C a p i t o l o  VI

         Alla visita militare Ivan fu accettato nell’esercito perché aveva dimenticato di dire di avere la vista debole (Diario, 2 dic. 1915). Le successive visite a cui si farà sottoporre da militare non cambieranno la sua situazione.

            Il 1 marzo 1916 partì per Graz, dove rimase tutto il mese. I successivi quattro mesi (aprile-luglio) li passò a Slovenska Bistrica. Nell’agosto, fino al 27, frequentò un corso per gli ufficiali a Mürzzuschlag, dando l’esame pratico a Graz alla fine del mese. Fino alla fine di settembre rimase a Lebring (città militare presso Graz), assegnato alla 15. Ersatzkompa­gnie. Sperava di rimanervi almeno due mesi ancora, ma in ottobre ricevette una licenza di quattro settimane. Una la trascorse a Banja Luka, ma non con i genitori, i quali in quel tempo si trovavano a Pécz, dove suo padre era in servizio come rappresentante della ferrovia militare. Da Banja Luka si recò a Vienna (10-17 ottobre) con l’intenzione di iscriversi all’università, ma senza speranza. Infatti, il 13 ottobre fece sapere alla madre che sarebbe stato molto difficile iscriversi, essendo richiesta l’autorizza­zio­ne dell’esercito. Il 22 ottobre era con i genitori a Pécz, da dove il 23, in compagnia della madre, ritornò a Banja Luka (Diario, 22 e 31 ottobre). Il 6 novembre scrisse da Lebring sia al padre che alla madre, pregando questa di risparmiarsi le lacrime perché, almeno fino al 20 dicembre, egli probabilmente sarebbe rimasto a Lebring, dopodiché si sarebbero visti a casa. Due giorni dopo la informava di essere stato nominato direttore del Cinema cittadino di Lebring e che per alcuni mesi ancora non si sarebbe parlato del fronte. A tenere i suoi genitori in apprensione era, ovviamente, il timore che Ivan fosse inviato al fronte. Questa eventualità divenne alquanto più remota quando egli fu mandato a fare un corso di sci (Skykurs) a Seewiesen nella Stiria. Partì per la nuova destinazione il 14 novembre. Il 23 dello stesso mese informava il padre che dopo il corso sarebbe stato inviato direttamente al campo, ma non nelle prime linee («nicht direkt in die Feuerlinie»). A Seewiesen rimase fino al 2 gennaio 1917, eccettuati tre giorni di licenza per Natale che passò a Banja Luka, dove poté anche assistere alla Prima Messa dell’amico Nikola Bilogrivić (Diario, 28 dicembre; lett. a Maraković, inizio 1917). Dal 4 gennaio 1917 le sue cartoline sono scritte da Bozen (Bolzano), il 23 gennaio passa a St. Christina e dal 4 al 14 febbraio le cartoline sono scritte da Regensbur­gerhütte (a 2000 m di altezza) (Dolomiti). Il 14 febbraio è a Trento e il 18 di passaggio a Bolzano. Dal 19 febbraio non viene più indicata la località, ma la posta militare (Feldpost 369). «Il fronte – scrive – è abbastanza lontano da qui».

            E’ possibile seguire la vita militare di Ivan quasi giorno per giorno, grazie alle cartoline che quasi tutti i giorni mandava ai genitori: ne abbiamo ben 177 scritte nei primi dieci mesi di servizio militare, cioè nel 1916; ci sono poi 356 cartoline dell’anno 1917, e altre 292 del 1918. Ma il contenuto di questa abbondante corrispondenza serve poco per la conoscenza della vita interiore di Ivan, la quale, invece, ci viene rivelata dal Diario e un po’ dalle lettere scritte a Bilogrivić e a Maraković. Nei primi tre mesi del 1917 non scrive il diario, ma in compenso abbiamo una interessante testimonianza del dott. Šime Lukin (pseudonimo di Cvitanović), tenente e superiore di Merz in quel periodo (v. infra, D).

            Alla madre egli scrive cose che servono a tranquillizzarla, affinché non si preoccupi eccessivamente per il figlio lontano. Appena arrivato a Graz, la rassicura che sta così bene da non poter desiderare qualcosa di meglio; sta meglio che a casa (4 marzo). «Non preoccuparti di me, perché mai nella vita sono stato così bene come adesso» (31 marzo). «Adesso ho un’ordinanza che mi serve» (26 maggio). E così via.

