(1896 – 1914)

C a p i t o l o III

            Il padre di Ivan, Moriz (Mavro) Merz, era di origine tedesca di Pilsen (Plzen, Boemia), figlio di genitori cattolici Joseph Merz, impiegato delle ferrovie, e Ludmila Ruppert. La madre di Ivan, Teresa, era di origine ungherese, nata a Nagy Kanisza (Velika Kaniža) in una famiglia di commercianti, da Ignaz Mersch, cattolico, e Eleonora Stern, ebrea.

            In seguito al matrimonio con una ebrea, contratto civilmente in Ungheria, Moriz Merz, che era ufficiale dell’esercito, fu mandato come capostazione e responsabile della linea ferroviaria militare Banja Luka – Dobrljin (Doberlin), nella Bosnia nord-occidentale.

            1. Città natale di Ivan Merz.

            Banja Luka, per la sua posizione geografica sul fiume Vrbas, era un piccolo centro commerciale e amministrativo. Il suo maggior sviluppo lo aveva avuto nel secolo XVI, specialmente dopo che nel 1583 il pascià Ferhad aveva trasferito la sede del pascialato (pašaluk) da Travnik a Banja Luka, dove rimase fino al 1639. La moderna Banja Luka ha inizio negli ultimi decenni del secolo XIX. Nel 1869 viene fondato il monastero dei Trappisti “Marija Zvijezda” (Maria Stella), intorno al quale sorgono impianti industriali: il grande mulino (1872), la fabbrica di birra (1876), la mattonaia (1877), impianti dell’industria tessile (1878), poi quelli per la produzione di formaggi, il pastificio, infine la centrale elettrica che fornisce l’energia elettrica per la maggior parte della città. Nel 1872 entra in funzione la ferrovia Banja Luka – Dobrljin.

            La città nel 1895 aveva 13.566 abitanti, di cui 55,46 % musulmani, 21,20 % cattolici, 20,46 % ortodossi e 2,80 % ebrei. Nel 1910, su 14.001 abitanti, il 44,50 % erano musulmani, 26,50 % cattolici, 24,90 % ortodossi e 2,84 % ebrei.

            Dal 1881 Banja Luka è sede della diocesi, che in un primo tempo fu amministra­ta da mons. Josip Stadler, arcivescovo di Sarajevo, e dal 1883 dal p. Marijan Marković OFM, vescovo tit. di Danaba, che vi costruì l’episcopio e la cattedrale di S. Bonaventura. Il primo vescovo di Banja Luka fu p. Josip Garić OFM, nominato il 14 dic. 1912 e consacrato a Roma il 20 febbraio 1913.1

            In questa città, il 16 dicembre 1896 nacque Ivan Merz.

            2. Infanzia. Sacramenti dell’iniziazione cristiana.    

            Ivan venne battezzato nella casa dei suoi genitori il 2 febbraio 1897 dal cappellano militare Peter Andrassy. Ebbe per padrino suo zio paterno Georg Merz, rappresentato dal colonnello Robert Kautz, per cui oltre il nome di Ivan (in famiglia sarà chiamato Hans) ebbe anche quello di Georg (Đuro) e Robert.

            Poiché i genitori di Ivan erano sposati solo civilmente, il loro figlio per la legge canonica era illegittimo e come tale iscritto nel Registro dei battezzati. Perché questo marchio non lo accompagnasse per tutta la vita, il cappellano militare Andrassy riuscì a indurre i genitori a contrarre il matrimonio ecclesiastico. La madre Teresa venne quindi battezzata e il matrimonio religioso fu celebrato il 17 gennaio 1899 a Banja Luka. Così Ivan fu legittimato, e nel certificato di battesimo figura come figlio legittimo.2

            I genitori di Ivan non erano praticanti, egli però ebbe una educazione buona e nobile, ovviamente senza un particolare accento religioso. Tuttavia dal terzo anno aveva imparato a recitare brevi preghiere mattina e sera. Le virtù naturali dei genitori esercitarono su di lui un influsso duraturo. Quando una volta la mamma gli aveva portato a letto il caffé che era troppo caldo, ed Ivan per questo si era immusonito, fu avvertito dal padre che doveva essere grato a Dio per il nuovo giorno, e non immusonirsi. Ivan imparò bene la lezione e non mostrò più un simile atteggiamento.

            L’esempio della carità dei genitori verso i poveri sviluppava in lui il senso sociale e l’amore del prossimo. In occasione di una festa, a cui avevano preso parte parecchie persone distinte, la tavola era bene imbandita e vi erano alcune “torte”. Mentre gli invitati discorrevano, il piccolo Ivan girava da una torta all’altra, assaggiandole. Scomparve quindi dalla stanza e, dopo un po’ di tempo ritornò con un esercito di suoi piccoli compagni, che aveva invitato alla “torta”. Gli ospiti ridevano di gusto, applaudendo i piccoli che, in pochi minuti, spazzarono via gli squisiti dolci.

