C a p i t o l o  VI

C. DALLA CORRISPONDENZA DI IVAN MERZ

            I. Corrispondenza col prof. Ljubomir Maraković

1

            Lettera di Ivan Merz al prof. Maraković, Slovenska Bistrica, 15 maggio 1916.

            Caro signor professore,

            Già da parecchio tempo penso di scriverLe una lettera, nella quale vorrei descrivere il mondo in cui vivo, la mia lotta spirituale e informarLa di molte cose interessanti. Dico da parecchio tempo, perché non è passato giorno o esercitazione che io non raccogliessi nella mente e mettessi insieme le principali idee per questa lettera; anzi spesso affluivano e pullulavano i pensieri, oggetti e immagini, ma ad un tratto tutto questo si è interrotto; un vuoto strano si è creato nell’anima e non ho potuto più comprendere quello che avevo immaginato durante la lunga marcia cadenzata.

            Ed ecco ora che ho finalmente deciso di impiegare questo breve tempo (libero) in una specie di conversazione con Lei, la mia testa è vuota. Forse ciò è dovuto all’ambiente: la sala scolastica con banchi di legno (come nella nostra stanza di disegno), e alla lavagna alcuni –  tra questi anche Zechner – imparano i comandi per il battaglione. Dal di fuori si sentono le melodie delle canzoni russe e il suono vivace della fisarmonica, il che mi fa impressione come se sentissi quel cantore ubriaco dalle Memorie di un cacciatore (di Turgenjev) o vedessi il «mužik« tutto ebbro danzare battendo in cadenza col piede la terra, abbassarsi e impetuosamente alzarsi lanciando di tanto in tanto un grido; come se in certi momenti della danza si ricordasse della sua patria lontana. La musica diventa sempre più vivace, più veloce, il canto si distingue meglio…, però non è questo che voglio scrivere.

            Attualmente sono occupato dello studio di Nazor; e poiché so quanto Lei lo stima e come Le interesserà ogni minimo particolare della sua vita, Le racconterò qui qualche cosa di lui. Ma prima di tutto vorrei dirLe ciò che ha attirato la mia attenzione su di lui. Dunque, ab ovo!

            Appena sono arrivato quì ho cominciato a frequentare le compagnie, sapendo che avrei incontrato gente di vario genere. Infatti, così è stato. Oltre ai Tedeschi dal Mare del Nord ci sono Polacchi e Ucraini, poi gli Svizzeri e Italiani. Con questi ultimi in genere ho fatto amicizia. Tra questi c’è un pittore Ros(s)etti, mio coetaneo, cugino del grande pittore della Beata-e Beatrix, e pare che da lui abbia ereditato i principi etici e la maestria di pittura.  Mi ha fatto vedere i suoi disegni dai quali a prima vista si scorge un gran talento, mentre dai motivi che sceglie come anche dal suo racconto si vede che lo interessano i problemi più profondi. Un altro italiano di nome Weirz, studente di etnologia all’università di Zurigo, (è) alunno del noto professore di psicologia Freud ed è un ateo convinto. Con lui volentieri discuto; è interessante ascoltare le sue opinioni del tutto insolite sull’etica, sulla cultura e sull’uomo nonché sull’essenza di tutto.

            Questi Italiani di fatto lasciano l’impressione di rappresentanti di una grande e antica cultura, di intellettuali che noi, educati nella cultura tedesca, poco conosciamo.

            Dei nostri uomini potrei raccontarLe più male che bene. Portano con sé «varie espressioni» che tutti i compagni imparano. E i musulmani rimangono fedeli a loro stessi. Ah la triste histoire…

            Ma più di tutto mi ha rallegrato l’amicizia di Ribarić (che Lei conosce fin dagli anni dell’università), amico di Nazor. Non posso dire che mi abbia reso attento alla bellezza di questo poeta; egli però è stato il motivo per cui mi sono proposto di studiare Nazor. E’ l’occasione più propizia! E poiché conosco molte cose interessanti della vita e dell’opera di questo grande personaggio croato, sento proprio una necessità interiore di comunicare qualche cosa a Lei, mio maestro di letteratura. La relazione, è vero, sarà breve, poiché veramente ora non ho tempo (scrivo questa lettera a intervalli!), penso però che le nostre vie non si siano allontanate e che fra breve potrò comunicarLe tutto a voce. I nomi che Le menziono siano sepolti profondamente nella Sua anima, altrimenti potrebbero sorgere delle brutte indiscrezioni.