            Con il padre, invece, ogni tanto scambia qualche pensiero più serio. Così il 3 giugno scrive: «La psiche dell’uomo è meravigliosamente disposta e solo ora comprendo che la libertà dello spirito e del corpo è una condizione dell’esistenza dell’uomo. Naturalmente è bene anche non averla e condurre un combattimento eroico contro la vita. Io già mi rallegro vedendo come i muscoli dello spirito e del corpo si rafforzano in questa lotta. In tempo di pace potranno fare qualche cosa». E il 20 giugno: «Caro padre e amico! La Tua cara cartolina mi ha rallegrato assai e sono contento di ricevere da Te buoni consigli, o meglio di essere da Te compreso. La vita non è affatto una cosa così facile, però si trova la gioia nell’avere la volontà di resistere sino alla fine. Pertanto sarei forse ancora più felice se mi trovassi in una situazione ancor più difficile (dal momento che qui vivo come a casa), per rafforzare e temperare la mia anima». Il 20 luglio scrive: «Caro padre, di tutto cuore Ti ringrazio per le Tue parole amichevoli. Sono lieto di poter scorgere in Te una evoluzione di pensiero verso Dio e di trovare comprensio­ne da Te. La vita davvero non è così semplice come io da borghese la immaginavo, tuttavia si prova una certa gioia nel superare gli ostacoli». 

            1. Il primo impatto con la vita militare. A Lebring-Graz (marzo 1916).

            Ivan aveva provato la vita militare nell’Accademia, ma quello era un ambiente particolare, diverso da quello che trovò a Graz. Il 7 marzo 1916, infatti, egli scrive all’amico Bilogrivić di aver trovato una compagnia migliore di quanto avesse sperato. Era relativamen­te contento.

            Il 7 marzo comincia a riempire le pagine del VII quaderno del suo Diario, descrivendo le prime impressioni a Lebring e a Graz. Continua poi il 18 marzo. Nell’anno­tazione di questo giorno, ad un certo punto interrompe la descrizione dell’ambien­te: «Bisogna pensare anche alla propria anima. Abbiamo tante esercitazioni che non si arriva ad occuparsi di un qualsiasi lavoro spirituale. Da domani tenterò di leggere qualche cosa e di continuare a coltivare la mia anima, di trasportarmi di nuovo in quel bel mondo della notte. Proprio questo è la cosa più necessaria per me in questo momento. C’è una grande probabilità che mi mandino al fronte. Parlando sinceramente, non ho paura della morte, perché lassù è il vero regno. Solo non mi sono ancora riconciliato con il pensiero che io veramente andrò là e non sono consapevole di condurre una vita virtuosa. Infatti, da quando faccio il militare, ho perso il contatto con Lui e ho smesso di lavorare su me stesso. Non ho meditato in che cosa potrei migliorare e non mi è chiaro se sono al servizio di una causa buona. Spesso ho desiderato il dolore e la sofferenza, e quando questa più volte mi ha colto, mi sono chiesto se questo serve al fine. Infine mi si impone il pensiero se veramente dovevo giurare, in altre parole se dovevo promettere solennemente di combattere contro quelli che i signori delle cancellerie designeranno. Infatti, sono stato sempre contro la guerra; preferirei abbracciare e rappacificare tutti gli uomini, ora invece devo ucciderli». Le riflessioni continuano e confermano quello che Ivan aveva scritto al prof. Maraković, cioè di essere arrivato al punto di non accettare nulla senza pensare.

            Lo solleva la visita fatta alla chiesa di Maria-Trost: «Quando vi sono entrato, mi sono raccomandato alla Madre Purissima e, vedendo la gente che pregava e si alzava dagli inginocchiatoi con le lacrime negli occhi, mi è sembrato riscoprire di nuovo quel mondo che si era tanto allontanato da me. E tutta quella mistica della chiesa, quel tremolio della luce perpetua e di innumerevoli candele compenetrano l’anima come un odore soprannaturale. E’ superflua qualunque descrizione; ognuno sa quanto la vicinanza dell’Eucaristia fortifica» (20 marzo).