            Un giorno chiese al padre con molta serietà di issare la bandiera alla stazione il giorno dell’onomastico della mamma. Aveva visto infatti che suo padre, in qualità di capostazione, issava la bandiera alla stazione il giorno della festa dell’Imperatore. «Se addobbiamo le case con le bandiere il giorno della festa dell’Imperatore, tanto più bisogna farlo il giorno della festa della mamma» – così ragionava il piccolo Ivan.

            La mamma di Ivan raccontava a suor Raffaella: «Andavamo a fare una passeggiata. Lungo la strada, Ivan, dopo un mio piccolo rimprovero, un po’ offeso, si staccò dalla mia mano e corse avanti. Si girò tuttavia per vedere se lo avessi chiamato perché tornasse indietro. Io feci finta di non vedere. Ad un tratto si fermò all’angolo della strada, allargò le braccia e stette in atto di attesa. Lo raggiunsi e gli chiesi il perché, ed egli: “Stanno arrivando le mucche ed io aspetto per difenderti nel caso volessero aggredirti”».3

            Il piccolo Ivan frequentava l’asilo a Banja Luka presso le Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue. Dalle stesse Suore imparò i primi elementi di musica. A Banja Luka frequentò la prima e la quarta classe elementare, mentre la seconda e la terza a Prijedor, dove suo padre era stato trasferito per un periodo. Il suo insegnante di religione, rev.do Kaurinović spesso lo lodava perché sapeva la religione meglio di tutti i suoi compagni. Ogni domenica partecipava regolarmente alla Messa insieme ai compagni di scuola.

            Il 22 aprile 1906 ricevette la prima Comunione. Il quadro “Ricordo della prima Comunione” rimase appeso per tutta la vita sopra la sua scrivania. Nell’anno seguente, il giorno di Pentecoste, fu confermato dall’amministratore apostolico Marković. In quell’occa­sione gli fu aggiunto il nome di Viktor, che era quello del padrino Viktor Hönig.4

            Intorno ai dieci anni circa, il fanciullo Ivan prese un giorno la bicicletta e, senza dir nulla ai genitori, andò in giro. All’ora di pranzo ed anche oltre, i genitori che lo attendevano ansiosamente pensavano già di dover avvertire la polizia. Ad un tratto lo si vide venire tutto sudato; da lontano salutava con mano la mamma che lo guardava dalla finestra. «Io so che non mi castigherai, perché sei contenta che sono tornato sano e salvo», esclamò, appena le fu davanti. Si scusò subito per il ritardo perché non aveva con sé l’orologio. Così la disarmò ed ella non poté castigarlo, sebbene si fosse messa d’accordo con il padre di farlo. Anche in altre occasioni, allorché la madre tentava di punirlo, Ivan le prendeva la mano e, con lo sorriso sulle labbra, le diceva: «Ora, al posto delle botte, avrò un bacio!».

            3. Nella scuola media.

            Terminata la scuola elementare, nel settembre 1906 Ivan iniziò la scuola media al “ginnasio” di Banja Luka.5 Faceva grandi progressi in tutte le materie; soltanto il professore di disegno, per di più amico di suo padre, ebbe motivo di lamentarsi. Allorché la madre gli riferì queste lamentele, Ivan riconobbe che il disegno lo interessava, ma che egli vedeva poco alla lavagna, anzi spesso gli sembrava tutto buio, le persone intorno sdoppiate e provava forti dolori alla fronte mentre leggeva. I genitori lo condussero a Vienna dal famoso oculista professore Fuchs, il quale consigliò di non sforzare troppo la vista nello studio, perché era astigmatico. Fu consultato anche il prof. Reuss, il quale fece presente che la forza visiva dell’occhio sinistro era assai debole, e ordinò a Ivan di portare gli occhiali per la lettura. Durante tutta la vita egli avrà problemi, anche gravi, con la vista.

            Ciò nonostante, il periodo del suo sviluppo è caratterizzato da una vigorosa freschezza giovanile. Praticava uno sport moderato. Già a dieci anni portava la bicicletta, che sapeva anche riparare. Particolare destrezza aveva raggiunto nel pattinaggio sul ghiaccio. Gli piaceva anche andare sullo slittino. Giocava spesso a tennis, talvolta anche con i generali, appena undicenne. Non gli piaceva il calcio. Su alcuni attrezzi a casa si esercitava con i compagni nei vari esercizi ginnici. Giocava a bocce e molto volentieri a scacchi. In quel periodo era di temperamento calmo, serio, ma allegro. Studiava privatamente il violino, il pianoforte e la lingua francese. Le insegnanti di francese, Štefa Kostial-Zaranović e successivamente Danica Latas si compiacevano di fare lezione a Ivan, perché faceva grandi progressi. Si divertiva a disegnare e a fare ritratti e caricature abbastanza riuscite.