            Lei si è certamente accorto come Nazor, dopo la sua Lirica ha cominciato a servirsi di una nuova tecnica. Ribarić ha attirato, verso il 1910, la sua attenzione su Pascoli, nel quale la sillaba della parola si accorda con il ritmo. In breve Nazor allora ha rotto con l’antica scuola e ha cominciato a usare la tecnica di Pascoli. Ma poiché Nazor – come gli altri Dalmati – non conosce gli accenti corretti delle parole, si è procurato  Broz, Iveković, Pavić ed altri dizionari e, come Hugo e molti altri poeti, si è messo a studiare la lingua e gli accenti. Solo ora egli si è veramente innamorato della lingua croata e pensa sempre come pubblicare un dizionario popolare che in modo semplice rilevi le bellezze della lingua. Basta sulla ritmica, sebbene avrei parecchio da dire sul ritmo dell’Intima, non voglio però buttar giù sulla carta dei frammenti spezzati prima di aver studiato tutti i particolari.

            Ora viene il tema che interesserà specialmente Lei come antico bibliotecario, cioè la biblioteca di Nazor. Oltre ai dizionari vi si trovano un’antologia francese, l’Aida, la Cavalleria rusticana, il Faust, il grande Faust che per tutta la sua vita continua a studiare, Nordsee di Heine (“Talata” nelle Nuove poesie) e – quello che già da tempo immaginavo, a giudicare dall’Intima – Selma (Christuslegenden). (Non sono ancora riuscito ad informarmi sulla filosofia). Sulla sua idea nazionale Lei può formarsi un giudizio in base alle Nuove poesie, come anche alla poesia “Život” (Vita) e “Dva glada” (Due fami?), che si riferiscono ai Serbi. Egli, in verità, guarda questo da un punto di vista molto superiore di quanto si è fatto finora.

            Spesso (Nazor) diceva, ancora prima della guerra, che i Serbi non hanno affatto un uomo colto come da noi sarebbe il Đalski, che vivesse una evoluzione spirituale più profonda e si interessasse dei problemi eterni dell’umanità, ma che da loro tutto consiste nell’esteriori­tà, nello splendore delle forme artistiche e di altri mezzi tecnici, come si vede in Dučić.1 Nazor ammira quest’ultimo come artista della forma, ma non lo apprezza molto come poeta. Di tanto in tanto essi si scambiano delle lettere. E se si parla delle sue conoscenze, anche Lei viene in considerazione. Quando allora – in quell’epoca gloriosa –  Ribarić gli portò “Luč” con la Sua recensione dei Hrvatski kraljevi (I Re Croati), fu tutto entusiasta e disse: «Questi è l’unico che finora mi ha capito».

            La notte sta calando, bisogna abbreviare. Egli vive a Kastav, nella sua «turris eburnea», lontano dal mondo e dal suo fango, come un vero asceta (“Dva glada”, nelle Poesie d’amore, mostrano come è sessualmente intatto). Raramente, due tre volte all’anno, scende a Rijeka o Opatija. La sua vecchia madre e sua sorella lo assistono. Sono con lui anche i professori Šepić e Ribarić. Questo è tutto. Quest’ultimo lo aiuta nelle questioni filologiche: quella poesia nel dialeto «ciacavo» “Žena zapušćena” (Donna abbandonata) è frutto di questi due. Infatti, leggendo il poeta sloveno Ketle, si sono meravigliati che nel dialetto «ciacavo», che è giambico, non ci siano poesie giambiche (che si distinguono per la morbidez­za). E così decisero di creare la prima poesia giambica nel dialetto «ciacavo». Nazor l’ha scritta in prosa e poi essi l’hanno lungamente lavorata. (In modo analogo si è fatto prima con il «Galeotto»!).