            Il 23 marzo annota di essersi spiritualmente alquanto orientato, ma che sono ricominciate le lotte spirituali. Non è contento di sé, ritiene di essere molto calato spiritualmente, ma in concreto, ciò che si rimprovera è di aver sempre fame… «Forse una cosa così prosaica non è per il diario, ma nella vita attuale ciò ha un ruolo. Nel mio caso non si tratta più di un cristianesimo teorico. Sono diventato membro della società e devo diventare un cattolico praticante, il quale si manifesta – mi pare – soprattutto in queste piccole cose quotidiane». Si rimprovera di non essere sempre molto puntuale, di essere superficiale, soprattutto soffre per la sua «mediocrità», di non sapersi alzare al di sopra dell’ambien­te. Ma più di tutto gli dispiace di non aver avuto nemmeno una volta l’occasione di assistere alla s. Messa. «Nonsens. Avrei dovuto fare dei sacrifici e l’occasione si sarebbe trovata. Proprio ora ho bisogno della forza spirituale, devo attingere alla sorgente inesauribile dell’Amo­re, a quella forza onnipotente dell’Eucaristia che riempie l’anima di luce più chiara del giorno, che la trasforma nella contentezza spirituale… Con tutte le forze vorrei ritornare di nuovo a questa Sorgente. Deus, adiuva me!» (27 marzo).

            Il giorno dopo, 28 marzo, prorompe in giubilo. «O Dio, come sei grande! Sono pieno di felicità e gioia. Ho visto una cosa così piccola, eppure tanto grande come non ne ho vista nessuna finora nella mia vita». Davanti alla porta chiusa della chiesa in Annestrasse Ivan ha visto due soldati inginocchiati che pregavano, non curanti della gente che passava. «Dio, Dio, ascolta il grido dell’uomo debole e dammi quella grande fede, senza rispetto umano, di questi uomini semplici! Quando saluto per strada passando accanto alla chiesa, sono abbastanza nervoso a causa degli altri. E quando ho voluto entrare nella chiesa per adorare l’Eucaristia, nemmeno ho pensato di inginocchiarmi davanti alla chiesa. Quanta corruzione e pregiudizi umani ci sono ancora in me! Sempre e sempre cerco di correggermi, e sono sempre più debole. Ti chiedo forza, o Dio!».

            2. A Slovenska Bistrica (aprile-luglio 1916).

            Dall’inizio di aprile 1916 Ivan è a Slovenska Bistrica, un paese della Stiria. L’8 aprile scrive a Bilogrivić:  «Non mi trovo così bene come a Graz, perché qui non ho tempo sufficiente per raccogliermi. Tutta la mia vita spirituale è nel godere nella natura primaverile e nel meditare su di essa. E anche questo relativamente poco. Sono molto stanco. Ho esercitazioni dalle 6 alle 12 (ci si alza alle 5), e nel pomeriggio dalle 2 alle 4. Inoltre la scuola ed altri lavori, così che rimane appena un’ora libera al giorno».

            Anche nel Diario scrive che il suo stato d’animo è peggiore di quando era a Graz (6 aprile). «Talvolta sento l’ira – una giusta ira – contro la stupidità umana e distruggerei tutto»; ma questo sentimento naturale viene controbilanciato dalle considerazio­ni della fede: «A dire il vero, talvolta provo una soddisfazione, una vera felicità perché soffro ingiustamen­te; così sono più simile a Cristo. Certo, che differenza! Solo in questa sofferenza spirituale posso fino ad un certo punto rappresentarmi il Cristo crocifisso: donare la propria vita gratuitamente, senza alcun interesse, lasciarsi crocifiggere ingiustamente per l’umanità. Dio – Cristo!».

            Un sollievo gli viene dalla compagnia del prof. Ribarić, amico del grande poeta croato Vladimir Nazor, la cui poesia diventa oggetto delle loro conversazioni.

            La Domenica delle palme, il 16 aprile, Ivan è stato in chiesa ed è felice: «Oggi sono pieno di una certa luce, di entusiasmo e di amore. Quella vita mistica è tornata come in un baleno. Mater dolorosa, Mater amabilis – quanto è buona!». E il giorno di Pasqua ha ricevuto la Comunione. «Questo mi ha dato forza e mi ha riempito l’animo di infinita gioia. Alcune ore più tardi, però, sembrava apparire una certa terribile reazione. Sebbene non avessi dubitato, tuttavia non ho sentito la sua grandezza di questo mistero e, in una parola, ho provato un sentimento di terribile insoddisfazione spirituale: forse perché sono molto debole» (24 aprile).

