C a p i t o l o  VII

            Ormai esperto sciatore, Ivan sarà impegnato in zona di guerra, sempre sul fronte italiano, ma non nelle unità combattenti. Grazie soprattutto alla sua corrispondenza con i genitori e alle annotazioni del Diario possiamo seguirlo nelle varie situazioni in cui è venuto a trovarsi sul fronte negli anni 1917-1918.

            1. Sull’Altipiano di Asiago.

            Il 14 febbraio 1917 lascia la Regensburgerhütte e, via Bolzano, arriva a Trento. Per diversi mesi si fermerà sull’Altipiano di Asiago.

            Il 19 febbraio scrive alla madre: «Il fronte è abbastanza lontano da qui», e il giorno dopo: «Non sono al fronte ma lì dove si trovano le alte Eccellenze, e in questo stato rimarrò tutto l’inverno e probabilmente più a lungo». Il 22 febbraio, dopo due ore di marcia, giunge con i suoi sette uomini alla propria destinazione: «Finalmente sono giunto alla mia destinazio­ne dove ho una bella, calda camera. Oggi ricevo anche un letto. Ricevo vettovagliamento nello spaccio degli ufficiali… Nei prossimi giorni probabilmente girerò sugli sci per orientarmi nei dintorni» (23 febbr.).

            Il 10 marzo 1917 scrive al padre: «Il mio servizio è lo stesso: tenere collegamenti con le retrovie. Spesso ci sono dei giorni difficili, quando ad es. bisogna far collegamen­to durante la tormenta di neve, però non c’è alcun pericolo e questo è la cosa principale». E il 12 marzo: «Non appartengo alla truppa di combattimento e non mi trovo sulle posizioni (avanzate), ma abbastanza lontano, indietro». ll 27 marzo chiede: «Senti qualcosa sull’attuale situazione politica croata? La gente qui ne è preoccupata».

            Lo stesso 27 marzo Ivan riprende la scrittura del Diario. Tutte le annotazioni fino al 22 luglio sono scritte sul monte Zingarella. In quale ambiente egli si trovasse in quel periodo lo possiamo immaginare tenendo conto di quanto egli scrisse al padre il 22 luglio: «Già durante mezzo anno non ho visto case costruite, bambini e donne».

            A proposito della «casa», il 18 maggio scrive: «Provvisoriamente sono abbastanza occupato. Sto costruendo una baracca per 10 uomini e una stanza per me. Sono curioso di sapere se da ciò risulterà qualcosa». «E’ cominciata l’offensiva sull’Isonzo – aggiunge -, e qui c’è una perfetta calma. (Si veda però il Diario, 18 e 19 maggio). E’ possibile che già in questo mese avremo la pace, tutto fa pensare che siamo all’ultimo atto della guerra». Il 6 giugno informa il padre: «Oggi mi trasferisco nella mia nuova abitazione, ma chi sa quanto tempo vi rimarrò. Speriamo non a lungo; in questo mese si potrebbe arrivare all’armistizio».

            Il 9 luglio scrive all’amico Bilogrivić: «Sto seduto nella mia stanza che ho costruito con i miei uomini sotto una rupe. Il cannone spara, tutti i monti rimbombano come dei tuoni. Dopo questa salve, sei cannoni, uno dopo l’altro fanno i colpi, la baracca trema e i monti rimbombano, rimbombano… L’aereo ronza, i cannoni e fucili cercano di colpirlo, ma esso, dalle ali rosso-verdi, dignitosamente, gira intorno tranquillo. Così avviene sempre».

            Ivan scrive ai genitori tutti i giorni, sia al padre che si trova a Pécz sia alla madre a Banja Luka. Naturalmente non proprio tutte le cartoline arrivano a destinazione, lo stesso avviene anche per quelle che i genitori mandano a lui. La madre è sempre preoccupata, per cui le cartoline a lei indirizzate sono scritte in tono ottimistico, talvolta con umore. Così il 19 giugno: «Cara mamma! Tu sei una buona mamma, mentre Tuo figlio non vale molto. Egli legge troppo e non ascolta i consigli della sua vecchia madre. Però mia madre dev’essere felice quando egli legge, perché allora sa con certezza ch’egli sta bene, quasi come a casa. Scriverò al sig. comandante del Corpo che la mamma già si inquieta perché il figlio non viene a casa in congedo ed egli, forse, mi lascierà».