            Già nella prima giovinezza manifestava un grande senso del dovere. Non sopportava che il nome di Dio venisse pronunciato senza riverenza. Supplicava e cercava di persuadere la mamma, affinché tutta la famiglia osservasse l’astinenza il venerdì. Gli dispiaceva molto se la mamma non partecipava alla messa domenicale. Questo zelo apostolico nei confronti dei suoi genitori sarà sempre più forte e inciderà sempre più profondamente nella loro vita. Grazie a lui, essi perverranno più tardi alla pienezza della vita cristiana. Dieci anni dopo la morte di Ivan, suo padre scriverà il 12.X.1938 al p. J. Vrbanek S.I.:

            «Mentre Ivan era in vita eravamo già coscienti del grande dono che il Creatore ci aveva dato con questo bambino. Appena dopo la sua morte cominciammo a capire la sua grandezza spirituale ed in ginocchio ringraziamo il Signore per una tale grazia, dimostrata a noi indegni con questo bambino. Da allora ogni nostro desiderio tende ad immedesimarsi nella sua concezione soprannaturale, ed anche se non possiamo raggiungerlo, almeno per avvicinarci a lui nella patria celeste».

            4. Alunno del prof. Ljubomir Maraković.

            Nella quinta classe Ivan ebbe come professore di lingua croata il dr. Ljubomir Maraković, uno dei più insigni propugnatori del movimento cattolico tra gli studenti della scuola media. Nella settima classe Maraković gli fu anche professore di lingua tedesca, e nell’ultimo anno dli insegnò anche l’introduzione alla filosofia. Maraković si rese conto dell’acutezza d’ingegno di Ivan, della sua natura nobile e delle sue doti artistiche e gli dedicò particolare attenzione.

            Che ruolo Maraković abbia avuto nella formazione di Merz, nessuno può dirlo con maggiore autorevolezza dello stesso Ivan. In una lettera da Parigi, scritta al suo ex-professore e amico il 12 settembre 1921 egli affermava: «Poiché la Grazia di Dio si è servita di Lei perché io conoscessi la verità del cattolicesimo…» (v. Cap. IX, II, 5).

            Chi era questo laico che tanto influsso ha esercitato su Ivan? Nato a Topusko (Croazia) il 17 giugno 1887, aveva frequentato il ginnasio classico dai gesuiti a Travnik, quindi aveva studiato germanistica e slavistica a Vienna, dove ottenne anche il dottorato. Amava l’arte, la poesia, la musica (suonava il pianoforte e anche l’organo nella cattedrale di Banja Luka), ma il suo campo era soprattutto la critica letteraria. Nel 1916 veniva assegnato al Governo regionale di Sarajevo con il compito di preparare i libri per le scuole medie; nel 1919 fu trasferito a Zagreb. Uomo di grande cultura, aveva in seguito acquistato la fama del più autorevole critico letterario croato.

            Maraković era anche un uomo profondamente religioso. Abbiamo potuto esaminare il suo diario (inedito) che comprende gli anni 1911-1919. Il 5 nov. 1911 egli ricorda gli anni del ginnasio «quando con tanta forza e con vivo fervore lavoravo alla perfezione spirituale e alla vera devozione». Nel gennaio 1912, dopo una effusione di riconoscenza a Dio per i suoi immensi benefici, annota: «Il timone della mia futura vita lo rimetto nelle mani della Provvidenza, con grandissimo desiderio di condurre me stesso e il mio popolo all’eterna Fonte della Verità, della Bontà e della Bellezza».  Il 7 dic. 1913 annota: «Ho cominciato l‘Introduction à la vie dévote di s. Francesco di Sales. E’ curioso che i pensieri e le opere cui nell’ultimo tempo sono pervenuto, sono in pieno accordo con le sue deduzioni. Ed egli espone in maniera così semplice, eppure con tanta amabilità e nobiltà, così profondamente e in modo così attuale che l’uomo deve meravigliarsi che questo libro sia stato scritto trecento anni fa». Scrive poi della necessità di divulgare la conoscenza dei santi, soprattutto in base alle loro opere, e conclude: «Per noi questo è la cosa più attuale: una fede pratica, viva e fervorosa, perché c’è il pericolo di un cattolicesimo d’affari, da una parte, e della vana bigotteria dall’altra. Occorrerebbe pertanto tradurre anche le opere di Albing».6

            Maraković inoltre era un «educatore per vocazione e per dono di Dio», come egli stesso si definì nel diario (gennaio 1918), e educava i suoi alunni non solo durante le lezioni, ma prima di tutto con l’esempio, così che per opera sua lo stesso istituto dove insegnava era stimato, ed egli era amato dai cattolici.

            Come già accennato, Maraković in quel tempo teneva un diario. Al 20 aprile 1912 vi si legge: «Io scrivo il diario per me stesso…Tenere il diario è nella mia natura che è, per così dire, retrospettiva; cioè io non faccio propositi per il futuro e non annoto tanto i miei sogni su quello che deve avvenire, quanto piuttosto registro il passato, per trarne insegnamento per il futuro e per misurare con esso il presente».