            A Ivan faceva sempre ribrezzo sentire discorsi poco puliti, e nella vita militare questo era all’ordine del giorno. Ancor più lo rattristava il fatto che nelle file dei suoi amici cattolici c’erano alcuni che lasciavano desiderare dal punto di vista morale. Il 10 maggio egli registra nel diario: «Orribile! Non perché vivo fisicamente in schiavitù, ma perché guardo la sozzura tra le nostre file… Bisognerebbe cacciarli dall’Associazione, per il buon nome di questa!». Continua poi: «Ultima­mente mi sono passate per la testa molte cose. C’è quella lotta contro la carne e il tentativo di elevarsi su tutto ciò e di unirmi con la natura e con Dio. E’ una lotta difficile che dura eternamente».

            D’altra parte Ivan è convinto che la Provvidenza veglia su di lui e che anche il suo servizio militare ha un senso. Grazie a questo – pensa Ivan – sua madre è ritornata a Dio. «La mia più ardente preghiera è stata esaudita. Persino mio padre dice di essere stato colto da un sentimento di preghiera quando è venuto in mezzo alla meravigliosa natura. C’è ancora in lui di quella falsa logica moderna, però passerà anche questo». E termina l’annotazione con uno slancio mistico: «Dio, Dio, quanto ti amo, quanto ti ringrazio perché ora mi colmi l’anima di una singolare dolcezza. Come l’anima mia si innalza, come vola a Te! Con una forza sovrumana vorrebbe rompere questo petto per andare da Te, lassù, per l’eternità, per unirsi a Te» (10 maggio).

            A questi slanci spirituali subentrano vuoti e lotte. Il 14 maggio, scrivendo all’amico Bilogrivić, caratterizza la propria situazione con una frase spiritosa: «Quotidianamente sono in gita con il fucile e in lotta con me stesso». E un mese più tardi, il 16 giugno, gli dirà: «Come mi senta nell’anima, nemmeno io lo so; nella prassi la vita non è così semplice come in teoria. Comunque, è molto interessante». Tuttavia egli non può non costatare qualche progresso: nota infatti che con maggior facilità riesce a liberarsi del denaro e di altre cose (24 maggio).

            Oltre che nei pensieri religiosi, Ivan trova sollievo nella natura, nell’arte e nella letteratura. Il 4 giugno annota: «Mi sono rasserenato oggi leggendo Istarske priče (Racconti istriani) di Nazor. Non sapevo che i Croati avessero così moderne e belle novelle, che sotto molti aspetti possono essere paragonate con quelle di Lagerlöf». Ma alla fine registra: «L’anima mi si sta viziando. Mi tormenta la sensualità; i pensieri più brutali mi afferrano ogni momento». «La peggiore cosa è che rimango sullo stesso piano etico, anzi sotto molti aspetti cado. E’ molto difficile accontentare la società e Dio nello stesso tempo» (16 giugno).

            Nonostante avesse poco tempo libero per letture, in questo primo periodo della vita militare Ivan ha letto e analizzato una serie di opere. Così l’Abencérage di Chateaubriand (cf. Diario, 20 marzo), Riccardo III e Le allegre comari di Windsor di Shakespeare (24 aprile, 26 luglio), Le crime di P. Bourget (15 luglio), L’intruse e Les Aveugles di Maeterlinck (1 luglio). In modo particolare lo ha interessato il libro di Houston Stewart Chamberlain, Grundlagen des 19. Jahrhunderts (12 giugno), che raccomanda anche all’amico Bilogrivić (lett. del 16 giugno). Leggendo il norvegese Björson, lo confronta con Ibsen, ma anche con E. Kumičić (1850-1904),scrittore croato di novelle, romanzi e drammi. «Kumičić non poteva nascere nella Norvegia, come del resto Björson in Croazia. Sono figli di due popoli diversi, che conducono una vita particolare. In Croazia la lotta politica dei partiti è all’ordine del giorno, sono sussulti di un popolo soggiogato. Il popolo nella Norvegia è libero, lì si svolgono lotte molto più moderne…» (27 giugno). Più di tutti, come già accennato, lo interessavano gli scritti di Vladimir Nazor (1876-1949). Tuttavia, per la vita il libro migliore è De imitatione Christi (30 giugno).

            3. «L’afflato di una nuova epoca nella mia vita».

