Teste Vlll - MIRA MAJETIÆ

 

 

          Ad II interr.: «(Mi chiamo) Mira Majetiæ, insegnante in pensione, (abitante a) Zagreb, Ulica 8. maja, num. 48/I. Ho 71 anni. Nata a Hrvatska Dubica il 25 maggio 1902, di religione romano-cattolica, nubile».

 

          Ad III interr.: «Ho conosciuto il Servo di Dio per la prima volta a Zagreb, al Kaptol, dopo il suo ritorno da Parigi nel 1922.  Egli aveva allora 26 anni.  In quel primo incontro non ho notato nulla di particolare, né ho parlato a qualcuno di quell'incontro».

 

          Ad IV interr.: «Lo incontravo per strada verso la chiesa o al ritorno dalla chiesa, perché abitavamo vicini. Così pure ci incontravamo nell'organizzazione cattolica, perché abbiamo collaborato in essa».

 

          Ad V interr.: «In quel tempo avevo dato l'esame di maturità (alla scuola magistrale) ed aspettavo un posto di maestra».

 

          Ad VI interr.: Risponde negative.

 

          Ad VII interr.: «No».

 

          Ad VIII interr.: «Ho sentito parlare di lui, ed io stessa ne ho parlato».

 

          Ad IX interr.: «Ho letto le sue biografie scritte dal dr. Kniewald, p. Vrbanek S.I. e p. Nagy S.I. Penso che siano scritte criticamente. Le mie informazioni sul dr. Merz io le ho date al p. Vrbanek e al p. Nagy per le (rispettive) biografie».[1]

 

          Ad X interr.: «Penso che sia stato un uomo di profonda vita cattolica, lo ritengo in base alla mia esperienza. Io invoco la sua intercessione».

 

          Ad XI interr.: «Solamente quando alcuni nell'organizzazione hanno parlato contro di lui».

 

          Ad XII interr.: «Non ho niente da dire».

 

          Ad XIII interr.: «Il dr. Merz era sereno e così appariva in pubblico. Durante le discussioni nell'organizzazione sapeva essere serio e ho visto sul suo volto che combatteva in sé per vincersi».

 

          Ad XIV interr.: «Nulla di ripulsivo o pesante ho notato nei miei contatti con lui».

 

          Esame sugli Articoli.

         

          Ad art. 1-2: «Nulla di particolare da rilevare».

         

          Ad art. 3: «Ivan ha raccontato come con una bottiglia aveva rotto la finestra del magazzino della stazione ferroviaria. Gli altri avevano ricevuto delle bastonate, e non lui perché era figlio del capo stazione. Dopo ha avuto rimorso di coscienza perché non è stato giustamente punito come gli altri bambini».

 

          Ad art. 4-34: «Non ho nulla da dichiarare. Queste cose mi sono note dalle biografie e non ho nulla da aggiungere e osservare».

 

          Ad art. 35, 140, 147: «Ivan desiderava introdurre nell'organizzazione - ma non con forza - (la ricerca, l'interesse per) la profondità e la formazione. Purtroppo, spesso è stato criticato e offeso. La sua reazione era il silenzio. Non condannava coloro che non erano d'accordo con lui. Lo osservavo: rimaneva calmo, senza dire una parola, ma qualche movimento subitaneo sul suo volto tradiva la lotta (interiore) per frenarsi. Quando non riuscii a nascondere la mia ammirazione per la sua eroica condotta, egli mi disse queste significative parole: "Chi vuole essere un vero operaio per la causa di Dio non deve conoscere e cercare se stesso; in molti casi il culto della persona è il più grande ostacolo al buon esito del nostro lavoro". Dopo, per quanto mi consta, non ha più reagito in simili casi».

 

          Ad art. 36-58: «Non ho nulla di particolare da osservare o aggiungere».

 

          Ad art. 59: «So che per devozione alla Madonna egli ha portato la statua ­quasi di grandezza naturale - della Madonna di Lourdes, dalla via Bakaèeva fino all'aula di S. Girolamo, attraversando la città di Zagreb dove il trafico è il più intenso. Il giorno dopo l'ha riportata indietro, per la stessa via. Lo so perché io ero dirigente dell'associazione cattolica delle giovani "Dubravka", che per iniziativa di Ivan aveva organizzato la manifestazione. Egli amava recitare il rosario e meditare con le braccia aperte, come egli stesso mi disse. Anche a me ha suggerito di fare così, ma io non sono riuscita a perseverare. Diceva: "Chi vuole imparare a recitare il rosario vada a Lourdes". Una volta mi disse che non capiva come ad alcuni bastassero 10 minuti per recitare il rosario, mentre a lui ci voleva una mezz'ora. E' noto che per strada egli recitava il rosario. Così una volta incontran­dolo non volli disturbarlo, ma egli mi fermò dicendo: "Non (mi) disturba, finiremo la corona insieme». Mi ha regalato l'Officium parvum B.M.V. dicendo: "Preghi questo tutti i giorni in onore della Madonna"».