            E fu proprio per esortazione del Maraković che anche Ivan cominciò a scrivere il suo diario. Il 27 febbraio 1914, pochi mesi prima dell’esame di maturità, egli così esordisce: «Ieri, giovedì, abbiamo avuto il compito di classe sull'”Utilità del diario”. Maraković ce ne ha spiegato la grande utilità… Durante l’ora e la giornata ho riflettuto su questo e sono arrivato alla conclusione che Ljuba7 – come sempre – ha ragione» (v. infra).

            Se Ljuba ha ragione, Ivan lo seguirà: continnuerà a scrivere il diario che, oggi, rappresenta la fonte principale per la conoscenza della crescita spirituale dell’autore. Da ogni rigo traspare chiara l’immagine del suo modo di pensare, il suo carattere e gli sforzi per migliorarlo, le sue aspirazioni e impegni, le sue letture, i suoi rapporti con i genitori, con i professori, con i compagni, a scuola e nella società.                             

            Secondo la dichiarazione dei suoi professori – scrive il biografo dr. Kniewald, il quale aveva potuto avere informazioni dirette in merito – Ivan si distingueva come ragazzo tranquillo, modesto e coscienzioso. Non voleva emergere. Nelle classi superiori preferiva particolarmen­te il francese, il tedesco e la lingua croata, evidentemente perché gli piaceva la letteratura. Suo professore di lingua francese era il dr. Petar Skok, il quale raccontava che Ivan nell’ultimo anno conosceva tanto francese da poter improvvisare un discorso di saluto in onore del prof. Blondel, della Scuola di scienze politiche di Parigi, allorché questi venne a Banja Luka nel 1914 per raccogliere informazioni sul problema dei coloni in Bosnia. Il prof. Blondel rimase molto soddisfatto del discorso di Ivan. Quando poi Ivan si troverà a Parigi (1920-1922), non mancherà di fargli visita.

            Ivan non era soddisfatto né del sistema né degli studi scolastici di allora. Era del parere che tanto la scuola elementare quanto la scuola media avevano esercitato un influsso negativo su di lui, tranne il prof. Maraković, che egli nel Diario definisce «nostro benefattore, che ci ha tirato fuori dall’ignoranza» (4 marzo 1914). Dieci anni più tardi, rispondendo al questionario di una inchiesta fatta dal dr. Kniewald in vista dell’edizione del Katolički đak (Studente cattolico), Merz scriverà: «I liberali mi hanno messo nella testa tante bugie da cui forse non mi sono ancora liberato». Anche la condotta incoerente di qualche insegnante era motivo di turbamento per Ivan, il quale per qualche tempo smise di frequentare la Congregazione Mariana, alla quale aveva aderito.8 Il 22.XII.1914., prima di lasciare l’Accademia militare, annotava nel Diario: «Ho sentito che cosa hanno fatto i ragazzi della scuola media e che cosa fanno ancora. Fanno cose orribili. I genitori compiono un delitto nell’inviare i figli in quelle scuole, dove gli insegnanti fanno soltanto la lezione e quando escono dalla classe, dimenticano di essere insegnanti. E’ una cosa orribile».

            Con i compagni Ivan era gentile ed estremamente leale. Con loro passeggiava, cantava, discuteva, faceva gite, li aiutava nei lavori scolastici, perfino partecipava alle «avventure scolastiche». In una di queste, la sua coscienza non gli permise di seguirli: «Cercherò di tenermi in disparte» (Diario, 4 marzo 1914). «Essi sostengono che si tratta di avventura studentesca. Io sono per ogni avventura e non sono vile. L’onestà però è al di sopra di tutto». E avendo dato la sua firma «al progetto», si domandava: «Ho fatto bene nel dare la mia firma? Ciò mi tormenta. Come collega ho il dovere di appoggiarli, ma devo sostenerli a tal punto da lasciarmi indurre al furto?». Si trattava del «furto» dei compiti (temi) che il professore avrebbe assegnato. Piuttosto, Ivan farà il compito prima per gli altri e poi per sé, e così compirà il dovere di collega. «Dio, perdonami, se ho peccato; so che per me l’onestà è più santa di tutto il resto. Cercherò di riparare tutto. O Dio, dammi forza, ti prego!» (Diario, 5 marzo 1914).