            Il 28 dicembre 1916, Ivan affidava il suo Diario all’intimo amico Bilogrivić, allora sacerdote novello: «Nel caso che mi “capiti” qualche cosa, Ti prego di prendere i miei diari che si trovano nella mia scrivania… e sono numerati con inchiostro rosso da I.-VIII. Dunque se “capita” qualche cosa, li regalo a Te, e allora potrai sfogliarli insieme con Maraković. Sono convinto che, accanto a molte fanciullaggini studentesche (in orig. «maturalne» = di maturando, candidato all’esame di maturità), vi troverai anche delle belle recensioni di opere letterarie, e nell’ultimo (VIII.) forse sentirai l’afflato di una nuova epoca nella mia vita».

            Il 19 luglio 1916, mentre era ancora a Slovenska Bistrica, annotava: «Silenzio totale… Così anch’io mi sento in pace. Vorrei pregare a lungo, con animo dolente, affinché Quello di lassù mi sradichi dal cuore tutto ciò che mi lega al transitorio… O Dio, sradica in me tutto questo, crea di me l’uomo e non la rana che sempre striscia nel pantano». La sera quando si corica, senza che ci pensi, egli sente «il grande desiderio del Pane, di quella piccola Ostia. Allora non so più nulla, la ragione dorme completamente, mentre la mia bocca e tutta la mia interiorità vorrebbe l’Ostia per unirsi ad essa».

            Le riflessioni annotate nel Diario diventano più lunghe e più profonde; volendo riassumerle si rischia di non cogliere tutta la ricchezza della sua vita interiore. Le analisi che fa del suo intimo vanno fino alla radice, sia che si tratti dell’egoi­smo, magari molto sottile (19 luglio), o della sensualità che affiora e lo fa soffrire (15 e 26 agosto), sia che rifletta sul condizionamento dell’uomo moderno (23 luglio) e sulla dipendenza dei suoi compagni dalle sigarette (26 agosto). Lo tormenta il problema della vita (15 agosto) e, naturalmente, diventa di scottante attualità quello della morte (26 agosto) e del dolore (22 ottobre).

            Il giorno dell’Assunta Ivan è a Mürzzuschlag, ha fatto la Comunione che per lui è sempre un’esperienza particolare, un immergersi nel soprannaturale. Pare che si sia aspettato qualche luce sul proprio futuro, pensando di poter trovare in un monastero la soddisfazione dei suoi desideri, ma senza successo. Una inquietudine lo perseguita. Si meraviglia che una volta potesse entusiasmarsi per l’arte e cose simili. Sa che nemmeno una donna potrà soddisfarlo, tuttavia, nonostante tutte le sue precauzioni, una forza vulcanica lo attira verso di lei, il che lo fa soffrire. «Dolore, dolore, un atroce e tetro dolore mi ha preso», termina l’annotazione del 15 agosto.

            Il 26 agosto registra una certa attenuazione delle tentazioni. Nella situazione concreta in cui si trova, gli si impone con prepotenza il problema della morte. «E questo deve ora interessarmi più di tutto, perché già fra due mesi potrei essere lontano dalle speranze di questo mondo». Ritiene necessario pensare più spesso alla morte, «per essere preparato ad essa in ogni momento».

            Guardando indietro, il 10 settembre scrive che a Slovenska Bistrica era preso da un certo «sano pessimismo: mi sono convinto che il dolore è l’aratro che ara l’umanità, e che la vita è la sorgente di tutto. Sì, la vita di ogni individuo, la (sua) volontà che sottomette a sé ogni vena del corpo, affinché questo (sia) in armonia con tutto l’universo e con quello Spirito che tutto muove. A Mürzzuschlag ho studiato Whitmann e Sant’Agostino, perché mi interessavano i problemi della vita, specialmente perché ero tormentato sessualmen­te. Adesso sento una stagnazione nell’anima, perché mi trovo tra gli uomini…», ma poi aggiunge: «La mia vita spirituale è lacerata». Lo ripete ancora il 20 settembre, mentre si trova a Banja Luka. «Il fatto stesso che mi sono confessato sabato, e domenica non ho fatto la Comunione dimostra la lacerazione che sperimento nell’anima. Per di più è stata inopportuna la lettura della Fame di Hamsun, con alcuni passi troppo erotici. Avevo bisogno di qualcosa che mi unisse l’anima all’Unico e la elevasse, e non lacerasse costringendomi a sperimentare la sensualità e combatterla per l’ennesima volta. Anzi questa vita familiare mi fa schifo. E’ una tremenda tirannia. Ci si alza tardi – contro la natura -, si mangia continuamen­te e si vive ogni giorno ugualmente come una macchina. Invece, quando sono solo, anche se ho fame, sento almeno di dominare qualcosa, di lottare e di avvicinarmi sempre più alla Perfezione. Lì almeno l’anima vive e contempla, mentre qui non sento così chiaramente la differenza tra il corpo e l’anima» (20 settembre).