            Dunque: Nazor fa una vita solitaria, regolare e ogni giorno passeggia alcune ore in quella splendida natura. Da una parte si vede il Velebit, dall’altra Učka, e laggiù il mare, il mare di Nazor. Appoggiato al bastone egli va ovunque; guarda come le nebbie s’arrampicano sulle rocce e si ferma ad ogni vallata e ad ogni arbusto in cui c’è almeno un usignolo. Quest’orchestra – a dire di Ribarić – è qualcosa di straordinario. Inoltre recentemente è accaduto che durante la notte si è sciolta la neve, e poi improvvisamente è venuta la bora, così che tutto il bosco è gelato come un cristallo. (Descrizione esatta nel “Bosco cristallino”).

            Ma qualcun altro si è levato contro questa “Montagna dei sogni” e di nuovo ha reso semplice mortale questo gigante e semidio, come Lohengrin. (Questo qualcuno) E’ stata la signora Br. – dunque, è venuta la donna che egli chiamava come l’usignolo nel «Notturno» (Nuove poesie), che egli nell’animo intravvedeva (come dice nelle Poesie d’amore). E’ la moglie di un medico… Con lei Nazor ha fatto delle passeggiate, talvolta in compagnia della maestra…, anzi – miracolo mai visto! –  Nazor l’ha invitata qualche volta a pranzo. E questo è tutto: dell’amore certamente non hanno mai parlato. Ella però, come se avesse profonda­mente sentito quell’amore, è fuggita da qui alla sua isola (“Il paradiso perduto”). Frutto di questo profondo amore sono le Poesie d’amore.

            Con questo termino la mia breve relazione su Nazor. Quando l’avrò studiato tutto intero Le manderò il frutto di questo studio; però in genere posso dire che dalle Nuove poesie ho visto che egli ha creato tante cose che erano nei miei desideri.

            Quanto alla sua religione è simile a Hugo. Grande ottimista, contrasto spirituale di Kranjčević. Nella poesia “Na vrhu” (Sulla cima), nelle Nuove poesie, egli esprime la sua religione. Con anima e corpo è per l’etica cristiana, e stima molto il lato estetico del culto della Madonna che tanto abbellisce la vita dei Croati. Pertanto ama particolarmente una poesia di Pascoli, dove è descritta la devozione del mese di maggio. Si vede ancora con fatica…

            Fuori le campane suonano l’Ave Maria, ed io La saluto di cuore e amichevolmente

                                                                                                                                               Hans

2

            Dalla lettera del prof. Maraković a Ivan Merz, Sarajevo, 14 giugno 1916. 

            Caro Hans,

            I pendii dei monti di Sarajevo sono verdi, giù nel parco odorano i gelsomini e le rose come in una favola, mentre io sto seduto tra quattro muri accanto ad un mucchio di scritti e di libri, tormentando gli occhi ed il cervello con i problemi delle relazioni scolastiche e delle domande degli alunni. Caro Hans, sono un uomo molto ingrato, perché è trascorso proprio un mese da quando Lei mi ha scritto la sua cara lunga lettera, Lei che può rubare pochi momenti liberi al giorno, ed è stanco dagli sforzi fisici. Ed io taccio e taccio, pur sapendo con quale desiderio attende le notizie di qui. So che sto meglio di Lei, però mi creda che sono così preso dal lavoro e tormentato dalle pene morali che appena riesco a concentrarmi… Ad ogni costo ho dovuto per questo numero (della rivista “Hrvatska Prosvjeta”) trascrivere e redigere definitivamente la prima parte di Ljudi naših dana (Uomini del nostro tempo) e, dopo aver felicemente spedito questo (22 pagine), posso occuparmi della corrispondenza…