            Ivan più tardi affermò che i compagni della scuola media non avevano esercitato alcun influsso sulla sua vita religiosa e morale (v. sopra, nota 6). Egli infatti non amava la compagnia di coloro che «dell’elemento erotico avevano fatto oggetto di ogni loro pensiero». E se qualcuno cominciava discorsi di questo genere dinanzi a lui, egli «girava il discorso su altre cose» (Diario, 23 e 25.VII.1914). Il 21 maggio 1914 annota: «Lunedì, 18 maggio, a scuola è sorta la lite a causa della religione. K. l’ha affrontata superficialmente offendendo Luban (Maraković). Anch’io mi sono acceso». Il 13 giugno, tutti i compagni, ad eccezione di K., avevano fatto una gita alla quale Ivan accenna nel Diario: «Che cosa ho visto, Dio! Lordume e schifezza… ». «Quando siamo soli cattolici – tutti lo abbiamo detto – tutto va bene. Altrimenti, salvo eccezioni, diventa schifoso» (Diario, 16 giugno 1914). «I compagni hanno voluto bene a Ivan – dice il prof. Maraković – a causa della sua buona educazione, della sua indole amabile e perché era servizievole, inoltre era il più giovane tra di loro».9 Terminato l’esame di maturità, il 12 luglio 1914 Ivan scrive nel Diario: «Questo è forse la giornata più bella e più triste della vita…Per otto anni sono cresciuto con i miei colleghi ed ora abbiamo festeggiato il commiato. E’ proprio impossibile credere. E’ stato difficile separarsi anche dai professori, specialmente da Ljubo. Tutti eravamo un’anima sola, ci conoscevamo e siamo fioriti uno accanto all’altro. Perciò ci capiamo benissimo. Passerà tutto, però il ricordo rimarrà finché vivremo».

            Al tempo di Merz – scrive il prof. Maraković – «tra gli studenti erano in atto lotte accese tra i liberali, i Croati-radicali ‘i giovani Croati’ e gli studenti cattolici organizzati, si è poi aggiunto ancora il movimento giovanile jugoslavo, a causa del quale, dopo il 28 agosto 1914, il direttore sig. Krsmanović e diversi compagni di Merz finirono sotto uno speciale processo “studentesco” per alto tradimento. Merz non vi fu coinvolto perché, pur essendo con i sentimenti dalla parte dei Croati, era un outsider».10

            5. Il primo amore.

            Nella cerchia familiare, all’età di sedici anni, Ivan conobbe una ragazza coetanea, bella e intelligente, figlia del consigliere della guardia forestale, Greta Teschner. Si incontrava spesso con lei. Leggevano e discutevano insieme di storia e di letteratura. Ivan l’apprezzava e si era legato a lei con un affetto onesto e puro da ragazzo sedicenne. Le emozioni istintive le dominava coscientemente. Era un amore di adolescente che desiderava la bellezza e l’amicizia. «Finché era qui mi voleva bene, perché sapeva che in lei non guardavo soltanto una femmina, bensì una persona umana, e mi chiamava amico. Il nostro legame spirituale – guardando ora da lontano, lo devo riconoscere – era basato fino ad un certo punto (non del tutto) sull'(elemen­to) erotico» (Diario, 9 marzo 1914).

            La ragazza però non era così ideale, come Ivan la riteneva. Era protestante, senza una sufficiente educazione religiosa. Piena di vita, mentre era a Travnik si lasciò sedurre da un “ammiratore” non cattolico, che poi la lasciò. Delusa e disperata, si tolse la vita avvelenan­do­si nel 1913. La notizia di questa tragedia fu comunicata a Ivan da sua madre. Apparente­mente egli non mostrò una particolare reazione, ma nel suo Diario più tardi scrisse: «Quando ho saputo della sua morte, nella mia anima è subentrata la crisi. Certo, non ad un tratto, ma col tempo… Dal profondo dell’animo desidero vederla Lassù, nell’altro mondo. Non posso esprimere ciò che sento per lei, lo dimostrano le mie lacrime che scorrono appena immagino come polvere questa ragazza tedesca nobile e di buona indole. Mi sembra che la mia giovinezza sia sepolta con lei nella tomba. Tutti possono ridere di cuore, ma io non posso. Guardo le ragazze, mi piacciono, ma se penso a lei, tutto il resto scompare. L’unica consolazione la trovo nell’arte che mi piace e nella natura» (16 marzo 1914).

            Queste parole scrisse poco dopo aver cominciato a tenere il diario, che aveva aperto con l’esclamazione «Evviva l’arte!» e dedicato «Alla santa e onorata memoria del primo amore, che mi ha rigenerato». Rievocando il ricordo di questo amore, egli trova conforto anche «nella fede che un giorno la rivedrà» (9 marzo 1914). Si ripromette di scrivere ancora «di lei e della mia conversione interiore» (ibid.). «Di lei» infatti scriverà ripetutamente, ma della propria «coversione» non direttamente, bensì manifestando, nelle sue riflessioni, le conseguenze pratiche di questa conversione.

            Al tempo della morte di Greta, Ivan non scriveva ancora il diario, le riflessioni che vi troviamo sono quindi del periodo posteriore alla sua «conversione interiore».