 

          Ad art. 60-63: «Non ho nulla da osservare».

 

          Ad art. 64, 77: «Era edificante vederlo durante la s. Messa. Non stava mai seduto, ma in ginocchio, e con le braccia aperte seguiva il Canone della messa. Questo ci faceva un po' sorridere, ma lo abbiamo osservato con rispetto. Dalla s. Comunione tornava a mani giunte. Qualcuno talvolta diceva: Si farà certamente sacerdote o gesuita, se si comporta così.

          Una volta vedendomi con berretto rosso in Quaresima mi disse: "Non sta bene che noi cattolici durante la Quaresima - che è il tempo di penitenza e del ricordo della Passione del Salvatore - portiamo il rosso; dobbiamo conformarci alla liturgia non soltanto nello spirito ma anche all'esterno". Questo mi parve esagerato, ma non ho più portato quel berretto rosso».

 

          Ad art. 65-85: «Nulla di particolare da osservare né da aggiungere».

 

          Ad art. 86: «Ero in servizio a Sv. llija presso Varaždin, quando Ivan il 7 marzo 1926 venne per tenere una conferenza sulla Madonna di Lourdes. L'ha tenuta tra la Messa del mattino e quella di mezzogiorno. Ha assistito poi a questa Messa e si è comunicato; la gente diceva: Come è bello quando un uomo dotto e distinto ci tiene alla propria fede».

 

          Ad art. 87-99: «Nulla di particolare da osservare».

 

          Ad art. 100: «Era un grande difensore dell'onore della donna. Nella conversazione e nei rapporti personali era fine e pieno di tatto, odiava gli scherzi salaci e discorsi equivoci, dalla sua bocca non si è mai sentita una parola fuori luogo. Quando rimanevo nelle riunioni dell'organizza­zione fino a tardi, egli mi veniva dietro e mi accompagnava a casa. Al mio rilievo: "Perché non è rimasto, forse ci sarà qualcosa di importante anche per lei" rispondeva: "Essi possono anche senza di me, non è però opportuno che una giovane vada da sola a casa, di sera". Devo riconoscere che mi piaceva la sua attenzione e la sua compagnia; con lui ci si sentiva protetti e sicuri».

 

          Ad art. 101: «Niente di particolare».

 

          Ad art. 102: «In una occasione mi disse che la mamma si era adirata con lui. Alla mia domanda sul perché, mi rispose: "Ah, la mamma mi ha comprato per il compleanno nuove scarpe perché non porti più queste vecchie, io invece le ho regalate ad un povero". E aggiunse: "Darò forse le vecchie al povero, riservando per me le nuove?" Altrimenti egli amava molto la mamma e voleva risparmiarle qualsiasi dispiacere. Anche a noi ha chiesto di andare a visitarla, ed era grato per questo. Più tardi, non potendo visitarla perché ero stata trasferita come maestra altrove, le scrivevo delle lettere, sapendo che ciò avrebbe fatto piacere anche a lui».

 

          Ad art. 103: «Nel 1923 si stava organizzando il pellegrinaggio a Lourdes; Ivan mi animava perché andassi anch'io, ma non avevo i mezzi necessari. Due giorni prima della partenza un pellegrino si ritirò, ed Ivan sistemò la cosa in modo che io potessi andare. Quando cercai di ringraziarlo, esprimendo il dispiacere perché egli aveva dovuto perdere un'intera giornata per me, mi rispose riprendendomi un po': "Come può dire che ho perduto questo giorno? Al contrario, io l'ho guadagnato; i giorni in cui non abbiamo fatto nulla per gli altri, sono giorni perduti". Allora non compresi pienamente queste parole, ma ora le comprendo.

          Egli era molto servizievole. Così una volta, per una nostra rappresentazione egli stesso si è preso cura di procurare le quinte per il teatro, dicendo che questo lavoro era più facile per i maschi che non per noi».

 

          Ad art. 104-109: «Non ho nulla di particolare da aggiungere».

 

          Ad art. 110: «E' noto che Ivan era un uomo del Papa. Nelle riunioni si appellava sempre alle encicliche ed altre dichiarazioni papali. Aveva straordinaria stima del suo confessore. In vista delle decisioni e nelle riunioni sapeva dire: "Devo prima consultare il mio confessore". Ciò gli veniva rimproverato come una certa mancanza di indipendenza, ed io stessa talvolta pensavo che (al suo posto) avrei agito con maggiore autonomia; oggi però la penso diversamente».

 

          Ad art. 111-117: «Non ho nulla di particolare da rilevare».

 

          Ad art. 118: «Ivan era molto servizievole, ne è prova anche il seguente particolare: E' venuto da noi, io sono andata a prendere legna, egli ha lasciato tutto ed è venuto per aiutarmi a portare legna per il riscaldamento. Gli dissi: "Non vorrà forse far questo, lei non è abituato". Ha preso la cesta dicendo: "In due si porta più facilmente, e poi nessun lavoro umilia l'uomo, al contrario è l'ozio che lo umilia". Tutte noi eravamo sempre molto entusiaste della sua semplicità, unita alla grande cultura, la modestia, la delicatezza, la premura e la discrezione, e soprattutto la sua profonda religiosità tradotta in atto».