            Ma una settimana più tardi annota nel Diario: «”Non leggere i libri di Jörgensen, come ad esempio Pilgerbuch, perché sono cose del tutto anormali”. Così mi scrive la mamma e allora come posso rallegrarmi di andare a casa in vacanza! Tutta la felicità non consiste in un buon cibo e nella biancheria pulita e nemmeno nell’amore dei genitori. Voglio che mi capiscano e che non mi giudichino così ciecamente. Strano che la guerra non abbia esercitato alcun influsso su di lei e ancora le aleggia davanti agli occhi il figlio ben vestito» (27 giugno). E alla mamma risponde: «Mi dispiace molto che Tu giudichi il Pilgerbuch come anormale» (27 giugno).

            Sul monte Zingarella Ivan ha letto una dozzina di opere letterarie recensendole e analizzando nel Diario (v. infra).

            Il padre di Ivan, non solo agli occhi della madre ma anche di Ivan stesso, passa per ottimista: «Tu sei un grande ottimista e vivi ancora nell’atmosfera prebellica» (20 maggio). Con lui Ivan affronta argomenti più seri. Il 25 aprile gli scrive: «E’ impossibile descrivere la mia vita interiore, questo si può fare solo a voce e solo in certi momenti. Se vuoi orientarti, il libro di Jörgensen Nostra Signora di Danimarca è per Te la migliore lettura».           A contatto con un francescano a Bolzano, p. Venceslav Varta (o Barta), Ivan ha avuto l’idea di continuare gli studi a Friburgo in Svizzera. Il 18 giugno spiega al padre le ragioni di questo orientamento: «L’indirizzo dell’Università di Friburgo si distingue da quello della maggior parte delle altre note università, ad eccezione di quella di Lovanio. Essa è religiosa e lavora con tutti i mezzi alla rinascita della vita religiosa. Lì ci sono anche dei Croati». Ivan desiderava che anche il suo amico Bilogrivić vi andasse e a tal fine aveva pregato il dott. Rebac a Banja Luka di intervenire presso il Vescovo per ottenerne il consenso. Il Vescovo però, per allora, non acconsentì perché, data la mancanza di sacerdoti, aveva bisogno di Bilogrivić1.

            Saputo che il padre aveva ricevuto una decorazione, Ivan gli scrive: «Hai aspettato un po’ a lungo la Tua decorazione, tuttavia io non Ti esprimo le mie congratulazioni, poiché tali cose le portano per lo più quelli che non le hanno affatto meritate. Qui si parla di campagna invernale e non di pace» (28 giugno).

            Il 18 luglio annuncia prossima la licenza, che avrà solo verso la fine del mese: il 28 luglio è a Banja Luka. Il 15 e 16 agosto si trova a Zagreb: «Ho passato qui bei giorni», in compagnia del prof. Maraković e Oskar Grünwald (16 agosto, al padre).

            Il 17 agosto è di nuovo a Trento. «Da qui il viaggio è stato un po’ più difficile, perché dovevo fare in auto una parte del percorso e una parte a piedi» (18 agosto, alla madre). L’ultimo quadrimestre del 1917 fu per Ivan più movimentato.           

            Tornato sull’Altipiano di Asiago, il 19 agosto scrive al padre: «Gli Italiani hanno abbandonato le loro posizioni e questo per noi è un cambiamento, poiché tutto il giorno cerchiamo lì delle rarità». «Le posizioni italiane appaiono terribili e sporche…E’ da meravigliarsi che un popolo di cultura possa vivere in questa sporcizia» (20  agosto). «Aspetto quanto promesso sulla massoneria…Posso impiegare per me 5-6 ore al giorno» (21 agosto).

            Il 14 agosto 1917 a tutti i governi belligeranti fu fatta pervenire la Nota di Benedetto XV (datata 1E agosto) che li invitava a fare la pace e proponeva basi di negoziato. Nella lettera al padre, del 25 agosto, Ivan così commentava il passo del Papa: «La nota del Papa sulla pace certamente non avrà alcun successo poiché egli non ha alcuna autorità sui popoli. Una volta ciò era diverso, quando distribuiva corone regali, destituiva sovrani e stringeva alleanze con gli Stati. Allora poteva naturalmente concludere la pace perché i popoli, grazie all’uniformità di religione, avevano fiducia il lui. La condotta dell’attuale Papa è nella linea della tradizione, perché egli sta al di fuori delle nazioni e vuole assicurare ad ogni singolo popolo i suoi diritti, ma le sue parole devono cadere su un terreno infecondo, dal momento che ogni Stato persegue i propri interessi e non vuol sentire nulla sulle aspirazioni culturali comuni. Oggi interi Stati sono così demoraliz­zati che solo la potenza e la forza portano la pace. I grandi pensieri non combinano nulla. Oggi appare addirittura la necessità che il Papa, per poter agire sul piano mondiale, abbia uno sbocco al mare e uno Stato proprio, altrimenti i giusti interessi di intere nazioni vengono mutilati dalla censura italiana troppo nazionalista. Al giorno d’oggi ci sono soltanto due possibilità per arrivare alla pace: con violenza, cioè che una parte venga costretta alla pace, perché, con l’attuale situazione degli Stati, solo gli interessi espansionisti­ci nazionali contano. Oppure con le offerte di pace a sfondo ideale, o le conferenze di pace internazionali; ma queste sono una utopia (Conferenza di Stoccolma!)».                