            Mentre Ivan era a Vienna (10-17 ottobre), per tentare di iscriversi all’universi­tà, aveva preso le dispense di diritto romano; ma pochi giorni dopo, un amico era riuscito a convincere il padre che era una sciocchezza costringere uno ad un determinato studio (Diario, 22 ottobre). Alla fine anche la madre «tacitamente acconsentì» perché Ivan studiasse la filosofia (lett. a Bilogrivić, 2 novembre 1916). Si decise quindi a studiare le lingue neolatine e germaniche nonché il croato come facoltativo.

            Ma ormai egli sente vivamente la transitorietà della vita e «pensando a questa transitorietà, non ho voglia di nessuno studio, di nessuna letteratura, di nessuna ragazza, di nulla affatto. Forse solo una vita ascetica, monastica nell’adorazione dell’Eucaristia rende  soddisfati. Il resto no, mi sembra» (22 ottobre). Avendo finito di leggere l’opera dello storico inglese Thomas Carlyle sugli eroi e il loro culto, osserva che san Francesco d’Assisi ed alcuni missionari sono eroi molto più grandi di Maometto, di Lutero, di Cromvell. «La loro vita ascetica è l’eroismo più grande di tutte le vittorie di Napoleone» (ibid.).

            Nelle ultime annotazioni del 1916 Ivan ritorna sul problema del dolore. «Oggi ho fatto la Comunione e in questa occasione mi sono convinto che tutta la storia è scritta col sangue, che tutti i valori culturali sono frutto del dolore. La religione è nata ed è necessaria a causa del dolore: il dolore salvava l’uomo dall’ignavia, esso gli inculcava sempre il timore dinanzi a un dolore sconosciuto e più grande. Chi vuol capire la cultura, deve aver sofferto, non solo spiritualmente, ma anche fisicamente» (26 novembre).

            «Sono convinto che tutto ha uno scopo, questo lavoro e le mie piccole sofferenze. Attraverso il dolore l’uomo vede tutto diversamente e comprende più profondamente l’amara parola: vita. Questo pensiero mi viene confermato da (Tommaso da) Kempis (De imitatione Christi, II, 12): “Ecce in cruce totum constat et in moriendo totum iacet”… Sì, il dolore è il succo della vita… Proprio gli uomini che hanno sofferto sanno che cosa è il dolore, la sofferen­za… Quindi amo questa generazione, perché ha sofferto e ha capito che la vita è una cosa seria, e non un giocattolo, e che vivere significa combattere.

            E’ nuova quest’epoca, con uomini nuovi che stanno vivendo una grande vita… Pertanto faccio un memento a me stesso e a tutti: viviamo una vita profonda e grande e ogni momento siamo consapevoli della nostra reale esistenza, e non poniamo resistenza a quest’armo­nia che regna nell’universo… E proprio per poterci immergere in questo universo infinito, per poter osservare più oggettivamente la vita esteriore intorno a noi, dobbiamo annientare in noi ogni passione e anelare alla vita ascetica». Ivan continua le sue riflessioni, dicendo tra l’altro che Goethe «doveva mandare Faust al fronte, ed egli certamente sarebbe tornato con una più profonda visione del mondo». E «quando sarà finita questa guerra, che crea uomini grandi…, non dobbiamo ritirarci nelle nostre camere calde e accanto al bicchiere di vino raccontare gli avvenimenti eroici. Dobbiamo avere sempre presente la transitorietà della vita e che questa è solo una piccolissima fase dell’eternità. Cerchiamo di addolcire con la vita ascetica questo breve periodo; come i Trappisti, giuriamo che lavoreremo alla nostra perfezione, e siamo certi che compiremo anche grandi opere. E’ facile scrivere, ma è difficile fare!» (17 dicembre).