            Al periodo anteriore a questa conversione si riferisce la testimonianza del prof. Maraković, il quale ha scritto che Ivan «fino all’ultimo anno (cioè fino al 1913/14) non è stato nemmeno un cattolico consapevole; nella settima classe (1912/13) mi ha pregato di prestargli qualche rivista letteraria tedesca: gli ho dato in visione il “Der Gral”, e inoltre dalla sala dei professori “Das literarische Echo”, in quel tempo l’organo ufficiale letterario tedesco. Mi ha restituito il “Gral” rifiutandolo perché «troppo cattolico», e pregandomi di continuare a prestargli l'”Echo”. Press’a poco in quel tempo mi raccontava che spesso andava nella chiesa protestante per sentire sermoni, perché diceva che ivi i sermoni erano più belli che da noi. Senza dubbio, per questo era determinante anche il fatto che la lingua materna di Merz era il tedesco».11 Quanto su ciò abbia influito l’amicizia con la ragazza protestante, dai documenti non ci è dato di sapere; il biografo p. Vrbanek però afferma che anche l’amore per la ragazza protestante aveva indotto Ivan a frequentare i sermoni del pastore protestan­te.12

            Dopo la crisi causata dalla morte della ragazza, Ivan accetta volentieri il “Der Gral” che riporta gli articoli degli scrittori tedesci Eichert, Kralick, Hladky, Muckermann ed altri, riuniti nel “Gralbund”, che si ispirano ai più ortodossi principi cattolici, per cui sono stati lodati dallo stesso Pio X. Dal “Der Gral” Ivan mutua il motto: “Vivere per la Verità, la Bontà e la Bellezza”. «Sto leggendo il “Gral” – scrive nel Diario il 26 aprile 1914 – e mi familiarizzo sempre più e mi elevo. Quanto più conosco il cattolicesimo, tanto più vedo che è inesauribile. Desidero già ricevere il Suo Corpo, fine e causa ultima dell’umanità. Quanto è grande il Suo Amore allorché Egli, l’Infinito, incomprensibile a noi, Egli che governa l’universo ed ogni filo d’erba, che conosce e vede i litigi del minuscolo genere umano, dona Se stesso in cibo a noi piccoli e miserabili».

            Durante le frequenti passeggiate con Ivan, il prof. Maraković discute delle questioni che lo interessano, dei problemi della vita pubblica e della cultura, nazionale e internazionale, lo indirizza nelle letture, lo mette in guardia dai pericoli. Gli fa vedere tutto alla luce della dottrina cattolica. Ma soprattutto gli offre in se stesso un modello concreto di intellettuale cattolico.

            Le annotazioni nel Diario, quindi, riflettono già questo nuovo clima in cui Ivan cerca di vivere. L’Eucaristia, la preghiera, la devozione a Maria lo aiutano nella lotta per il bene. Sarà una lotta lunga, ma egli ha preso la giusta direzione, grazie al prof. Maraković, al quale per questo rimarrà sempre grato.

            In questo clima, egli riflette anche sulla propria condotta nei riguardi della sua ragazza. «Tutto il mio rapporto con lei è intrecciato da vari baci. Quando però sono tornato da Travnik, ho capito che l’uomo non è solo corpo. Mi sono chiesto se ho agito bene». P. Vrbanek che come direttore spirituale di Merz meglio di chiunque ha conosciuto l’intimo di Ivan e che ha studiato bene il suo diario – in cui l’autore appare molto sincero e severo verso se stesso -, ha ritenuto opportuno fare una dichiarazione nella Prefazione alla biografia di Ivan, che traduciamo letteralmente:

            «Il Diario e gli scritti di Ivan non sono accessibili a tutti, e dati i tempi che corrono (1943!), possono anche andare perduti. Affinché ciò non accada a scapito della gloria di Dio e dell’onore del caro defunto, dichiaro come testimone che meglio di chiunque altro ha conosciuto Ivan, che tutte le debolezze che egli menziona, possono essere spiegate senza un suo peccato grave personale. Egli parla, come parlano le grandi anime, candidati alla santità, e non come persone grette e che contano solo con valori e rispetti umani».

            E ad ulteriore chiarimento della condotta di Ivan nei confronti della sua ragazza, p. Vrbanek fa presente che Ivan in quel tempo non era abbastanza istruito sulla virtù della purezza, per cui non vedeva peccato in certi atti di tenerezza. E per quanto riguarda il suicidio della ragazza, egli ovviamente non poteva avere alcuna responsabilità di quello che non aveva né previsto né voluto. Tuttavia più tardi si pentirà per quanto avesse potuto essere colpevole e con le penitenze corporali cercherà di soddisfare per lei e per sé.