            Il 26 agosto Ivan annuncia al padre il cambiamento di ufficio: «Poiché sono superfluo qui presso il comando del reggimento, domani sarò assegnato ad una compagnia e assumerò un plotone. Non devi pensare che per questo starò peggio, ci sarà comunque più servizio, ma ciò non è affatto più pericoloso di prima, perché adesso regna una perfetta calma e le posizioni degli Italiani sono lontane dalle nostre oltre 2000 metri. Nell’inverno torno di nuovo al comando del reggimento per svolgere il servizio di guida nelle montagne». Arrivato al nuovo posto, il 28 agosto scrive: «Dal mio ricovero che è bello, ho una bella vista lontano fino alla campagna italiana…C’è anche più servizio: ogni 17 ore devo per 3 ore andare in giro nelle trincee». Qualche giorno dopo è trasferito di nuovo: «Io sono un uccello migratore. Adesso vado alla 10. compagnia, perché lì mancano ufficiali» (31 agosto). E il 6 settembre si fa vivo da una nuova destinazione: «Siamo arrivati alla nuova destinazione e la troviamo più bella della precedente. Da noi si ha una bellissima veduta sulla città italiana di Asiago, che si trova 2000 passi da noi». Alla madre spiega la ragione di questi spostamenti: «In seguito alle battaglie sull’Isonzo sono state ritirate da qui delle truppe e noi abbiamo dovuto allargarci. Così è accaduto che il nostro reggimento ha dovuto occupare una parte nelle vicinanze. Qui regna una calma perfetta e la vista sulla città di Asiago, in parte distrutta, è bella, anche se abbastanza triste» (9 settembre). Ma lo stesso 9 settembre Ivan, che si trova sul Monte Rasta, annota nel Diario: «Le condizioni sono peggiorate. Qui bisogna spesso fare la ronda… Non ho paura di fare la ronda, ma perché esporre la propria vita per il capriccio di un capitano? A casa, la mamma si lamenta perché non riceve posta da una settimana; che cosa direbbe se sapesse perché sono qui? I superiori non mi sopporta­no…».

            2. Sull’fronte dell’Isonzo. La battaglia sul Tagliamento.

            Il 13 settembre 1917 Ivan fa sapere al padre che «qualcosa si sta preparando» e il 18 scrive: «Per 4 ore gli Italiani hanno cannoneggiato e hanno distrutto 4 ricoveri, senza che ci fossero feriti. Probabilmente volevano ingannarci, affinché non inviassimo alcuna riserva all’Isonzo». (Cf. Diario, 20 settembre). Com’è noto, ci furono ben dodici offensive italiane sull’Isonzo, e l’ultima segnò la disfatta dell’esercito italiano a Caporetto (Kobarid).

            Il 27 settembre Ivan prevede prossima la partenza «per Villezano (Civezzano? o Vezzano?), bella cittadina vicino a Trento». Quel giorno manda una cartolina anche all’amico Bilogrivić: «In questi giorni spero di andare a Trento… Ieri ho visto cadere un aereo. Si vedeva un fuoco che cadeva mentre gli uomini a una certa distanza precipitavano “come fez” verso la terra. E’ caduto nella città di A(siago) davanti alla quale ci troviamo adesso». (v. Diario, 26 settembre).

            L’8 ottobre è a Bolzano e il 9 fa sapere al padre: «presto ci metteremo in viaggio». E’ il viaggio che deve portarlo in Carinzia (Diario, 5 ottobre). L’11 ottobre è già a Villach, da dove il 15 scrive al padre: «Non siamo ancora partiti…L’incertezza non è gradevole…». Il 20 scrive: «Alcuni giorni fa ho potuto ammirare il potente Triglav» (il monte più alto della Slovenia).        