            Ricordando il 20E compleanno che la defunta Greta avrebbe compiuto quel giorno (ed egli stesso il giorno prima, il 16, aveva compiuto 20 anni!) annotava: «Il tempo ha fatto di me un uomo completamente diverso: questa vita non è più la sorgente di tutte le gioie, ma piuttosto la valle di lacrime… Sì, Dio mio, io ti comprendo: la vita – dici – è una prova breve e dura e chi la supera entra nella vita piena di splendore e di colori« (ibid.).

            E nell’ultima annotazione del 1916 – che è anche l’ultima dell’VIII. quaderno – ritorna l’argomento della sofferenza, questa volta con una citazione del Maestro Eckehart: «Tutti voi che meditate, ricordatevi che il cavallo più veloce che vi porta alla perfezione, è la sofferenza. Non c’è nulla di più amaro della sofferenza e nulla così dolce come l’aver sofferto. Il fondamento più sicuro della perfezione è l’umiltà. Poiché si eleva alle più sublimi altezze della Divinità solo colui il cui uomo naturale (carnale) è stato umiliato fino al livello più basso» (28 dicembre).

            Alla fine di questa annotazione Ivan accenna al suo breve soggiorno a Banja Luka, dove il giorno di Natale ha assistito alla prima Messa dell’amico Nikola Bilogrivić, celebrata nella chiesa dei Trappisti, ha ricevuto la Comunione e ha passato quasi tutto il giorno nel monastero. Ricorda inoltre d’aver avuto contatto con una amica, Zora, che non l’ha lasciato indifferente: il sentimento che egli aveva nutrito per Greta ora cominciava a sentirlo per Zora. Ma – precisava – «non sono ancora certo da che parte andare… Per il momento non voglio intraprendere nulla, lascerò che gli avvenimenti si svolgano a piacimento; la cosa principale è conservare l’indipendenza morale» (28 dicembre).

            Nei primi tre mesi del 1917 Ivan non scrive il diario, ma dalla sua corrispondenza e dagli appunti di Šime Lukin (dr. Cvitanović) apprendiamo che la sua vita spirituale aveva avuto qualche nuova spinta, soprattutto per opera di un francescano a Bolzano, il quale lo aveva introdotto nel segreto della meditazione sistematica.   

            4. «I tempi nuovi» (Novo doba) – scritto di Ivan Merz.

            La tematica su cui si era soffermato nel Diario il 17 dicembre 1916, scrivendo di una nuova epoca che stava emergendo, di uomini nuovi che, avendo sofferto, avevano capito la serietà della vita, è stata elaborata anche in uno studio a parte, terminato prima della fine del 1916. E’ il suo articolo «Novo doba», del quale egli dice di averlo scritto «col proprio sangue (per esprimermi in termini tragici). Ho scritto questo semplice­mente perché dovevo farlo. Tutto il tempo sono stato come in un certo delirio; per l’ennesima volta ho dovuto spiegarmi il senso della vita, quando ho visto un soldato precipitare da una roccia scoscesa nel burrone e rimanervi morto, e quando tacendo ho dovuto guardare come quest’epoca “civilizzata, emancipata” impicca uomini al palo» (lett. al prof. Maraković, v. infra, C, 5). I due fatti tragici a cui allude sono menzionati nel Diario, il primo il 26 novembre 1916, l’altro il 22 luglio. «Il pensiero che ogni momento potevo essere mandato al fronte e lì soffrire e forse anche perire, ha accelerato questo lavoro. Dovevo ad ogni costo orientarmi in questo mondo e giustificare o meglio dimostrare a me stesso che tutto è buono e ragionevole per il fatto che esiste. Quella inquietudine spirituale e una inconscia paura davanti alla morte, almeno per ora mi ha lasciato (o m’immagino così) e sopporto tutto di buon grado o meglio volontaria­mente. Con quest’artico­lo mi sono riconciliato con la sorte».

            Ivan allegò lo scritto alla citata lettera diretta al prof. Maraković nei primi giorni del 1917. Pare che il prof. Maraković (con una cartolina non pervenutaci) abbia prospettato a Ivan l’eventualità che lo scritto venisse pubblicato. Questo per Ivan dev’essere stato una sorpresa, poiché egli ancora una volta, il 21 marzo 1917, ripeteva di aver scritto «per se stesso» e di aver poi pensato di comunicarlo a qualcuno, precisamente al suo maestro. Ma se questi riteneva il lavoro opportuno per la stampa, egli si rimetteva al suo giudizio.