            «… mi vengono i brividi, o Dio, se penso che si è tolta la vita da sola. La vita è la lotta per la Verità, lei invece con vigliaccheria ha desistito da questa lotta. E’ figlia del XX secolo, di principi leggeri. Se vivesse ora, forse sarebbe tutto diverso, oppure no. Forse anch’io sarei ancora(!) figlio del XX secolo? Chi lo sa? L’Altissimo regola tutto nel migliore dei modi». «Non sapeva il perché della vita. Forse non sapeva nemmeno che esistesse l’Eternità e che tutte le meraviglie del mondo, tutta la natura portano a scoprire che tutto proviene dallo Spirito infinito, dall’Ideale dell’umanità, dalla Verità, dalla Bontà, dall’Amore. E’ passata, passerò anch’io e tutto il resto, ma noi tutti saremo. Forse lei è! Ho paura al pensiero che abbia perduto l’Eternità. O Dio, Dio sommamente buono, ascolta la preghiera del misero verme che teme di volgerTi lo sguardo, il cui cuore viene avvelenato dal diavolo. Eterno Dio, concedi a Greta l’Eternità. Perdona anche a me tutto il male comnesso e indicami la via della giustizia. Torniamo agli uomini. La vita è la lotta per la Verità e riflettiamo su di essa» (4 luglio 1914).

            Negli ultimi mesi della scuola media Ivan frequentava un’altra ragazza «particolar­mente dolce» (15 maggio 1914) e che aveva «una buona educazione del cuore» (11 giugno 1914), ma dopo qualche mese, il 30 agosto, annotava: «Mi rendo conto sempre di più che non è fatta per me. Ha delle buone qualità, ma non ha quello slancio spirituale, quella larga visuale del mondo che io cerco. Con Greta potevo leggere Schiller, discutere della storia e in genere di tutto, lei capiva tutto, anzi alcune cose le conosceva meglio di me. Aveva letto molto ed era libera nel mondo. Sono poche le ragazze di questo tipo. Penso che il rapporto, se di rapporto si può parlare, si scioglierà piano  piano».

            Lo stesso giorno continua: «Le tentazioni mi attaccano tremendamente, però la preghiera mi sostiene. Nel santo dei santi (R. Tagore) –  nel mio cuore, la fede è incrollabile. C’è dello scetticismo. La lotta è eterna. So di non essere perfetto, ma i peccati mi pungono, però non so quali sono. Nel momento in cui faccio del male, mi accorgo che è male, più tardi però dimentico e faccio lo stesso. Se avessi qui un confessore intelligente per confidarmi ed essere compreso ed avvertito. Cercherò di andare a confessarmi prima della partenza (per l’Accademia militare) e a ricevere il Corpo quale conforto per la vita futura».

            6. Vacanze al mare. Scoppio della Prima guerra mondiale.

            Ivan non aveva ancora dato gli esami orali di maturità, quando improvvisamente venne la notizia dell’attentato di Sarajevo: il 28 giugno furono uccisi il principe ereditario Francesco Ferdinando e sua moglie – «uccisi in Bosnia», sottolinea Ivan nel diario. «Lo hanno ucciso gli “amici” degli Slavi, i Serbi». Ivan commenta i fatti che si susseguono, ma non perde di vista l’essenziale. «Con l’agitazione e con l’odio non si può ottenere nulla» (30 giugno). Nei giorni successivi scrive degli esami, poi il 19 luglio descrive il viaggio fino a Rijeka (Fiume) e Opatija (Abbazia), dove – per volontà dei genitori – si è recato per un periodo di vacanze. Il 25 «un fulmine a ciel sereno»: si parla di guerra. Domenica, 26 luglio: «Sorpresa inaudita. E’ ormai la guerra… Si arriverà probabilmente alla guerra mondiale… Le passioni si agitano. Il fetore della cultura del XX secolo». Ivan torna subito a casa, passando per Zagreb dove assiste alle demolizioni dei negozi dei Serbi.13 Il 6 agosto scrive: «Il mondo è in fiamme. Il diavolo trionfa».

            A Banja Luka viene provvisoriamente impiegato alla “Croce rossa”. Ormai è deciso che egli deve andare all’Accademia militare di Wiener Neustadt. Parte il 12 settembre 1914. Mancano ancora più di tre mesi al suo 18E compleanno.