            E il 24 – la giornata di Caporetto! – Ivan scrive al padre che «intorno a noi hanno luogo importanti avvenimenti che potrai spiegarti leggendo i giornali». Il 25 manda una cartolina all’amico Bilogrivić: «Mentre io, seduto in una stanza calda guardo i fiocchi di neve scendere lentamente sulla terra, fuori infuria la battaglia. Si sente il frastuono dei cannoni e, stando alle notizie telefoniche, sono stati conquistati alcuni monti. Anche noi qui aspettiamo quando dovremo attaccare. Per ora mi trovo a un chilometro dal campo di battaglia, per cui sto bene. Spero in Dio che anche questi giorni saranno favorevoli a me».

            Lo stesso 25 ottobre informa il padre: «Adesso mi muovo con gli altri. Gli Italiani sono stati sfondati ai fianchi e hanno abbandonato le posizioni senza sparare colpo».

            Dal Diario di Ivan (27 e 30 ottobre, 5 novembre) apprendiamo vari particolari sui giorni successivi alla battaglia di Caporetto. Il 25 ottobre ha attraversato il monte Krn, è sceso a Kobarid (Caporetto). Hanno proseguito per Pascoli, Molmento, Tarcento. Il 3 novembre, durante la notte c’è stata la battaglia sul Tagliamento. Di questa esperienza Ivan scriverà il 18 novembre: «Il Tagliamento è stato la rinascita spirituale».

            Solo il 12 novembre egli riesce a mandare una cartolina alla madre, dicendo che si trova sempre in marcia, per cui non è stato ancora introdotto il traffico postale militare. «Non c’è alcun pericolo poiché gli Italiani fuggono senza opporre resistenza. Qui ci sono delle belle città, però molto viene distrutto». E il 19 novembre scrive ai genitori: «Nei primi tempi abbiamo dovuto marciare molto, adesso già da alcuni giorni stiamo fermi e non possiamo andare avanti.  (Dal Diario, 18 novembre, sappiamo che il 16 c’è stata la battaglia sulla Cornella). Avete probabil­men­te saputo dai giornali dove ci troviamo. Io mi trovo presso il comando e vedo tutto senza prendere parte al combattimen­to».

            3. Di nuovo sull’Altipiano di Asiago.

            Per un mese Ivan non segna niente nel Diario, ma si fa vivo ai genitori. Il 27 novembre ha ricevuto a Trento una cartolina della madre. E il 2 dicembre fa sapere al padre che già da due settimane si trova a riposo passando per diversi villaggi. Studia italiano e chiede un dizionario tedesco-italiano e una grammatica semplice della lingua italiana (5 e 11 dicembre). In questo stato è ancora il 17 dicembre, quando nel Diario registra le sparatorie verso il Monte Grappa, nonché la tregua con la Russia. Il 18 è sceso a Cismone, dove una granata italiana è esplosa a circa 80 passi da lui.

            Il 22 dicembre srive all’amico Bilogrivić: «Qui molta nostra gente perisce. Onore anche ai Tedeschi della Carinzia! Durante tutta l’offensiva non ho visto un solo reggimento ungherese. Dove si va con la testa contro il muro, avanti i Bosniaci o quelli di Villach! Io sono rimasto al vettovagliamento. Più fortuna che saggezza!»

            Il Natale del 1917 è il primo che Ivan passa in terra straniera (Diario, 25 dicemb­re). Fino al 27 gennaio 1918 il Diario tace, ma il 10 di quel mese Ivan scrive al padre di essere abbastanza occupato, essendo ufficiale della posta, Kriegsanleihereferent, inoltre ha assunto un plotone del collega Mujagić che è in licenza, e infine ha una propria pattuglia di sciatori.

            Il 27 gennaio 1918 annota nel Diario: «La vita è difficile: desidero essere astinente, ma non va così facilmente. Cerco di non fare la colazione e la merenda pomeridiana. Già da alcuni giorni dormo per terra e cercherò di alzarmi più presto del solito (almeno alle 6) per poter intrattenermi più con Dio. Parlo troppo, sto troppo in compagnia, sono debole nella sofferenza. Quando il nostro reggimento andrà lassù alla posizione (Stellung) mi offrirò volentieri per andare con loro e abituarmi un po’ ad attendere la morte. Signore, aiutami!»