            Se ha qualche libreria a portata di mano compri un libro illustrato dei Blaue Bücher di Karl Larsson Das Haus in der Sonne (costa solo 1,80 Mk), non si pentirà, le illustrazioni sono meravigliose e l’idea dell’opera è straordinaria. In genere, l’ottimismo di vita di questi uomini (Svedesi) è qualcosa che bisogna studiare e – imitare…

            Volevo scrivere di Nazor, però mi ha preceduto Grgec2 in “Hrvatska Prosvjeta” (la riceve?), e naturalmente non sono d’accordo con quel modo di presentare, ma io non arrivo a tutto… Del resto, Grgec, come Lei sa, ha cultura e comprensione e oggettivamente può avere ragione nelle sue deduzioni, ma quel modo di presentare è antiquato, e i criteri della critica non sono moderni. In genere Grgec è più filosofo che critico letterario…

            Grazie tante per i dati, tutto fino all’ultimo mi ha interessato. Sono contento che Lei non perde la forza dello spirito, solo si mantenga così. Mi sorprende e mi rallegra assai quella nota che potremmo vederci – lo desidero molto. Come sta con la Sua carriera militare? Non dimentico Nazor. Forse è bene che non possa occuparmene ora: raccoglierò più materiale.

            Per questa volta devo terminare… Molti saluti al sig. Ribarić e ad altri conoscenti.

La saluta cordialmente

                                                                                                                         Suo Ljuba Maraković

3

            Lettera di Ivan Merz al prof. Maraković, dai 2009 metri d’altezza, 21 agosto 1916.

            Carissimo,

            A prima vista, questa lettera sembra come un reclamo commerciale per il debito non pagato; però «come il vino in una bella coppa non deve essere (necessariamente) buono», come direbbe S. Agostino, così non bisogna mai giudicare il contenuto secondo l’esterno.

            Io in questo momento vorrei prendere la mia anima e spremere da essa tutto il midollo e la pienezza delle melodie gloriose; canterei se sapessi cantare, griderei, urlerei di gioia; no, la cosa migliore è un compunto pregare la più Bella, Quella piena di luce e di colori, piena della celestiale splendente trasparenza del Cielo di Dante. E sa dove mi trovo seduto? capisce questa prefazione? Fuori ululano i venti furiosi, le nuvole schizzano come i serpenti, e “Eisschaner” sono qua e là sui monti. Mi trovo sulla montagna, nella patria di Burns e di Nazor, nella culla del canto di Mahomet (Goethe!) e di tutti i geni.

            Sotto di me si ergono le rocce fino a 1500 m, e quando il sole le illumina – oh, se sapesse come sono grande, un vero titano – le rocce scoscese e bianche come la neve si stendono sotto di noi e si vede tutto il panorama dei monti e delle valli con le loro ombre…

            Qui siamo in esercitazione. Abbiamo passato dei luoghi pericolosi. Qui pernottia­mo. Domani torniamo a Mürzzuschlag.

            Ho raccolto molto materiale. Ho studiato Nazor e ora mi interessano le questioni estetiche: I salmi – Whitman – Rodin.

            Rimango qui fino al primo (settembre)…                                                                                

            Mi ha fatto visita Stipe Filipović. Dall’Isonzo anch’egli al fronte.

                                                                                                                                               Hans

4

            Dalla lettera del prof. Maraković a Ivan Merz, Sarajevo, 23 settembre 1916.

            Caro Hans,

            […] La ringrazio di cuore per tutto: per il Suo frequente ricordo e per l’entusiasmo dalla vetta di Rax – Lei non sa quale gioia mi procura tutto ciò…

            Penso che adesso per Lei vengano i momenti decisivi – dove andrà, Dio lo sa. Dunque, adesso Lei è frontdiensthänglich? Rimane presso il reggimento bosniaco? So che dovunque Lei vada, non interromperà la bella serie delle Sue cartoline e lettere che sempre mi rallegrano tanto. Le auguro soltanto di aver tempo per pensare e raccogliersi, almeno di tanto in tanto.