  1. Cf. Hrvatska Enciklopedija, vol. II, Zagreb 1941, v. Banja Luka, pp. 203-210.
    ↩︎
  2. Cf. Testimonium baptismi, rilasciato da Antun Josip Milorad, parroco della parrochia della Visitazione della B.V.M. a Banja Luka, il 30 maggio 1914. In Arch. Merz.
    ↩︎
  3. Cf. Josip Vrbanek S.I., Vitez Kristov Dr. Ivan Merz (Il cavaliere di Cristo – Dr. Ivan Merz), Zagreb 1943, p. 12. –  P. Vrbanek, sacerdote dell’arcidiocesi di Zagreb (n. a Zorkovica, parrochia di Vivodina, il 4.X.1882, ordinato nel 1905), entrò nella Compagnia di Gesù nel 1911. Instancabile promotore della devozione al Sacro Cuore, fu anche redattore del “Messaggero del Sacro Cuore di Gesù” e direttore nazionale dell’Apostolato della Preghiera. Negli anni 1923-28 fu direttore spirituale e confessore di Ivan Merz. Più tardi fu pure padre spirituale nel seminario teologico di Senj e poi in quello di Sarajevo, dove fu anche professore di teologia morale e dove morì il 12 giungo 1945.
    ↩︎
  4. Ibid.
    ↩︎
  5. Per essere esatti, la scuola media di 8 anni frequentata da Ivan si chiamava “Velika realka” che corrisponde all'”Istituto tecnico”, in quanto non vi si studiava il latino. Ivan pertanto, dopo l’esame di maturità dovrà dare l’esame di latino al Ginnasio di Sarajevo, per poter iscriversi all’Università. Con questo esame supplementare egli aveva quindi il diploma corrispondente a quello di liceo scientifico.
    ↩︎
  6. Ansgar Albing, pseudonimo di Paul Mathies, nato a Hamburg nel 1868, convertito al cattolicesimo nel 1891, sacerdote nel 1906, prelato nel 1915, morto a Tunisi nel 1924. Autore religioso molto letto in quel tempo.
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  7. Ljuba = forma abbreviata per Ljubomir. Nel Diario ricorre anche l’abbbreviazione Luban, probabilmente usata soltanto tra gli studenti.
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  8. Secondo il biografo p. Josip Vrbanek S.I., p. 242, nota 5, Ivan nel 1923 avrebbe dicharato di appartenere alla Congregazione Mariana dal 1906; invece, dall’elenco dei nomi dei congregazionisti di Banja Luka, citato in una lettera del 1928 dal sac. dr. Pavo Pajić, insegnante di religione di Ivan, risulta che questi fu ricevuto nella Congregazione il 16 gennaio 1910. In una nota poi sta scritto: Cancellato dai libri della Congregazione nella seduta del 14.IV.1912 “per irregolare frequentazione delle riunioni dell’associazione e non adempimento dei doveri di membro”. Quanto al motivo della non regolare frequentazione delle riunioni, Pajić dice che Merz allora era nei suoi 14-16 anni, ancora come un bambino, e che non gli piaceva la disciplina della Congregazione e le sue regole. Ma a detta della madre di Ivan – come riferisce p. Vrbanek – la ragione dell’allontana­mento di Ivan dalla Congregazione sarebbe stata più profonda: egli non si sentiva attratto dal suo insegnante di religione, per qualche mancanza di quest’ultimo. Il prof. Maraković ha dato una sua spiegazione “psicologica” del fatto che Pajić non ha esercitato un particolare influsso sul Merz: «…Mons. Pajić era un autoctono Bosniaco, mentre Merz era uno “Schwabe” che non ha potuto trovare verso di lui un adeguato rapporto personale. Però la ragione principale sta certamente in questo che in Merz, sin verso la fine della scuola media non si era risvegliato il senso per la fede e la vita religiosa…Comu­nque un più intenso sviluppo interiore di Merz era ostacolato dal fatto che egli non aveva una istruzione classica, poiché frequentava la pura “realka” (istituto tecnico), dove non si imparava né il latino né il greco. Che cosa ciò significhi nella formazione del pensiero, ne può avere un’idea solo chi ha avuto a che fare intensamente con gli studenti dell’una e dell’altra categoria». Tuttavia, ciò non spiega sufficientemente il giudizio di Merz sul suo insegnante di religione. Infatti, nell’inchiesta fatta dal prof. Kniewald in vista della pubblicazione del libro Katolički đak (Studente cattolico), alla domanda: Che influsso ha esercitato sulla mia vita religiosa e morale: La scuola…, i compagni…, i professori…, lo sport…, Merz ha risposto: «La scuola elementare (statale) – negativo; la media – negativo; l’università – buono. I compagni – nessuno. I professori: l’insegnante di religione – disastroso (in croato: porazan); il cattolico-laico – mi ha salvato per l’eternità; i liberali – mi hanno messo nella testa tante bugie da cui forse non mi sono ancora liberato».  
    ↩︎
  9. In “Hrvatska Prosvjeta”, Zagreb 1938, p. 338.
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  10. Ibid., p. 339.
    ↩︎
  11. In “Hrvatska Prosvjeta”, 1938, p. 338.
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  12. J. Vrbanek, op. cit., p. 19.
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  13. Petar Grgec, nella biografia di Rudolf Eckert, descrive l’atmosfera di quei giorni, attribuendo alla polizia la responsabilità di quelle demolizioni di alcune case e negozi serbi: questi saccheggi furono opera di alcuni agitatori irresponsabili, lasciati liberi dalla polizia, aiutati da un certo numero di poveri riservisti che si erano trovati per le strade di Zagreb, chiamati sotto le armi, alcuni già per la terza volta dal 1912, e pertanto arrabbiati contro gli attentatori di Sarajevo e contro la Serbia che li aveva armati. P. Grgec, Dr. Rudolf Eckert, pp. 258-259.
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