di Mahnić e di Srebrnić[7] sono veramente ottimi. (...)

                       

 


 


    [1] L'opuscolo in questione dev'essere stato quello di F. Gottfried, Die Feuertaufe einer bosnischen Konvertitin. Nach ihren eigenen Biefe und Aufzeichnungen, Sarajevo 1913. La ventiduenne giovane ortodossa Đurđinka Pavlović nel 1913 era passata al cattolicesimo con l'intenzione di farsi suora. Per qualche tempo fu ospite di un convento in Dalmazia, poi tornò a Sarajevo, dove come candidata frequentò la scuola. Un giorno venne sequestrata per strada dagli ortodossi, ma ella, nonostante le pressioni degli uomini del governo e dello stesso metropolita ortodosso Letica, rimase ferma nel suo proposito; fu quindi lasciata libera, ma punita insieme con quanti l'avevano aiutata nella conversione, per aver violato la legge dello Stato. L'arcivescovo Stadler fece allora una pubblica Dichiarazione sulle conversioni, in "Vrhbosna" 20 (1913), pp. 327-328. Mentre la Chiesa cattolica - diceva - non usa alcun mezzo di costrizione per impedire il passaggio dei propri fedeli a qualche altra religione, le autorità statali vi ricorrono quasi sempre in caso delle conversioni al cattolicesimo. Stadler ancora una volta invocava una legge più precisa che fosse accettabile anche alla Santa Sede. Cf. T. Vukšić, op. cit., p. 160s.

    [2] Il 19 gennaio 1917 Merz aveva prospettato a Bilogrivić l'opportunità di continuare gli studi a Friburgo, dicendo di aver già scritto al dott. Rebac di raccomandare la cosa al Vescovo di Banja Luka. Solo il 18 maggio egli poteva comunicare all'amico la risposta del dott. Rebac: il Vescovo, per mancanza di clero, non intendeva, per allora, concedere che Bilogrivić continuasse gli studi all'estero.

    [3] Fra Didak Buntić, francescano di Mostar, ha fatto molto per l'alfabetizzazione del popolo in Erzegovina. Merz, evidentemente, chiedeva i libricini per aiutare i suoi soldati bosniaci analfabeti.

    [4] Il prof. Maraković aveva pubblicato la sua "Lettera al fronte", una specie di lettera aperta indirizzata soprattuto ai suoi ex-alunni.

    [5] Izidor Poljak, poeta croato, nato nel 1883, fu cappellano militare durante la Prima guerra mondiale. Sul fronte nel 1915 compose la sua poesia "Lanci" (Catene)

s, inserita poi nella raccolta di poesie Sa Bijelog Brda, Zagreb 1924, p.23. Nella poesia è espresso il dramma di chi è costretto a fare ciò che nel fondo dell'anima odia.

    [6] Il giornale cattolico di Zagreb (v. supra, Cap. II).

    [7] Dr. Josip Srebrnič, nato a Solkan presso Gorizia il 2 febbraio 1876, sarà nominato vescovo di Krk il 15 sett. 1923. Morì il 21 giugno 1966.