            Giorni fa una signorina che conosco mi ha invitato al tennis…Lì ho conosciuto molte signorine, di cui alcune sono veramente molto belle, ma tutte sono Tedesche. E’ caratteristico per Sarajevo che queste ragazze qui siano cresciute e abbiano frequentato la scuola, ma molte non sanno nemmeno una parola croata. Quelle che lo parlano, parlano in maniera orribile, fatte poche eccezioni. Inoltre qui si sente terribilmente la mancanza  di istituti superiori d’istruzione per il mondo femminile, perché la scuola delle Suore nere (Figlie della Divina Carità), sebbene vi si insegni anche la pittura (!) e la musica, non dà una istruzione mondiale (vasta), e nell’istituto magistrale l’istruzione è dozzinale così che non si avverte molto. Qui almeno mi trovo in compagnia in cui mi distraggo un po’ e scuoto la polvere dell’ufficio. E non sono così terribilmente solo…Leggo relativamente molto: continuo lo studio di romanzi, specialmente dei Nordici…

            E’ giunto l’autunno, la mia stagione… Che in questa stagione nascano i piani, si comprende da sé. Dunque vorrei: 1E terminare la Mistica, se avrò la letteratura, 2E la seconda parte di Ljudi naših dana; la prima parte uscirà nel prossimo numero della “Prosvjeta”…, 3E scrivere su Nazor e la critica…

            Molti cordiali saluti

                                                                                                                   Suo Dr. Ljuba Maraković

5

            Dalla lettera del prof. Maraković a Ivan Merz, Sarajevo, 19 dicembre 1916.

            Nel dicembre 1916 Ivan aveva mandato al prof. Maraković tre cartoline. In quella dell’8 dicembre chiedeva: «Che cosa pensa di quel terribile articolo di Rogulja?» Intendeva l’articolo “Pred zoru” apparso nella rivista “Luč”.3 Chiedeva inoltre il parere di Maraković sul libro di Hans Steiger Dr. Heiland; Steiger allora si trovava con Merz come volontario. Nella successiva cartolina del 12 dicembre avvertiva il professore che nella rivista “Gral” dell’anno precedente era uscita una critica del Dr. Heiland e lo pregava di procurargliela. Infine, nella cartolina del 13 dicembre si riferiva a quanto Maraković aveva accennato nella lettera del 23 settembre circa una eventuale riforma della rivista “Hrvatska Prosvjeta”, nel caso che egli ne fosse diventato redattore, o sulla fondazione di un nuovo periodico. A tal proposito Merz gli ricordava che anche Nazor intendeva fondare un periodico per raccogliere intorno a sé, come diceva Ribarić, tutti i talenti, senza riguardo ai partiti; sarebbe quindi opportuno mettersi d’accordo con lui. A questi argomenti il prof. Maraković accenna nella seguente lettera, che inizia con una introduzione poetica sull’Avvento dei bambini (omessa).

            Caro Hans,

            […] La ringrazio di cuore per tutte le cartoline e per il “Dr. Heiland”: ho ricevuto tutto in ordine e voglio risponderLe.

            Per quanto riguarda “Dr. Heiland”, Le dico subito che mi piacciono soprattutto le pagine sul medico in Eperješ. Questo è scritto da un maestro… Sono particolarmente forti i passi in cui il narratore ricorda il medico. Il resto è appena abbozzato; in tutto ci sono molti pensieri, forse anche troppi. Forse penso così perché non conosco nei particolari l’Apocalis­se; fra tutti i libri della S. Scrittura, di questo mi sono occupato di meno, perché non trovo tempo per leggere i commenti, e questo libro senza commentari non va. Ma di questo doveva tener conto anche l’autore. […]

            Qui tutto come prima. L’altro giorno sono andato a trovare Tiešić, collega di Timča, il quale ora fa da assistente di disegno nel ginnasio scientifico. Abita nella casa paterna, una casa bosniaca vecchia ad un piano, però tenuta bene e pulita; qui ha lo studio artistico, cioè una grande stanza con le finestre arabe. Egli è molto laborioso e molto più serio di Timča, particolarmente modesto e silenzioso, abbattuto perché a lui come Croato, nella sua patria non fioriscono le rose. Fa esposizioni a Vienna con buon successo, invece vende per lo più a Cracovia. Sono particolarmente belli i suoi paesaggi invernali.