            Verso il 10 febbraio torna alla montagna: le annotazioni del Diario risultano scritte a Casara Bolzano (14 e 20 febbraio). Quella del 20 febbraio termina con le parole: «La situazione è desolante. I Tedeschi sono machiavellici. Se questo popolo rimane nella sua alterigia andrà in rovina».

            Il 29 gennaio, scrivendo ai genitori, accenna al bando pubblicato secondo cui gli universitari, che erano già due anni in servizio militare e sei mesi in campo, potevano continuare gli studi per tre mesi. Ivan, nel caso gli fosse concesso di andare a Vienna, intende lavorare nella Conferenza di San Vincenzo e nel club universitario “Hrvatska”, dando però priorità alla vita spirituale: «Mai dimenticare Dio! Desiderare sempre di unirsi a Lui». Si propone di non trascurare mai la meditazione: «In quell’ora vanno fatti i progetti per la giornata che inizia, vengono esaminati i propri difetti e si chiede la grazia per superare tutte le debolezze… Sarebbe una cosa terribile se questa guerra per me non avesse alcuna utilità» (Diario, 5 febbraio 1918). Di fatto Ivan non ebbe il permesso di continuare gli studi ma poté solo usufruire di alcune settimane di licenza: il 21 febbraio è a Zagreb e a Banja Luka rimane fino alla metà di marzo 1918.

            Il 22 marzo è a Bolzano, e il 25 informa i genitori di essere stato nominato Kriegsalbum-Unterstützer, cioè incaricato di raccogliere i ricordi della guerra: canzoni, fotografie, disegni, racconti, pezzi di bottino ecc.

            Il 27 marzo scrive al padre: «Qui siamo in un villaggio e leggiamo le notizie di guerra dall’Occidente». Era in corso la grande offensiva tedesca sul fronte occidentale. Si parlava molto delle nuove armi, grandi cannoni, a proposito dei quali Ivan il 30 marzo fa la seguente considerazione: «Il cannone-mostro è davvero un miracolo, però con grandi cannoni e grandi eserciti non si può salvare alcun popolo, se esso non porta in sé i valori morali. La potenza della Germania dovrà scendere dalla sua altezza. Questa è una legge interna ineluttabile che non ha niente a che fare con i punti culminanti della tecnica».

            4. Al Gaskurs (corso sui gas) a Vienna. Gasschützoffizier.

            Il 1E aprile 1918 Ivan parte da Primolano per Vienna, dove dal 3 al 17 aprile frequenta un Gaskurs (corso sui gas). Il 9 aprile nel Diario annota le riflessioni sul proprio futuro, sulla professione, sull’eventuale famiglia, sull’apostolato: «Dio mio, illuminami perché presto possa prendere una ferma decisione. Ovunque sia fatta la Tua volontà, poiché qui (in terra) siamo solo provvisoriamente e nella nostra vera patria non si chiederà molto se ero professore o muratore. Ma qualcosa bisogna essere!». A Ivan sta soprattutto a cuore la salvezza eterna di sua madre, per la quale è disposto a sacrificarsi.

            Il 17 fa visita al politico sloveno, sac. dr. Anton Korošec e nel darne notizia al padre scrive: «es wird etwas geschehen» (qualcosa accadrà)2.    

            Il 20 aprile ritorna a Trento. Prosegue quindi per la nuova destinazione, con una sosta a Pergine. Il 21 scrive al padre di essere stato assegnato al II. battaglione come Gasschützof­fizier, si trova quindi presso il comando.

            Nella corrispondenza con Ivan, il padre avrà fatto cenno al Catechismo, al che Ivan gli risponde: «Il Catechismo è veramente una grande opera d’arte, poiché nel modo più semplice risolve i più difficili enigmi della vita e non solo proclama come si deve vivere, ma offre anche i mezzi con cui si pussono togliere dalla via tutti gli ostacoli che si oppongono a questa vita» (29 aprile).

            Il 5 maggio fa sapere di trovarsi in un’altra posizione, a 1200 m di altezza, che gli ricorda il tempo del Tirolo. Il 10 maggio scrive al padre di essersi già abituato alle montagne, mentre dal Diario sappiamo che si trovava sul Monte Fontanel (7, 10, 16 e 20 maggio). Il 21 maggio scrive alla madre del trasferimento all’altezza di 1600 m, da dove si ha una meravigliosa vista. Dal 28 maggio al 19 giugno le annotazioni del Diario sono scritte a Fontana Secca. Già in precedenza (cf. Diario, 20 maggio) Ivan aveva perlustrato le posizioni a Fontana Secca, annotando che «lassù si sta bene, come in villeggiatura», si ha un magnifico panorama sulle Dolomiti, l’altra parte si apre sulla valle del Piave e sulla pianura, mentre nelle giornate serene si vedono il mare, la chiesa di San Marco a Venezia e i piroscafi.