 

          Ad art. 119-160: «Nulla di particolare da rilevare».

          "Ho alcune aggiunte:

          - Ivan pensava molto alla morte, ne è prova la dichiarazione che mi fece quando mi congratulai con lui per il dottorato: "Adesso devo preparami ancora per l'ultimo severo esame". Non avevo subito capito (che cosa volesse dire) e lo guardai quasi interrogando; egli continuò: "Mi attende ancora un grande ed importante esame, molto più grande e più importante di questi, e beato me se lo passo". Non ho potuto notare che egli temesse la morte, diceva però che desiderava fare ancora tanto, perché molti compiti lo attendevano.

          - Cercava di essere utile agli altri con il consiglio; ne testimonia anche la lettera che mi scrisse non molto prima della morte, il 21 febbraio 1928, a Sv. Ilija, mentre egli stesso era già gravemente malato. (cf. Biografia del dr. Merz scritta dal p. Vrbanek, p. 121, e quella scritta dal p. Nagy, parzialmente).

          - Nella direzione delle giovani io ho spesso chiesto il suo consiglio, ed egli cercava di procurarmi del materiale (scritto) e ci orientava secondo il lavoro di altre organizzazioni. Pregata da lui, anch'io ho tradotto qualche articolo dal tedesco o dal francese, per la nostra gioventù. Tutti sentivamo che egli desiderava educare i giovani ad una vita spirituale profonda. E a mio avviso, proprio per questo Ivan è diventato indesiderato ad alcuni operatori del Movimento.

          - Sono stata in più strette relazioni col dr. Merz dal 1922 fino alla mia partenza da Zagreb nel dicembre del 1925. Dopo ci siamo scritti periodicamente e ci siamo incontrati a Zagreb occasionalmen­te, ma non ho collaborato direttamente nel Movimento».

 

 

 

                                                            

 


 


    [1] Abbiamo queste informazioni di Mira Majetiæ che ella scrisse per p. Vrbanek il 12.VIII.1940 e che sono più fresche e immediate della deposizione processuale fatta trent'anni dopo. Ma poiché nella deposizione vengono ripetuti, sebbene in forma più stringata, gli stessi particolari già riferiti nella lettera del 1940, di quest'ultima citiamo solo qualche passo. Da essa, anzitutto, apprendiamo che Ivan Merz era in stretti rapporti con la famiglia di Mira Majetiæ perché, tra l'altro, era stato padrino alla Cresima del suo fratello più giovane, ed egli «considerava molto seriamente questo legame spirituale». «Tra le sue qualità più evidenti vanno sen'altro annoverate la sua grande fede e la sua sincera autentica pietà. Amava soprattutto parlare della fede, e in questo la sua anima trovava quell'immenso tesoro che essa stessa possedeva ma che cercava di comunicare anche agli altri. In questi discorsi sapeva spesso ripetere: "Oh, come è bello il poter credere senza dover vedere!" E di Dio, dell'amore verso la s. Chiesa e della devozione al Papa sapeva parlare meglio di molti sacerdoti. Perciò talvota per celia lo chiamavamo "pater". La sua pietà doveva incantare chiunque l'avesse visto una sola volta pregare o assistere alla s. Messa. Passando davanti a qualche chiesa, mai aveva tanta fretta da non farvi un salto "per un breve Adoro" - come egli stesso si esprimeva». - Della sua carità verso i poveri scrive: «La sua generosità verso i poveri era grande. A ciascuno ha dato qualcosa, ma - quel che ha ancor più valore - a ciascuno ha aggiunto qualche parola calda e incoraggiante, come ad es.: "Solo sia paziente!" o "Ringrazi il Signore per tutto!" o "Preghi il Signore che l'aiuti"... Spesso accadeva che portasse il povero con sé o gli dicesse: "Venga in via Mihanoviæ, num. 2, II piano, e si troverà ancora qualche cosa per lei". E' superfluo dire che allora dava con generosità, perché sua madre spesso raccontava come avevano regalato a Ivan questo o quello, e che questo già non c'è più...». - Infine M. Majetiæ risponde alla domanda se Ivan Merz sia degno di essere beatificato: «Per quanto io l'ho conosciuto, in conscienza posso e devo rispondere affermativamente, poiché egli è stato veramente un modello di laico cattolico (sebbene nel suo animo fosse un religioso cattolico), e ha posseduto tutte le virtù necessarie per questo. Desidero e prego perché il Signore Dio faccia la sua parte e - se questa è la sua volontà - noi riceviamo in Ivan un modello di cui noi Croati, poveri sotto questo aspetto, abbiamo oggi tanto bisogno».