            Ho elaborato per “Vrhbosna” la recensione del lavoro poetico del defunto Dragan (Augustin) Dujmušić, su richiesta del redattore, che è suo cugino. […] I miei Ljudi naših dana hanno fatto un gran rumore, mi giungono varie domande e osservazioni, il che mi è utile. La seconda parte sarà più vasta…Riceve la “Prosvjeta”? Mi scriva, io scriverei a Suo papà di mandargliela – Gliela possono mandare gratuitamente in quanto è militare in guerra.

            Quell’articolo di Rogulja procurerà ancora molta pena. Il dott. Dujmušić aprirà in “Vrhbosna” una inchiesta su questo ed anch’io scriverò brevemente; raccoglierà anche le dichiarazioni di altri personaggi più eminenti. C’è da temere che questo metterà in moto la questione, ma non si può più tacere.4 […]

            Sono contento che Lei si trovi in così buona compagnia. Ancora una volta Le auguro buon Natale con molti cordiali saluti

                                                                                                                         Suo Ljuba Maraković

6

            Lettera di Ivan Merz al prof. Maraković, s.d. 

            Questa lettera non reca la data, ma dal contesto è chiaro che si tratta della risposta alla precedente del Maraković, del 19 dicembre. Dev’essere stata scritta subito dopo il ritorno di Ivan da Banja Luka, dove il giorno di Natale 1916 aveva assistito alla prima Messa dell’amico Bilogrivić. La lettera è importante soprattutto perché ci fa conoscere il contesto in cui fu redatto lo scritto Novo doba. A spingere Merz a scriverlo non fu il menzionato articolo di Rogulja (come pensa il dr. Kniewald), di cui in questa lettera non c’è alcun cenno, bensì un bisogno interiore di mettere in una forma più articolata ciò che egli in quello stesso tempo aveva annotato nel suo Diario a proposito della sofferenza che genera uomini grandi e della necessità che l’esperienza della guerra non venga sprecata.

            Caro Ljuba,

            Troppo ufficiale suona il titolo «Signor professore», perciò scelsi un altro perché so che non si adirerà.

            La Sua bella e accurata lettera (si vede che è stata scritta in ufficio!) mi ha davvero rallegrato. Quel giudizio su Dr. Heilland l’ho tradotto subito allo Steiger, il quale di conseguenza ha deciso di rifarlo. Non si chiama più Franz Xaver, ma

                                                                LUX HEILLAND

                                                        Dr. Staatswissenschaften.

Il nome è abbastanza opportuno, perché anche Cristo potrebbe chiamarsi Lux Heilland, solo questa seconda L indica che non lo è…. Quando uscirà la nuova edizione, Gliela manderà.

            Qui abbiamo abbastanza tempo libero, però non posso lavorare come vorrei, perché non sono solo nella camera, e inoltre i ragazzi continuamente entrano e chiedono consigli. Spesso vi rimangono tutto il pomeriggio fumando la pipa e raccontano le cose dei tempi antichi e cantano…le antiche canzoni popolari su Musa Keseđija e Kraljević Marko. Talvolta si trova tra di loro qualche “Turco” (=musulmano bosniaco) il quale, sentendo che Marko ha ucciso Musa, interrompe adirato il canto dicendo: «No, le cose non sono andate così».

            Ho impiegato il tempo soprattutto per imparare parole francesi, non ho potuto quindi leggere opere d’arte. Ho dovuto fare così perché – non so se a Lei lo abbia detto – i genitori hanno acconsentito – costretti dalle circostanze! – che io studi romanistica e germanisti­ca.

            Questo articolo che allego l’ho scritto col «proprio sangue» (per esprimermi in termini tragici). Sono consapevole che è arido e scritto in uno stile non buono e che questo argomento dovrebbe essere elaborato più profondamente. Volevo illustrare e ravvivare tutto ciò con i versi di Dante, perché egli è l’unico poeta che ha capito pienamente il senso del dolore, ma per questo tema ci vogliono parecchi lavori preliminari. Il tempo per questo manca.

            Ho scritto questo perché semplicemente lo dovevo fare. Tutto il tempo sono stato come in un delirio: per l’ennesima volta ho dovuto spiegare a me stesso il senso della vita, quando ho visto un soldato precipitare da una roccia scoscesa nel burrone e rimanervi morto, e quando tacendo ho dovuto guardare come quest’epoca “civilizzata, emancipata” impicca uomini al palo.

            Il pensiero che ogni momento potevo essere mandato al fronte e lì soffrire e forse anche perire ha accelerato questo lavoro. Dovevo ad ogni costo orientarmi in questo mondo e giustificare o meglio dimostrare a me stesso che tutto è buono e ragionevole per il fatto che esiste. Quella inquietudine spirituale e una certa paura inconscia davanti alla morte, almeno per ora mi ha lasciato (o m’immagino così) e sopporto tutto di buon grado o meglio volontariamente. Con questo articolo mi sono riconciliato con la sorte. Finora ho avuto relativamente molta fortuna. Suljić è già andato al campo, ed io mi sono sottratto alla Marschkompagnie. Alcuni di questo corso sono già andati a Bolzano, mentre per i Bosniaci non c’è nulla ancora. Come vede, sono anche troppo fortunato. Sono pronto in ogni momento, ma, grazie a Dio, non arriva nulla.

            Ho letto Utva zlatokrila (di Nazor) 2-3 mesi fa e ricordo di aver trovato parecchi difetti tecnici. Per il resto è una cosa meravigliosa per noi e soprattutto è la prima vera epopea romantico-idilliaca. Bisognerebbe scrivere un saggio su Nazor; peccato che i nostri grandi uomini vengono conosciuti solo dopo la loro morte. Ho letto anche Ljudi naših dana (Uomini del nostro tempo), ma non ho potuto passare tutte quelle opere che Lei ha scelto come esempio. Pertanto non posso esprimerLe un giudizio, La prego soltanto di inviarmi la “Prosvjeta” quando esce la seconda parte, e saluti Čičić e gli dica di mandarmi contro assegno “Naša misao” quando uscirà In memoriam a Tieck e su Dujmušić.

            Per il Natale sono stato a casa. Bilogrivić ha celebrato la prima Messa, e quasi tutto il giorno l’ho passato dai Trappisti. Questi uomini conducono una vita veramente profonda. P. Anselmo mi ha raccontato  di essere stato parroco vicino a Trieste e quando ha deciso di farsi monaco, ha detto a se stesso: «Entrerò nell’ordine, anche se faranno di me una salsiccia». Per un mese e mezzo non poteva (far) niente, gli piace il pane e la birra, ma ora si è abituato. Li ammiro sempre. […]

            P.S. La prego di correggere gli errori di stampa e di restituirmi (lo scritto).  Qualcuno ha rubato quel mio studio su Turgenjev.

7

            Lettera di Ivan Merz al prof. Maraković, (dalle Dolomiti), 6 febbraio 1917.

            Il 25 gennaio Ivan aveva spedito al prof. Maraković una cartolina «dalla terra dei Latini (Ladini) e noti maestri dell’arte ecclesiastica», scrivendo: «Siamo arrivati qua per ulteriore addestramento nell’uso degli sci e delle corde», e chiedeva che impressione gli avesse fatto «quel piccolo frammento»: intendeva certamente il suo articolo Novo doba. Si interessava inoltre delle novità nel “nostro” mondo (dei cattolici croati).

            Senza aver ricevuto risposta, il 6 febbraio scriveva quest’altra lettera.

            Carissimo,

            La risposta non arriva, sebbene m’interessi molto. Legge i giornali? In che modo le cose vengono esposte al pubblico?

            Ci troviamo un paio di chilometri dal fronte; a intervalli si sente il profondo rimbombo di cannoni, – duum, – duuuu. Siamo lontani dagli uomini a 2050 metri, circondati dai monti 1000 m ancor più alti. Le rocce tagliate, isole di corallo d’una volta (Dolomiti!), sporgono fuori verticalmente dalla terra. Ci arrampichiamo dovunque e guardiamo lontano, lontano nel regno dei monti che si stende davanti a noi.

            La neve è alta, e noi sugli sci andiamo dovunque. S’immagini il chiarore della luna a questa altezza; i monti sono come fantasmi, e pinete nere gettano forti ombre sulla neve argentea. Bisogna vedere queste bellezze alpine. Nonostante tutta questa poesia anelo alla pace e al lavoro.

            Che cosa c’è di nuovo nel nostro mondo letterario? E’ uscito l’articolo di Dujmušić in “Vrhbosna”? Ho sentito che Lei in quest’ultimo anno si è messo a comporre poesie (“Naša misao”). Che cosa sta facendo adesso?

            Ho letto Jörgensen, poi la Vita nuova di Dante. Mi ha interessato il problema (solo il problema!) dell’amore. Qui ho trovato Zapisci suvišna čovjeka (Memorie di un uomo inutile – di Turgenjev) e li leggo per la terza volta. E’ strano che in diversi periodi della vita l’uomo  qui trova qualcosa d’altro, gli interessi del lettore cambiano. Adesso, naturalmente, mi interessano i passi relativi alla morte, e mi meraviglio come siano esattamente analizzati i sentimenti dei morenti. Poi l’atmosfera stessa è compenetrata da una profonda poesia, così che spontanea­mente vengono sulle labbra le parole: in valle lacrimarum. Saluti da Hans

8

            Lettera di Ivan Merz al prof. Maraković, 21 marzo 1917.

            Ivan ha ricevuto una cartolina del prof. Maraković, il cui contenuto non ci è noto. Dalla seguente risposta possiamo congetturare che il prof. Maraković abbia espresso la sua opinione sull’articolo Novo doba, trovando opportuno che fosse pubblicato. Ivan a questo proposito scrive:

            Caro signor professore,

            La Sua cartolina mi ha sorpreso. Ho scritto quella piccola cosa in primo luogo per me stesso, volendo mettere in chiaro la vita che mi ha coinvolto; ho voluto spiegare a me stesso che «tutto è giustificato per il fatto che esiste». Solo dopo aver scritto questo, ho sentito il bisogno di comunicarlo a qualche altro, e quest’altro è stato naturalmente Lei. Se Lei pensa che sarebbe opportuno stamparlo, lascio tutto a Lei, se no, almeno conservi questo finché io ritornerò dal fronte. Non ho copia.

            Nemmeno io so come potrò continuare gli studi dopo la guerra. Sono completamente uscito dalla carreggiata di una volta e solo aspetto la pace.

            Prego di mandarmi il nuovo numero di “Prosvjeta”, poi “Vrhbosna”…

            Sul fronte non accade nulla; ogni giorno la lotta con gli aerei. Schegge e pallottole.  Gli aerei vengono spesso, ma per ora non c’è pericolo. Addio!   Hans


  1. Jovan Dučić, diplomatico serbo, poeta e scrittore di viaggi; ha pubblicato due volumi di poesie liriche (1901 e 1908).
    ↩︎
  2. Petar Grgec, v. Cap. II, nota 17.
    ↩︎
  3. Vedi Cap. II, num. 7.
    ↩︎
  4. Vedi il giudizio critico di Maraković sull’articolo Pred zoru, Cap. II, num 8 (ultimi due capoversi).
    ↩︎