            Il 28 maggio, il 1E e l’8 giugno, descrive i preparativi italiani sul Monte Grappa e quelli dell’esercito austriaco. «Da noi tutti vanno pazzi per la lepre che ancora sta nel bosco. Il capitano vuole oro e soldi, tela e calze per sua moglie; altri stanno in agguato per la stoffa di lana, mentre i giovani affamati, affamati di giorno in giorno, già vedono volare nelle loro bocche le conserve italiane e il pane. O Dio, se riusciamo a sfondare, salvami dall’avidità, dammi la Tua grazia, la salute ai genitori e a me e non ci saranno al mondo uomini più ricchi» (8 giugno).

            Il 9 giugno, rispondendo ad una cartolina del Bilogrivić, scrive: «Non posso scriverti a lungo. Impiego tutto il tempo nello studio della lingua italiana, nella lettura di “Novine” (articoli di Mahnić) e ora anche di “Hrvatska Prosvjeta”. La calma regna tuttora e sono sano, e, mancando i grandi avvenimenti, anche la vita spirituale campicchia. Il sacerdote non viene da queste parti, (i soldati) non hanno fatto nemmeno la Comunione pasquale». Aggiunge che i prezzolati austriaci fanno propaganda per la continuazione della guerra.

            Il 15 giugno inizia l’offensiva austriaca, che Ivan può osservare stando in cima a Fontana Secca, seduto in una caverna. Le sue annotazioni del 19 giugno fanno conoscere l’ambiente in cui si trova, il valore dei soldati e l’irresponsabilità dei comandi. «L’offensiva è inciampata, dicono per motivi politici. Ciò è caratteristico per il disordine che regna in Austria».

            Il 25 giugno è a 100 passi dai 1672 m di Monte Solarol, vive in una caverna, intorno si spara terribilmente. Nel luglio, il grande attacco italiano procura gravi perdite alle truppe austriache. Anche la baracca di Ivan è stata colpita, ma egli è rimasto in vita: lo attribuisce alle preghiere di sua madre e degli amici, «perché io – pur pensando molto a Dio – in realtà prego poco». «O Dio, la cosa migliore sarebbe se fossi già da Te, brucia quindi con la fiamma della tua Misericordia tutti i parassiti del peccato che si sono insinuati nella mia anima, affinché possa presentarmi buono e santo innanzi a Te; o almeno, perché nella vita possa essere ispirato dalla santa gioia e di una volontà sovrumana» (13 luglio).

            Gli Italiani erano già in cima al Monte Solarol, ma sono stati respinti (Diario, 16 luglio). Lì il 15 luglio è caduto il caporal maggiore italiano Luigino Odorico, presso il quale è stata trovata una nobile lettera diretta ai genitori, che Ivan ha creduto opportuno trascrivere nel proprio Diario (16 luglio).

            5. La guerra agli occhi di Ivan. Ritorno a casa.

            La tragedia della guerra, che sta vivendo, suscita nell’animo di Ivan moti d’indigna­zio­ne e di ribellione, perché non vede delle ragioni ideali per cui valga la pena di sacrificarsi, fino all’eroismo. «Così sono indifferente e rimetto il mio destino nella mani di Dio, il quale sa che cosa è meglio per me. Perché, dunque, dovrei temere?» (11 luglio 1918). Particolar­mente forti sono le sue parole, scritte il 26 luglio nella caverna di Solarol, contro quel piccolo gruppo di governanti che tengono schiavi milioni di uomini. Considera ciechi i sacerdoti che ai soldati ricordano il giuramento militare, come se questo, pronunciato non di spontanea volontà, valesse più della vita dell’uomo, della vita del tempio di Dio. Ivan considera indegna dell’uomo la vita che vive. «Se non pensassi ai miei genitori e alla patria, nella speranza che questo finisca, non rimarrei qui nemmeno un istante». Egli non risparmia critiche sia al sistema corrotto austriaco, sia alla prepotenza della Germania, sia alle pretese dell’Italia sulle terre croate, ma mostra comprensione per gli Italiani in quanto difendono la propria terra, condanna la condotta dei soldati austriaci che saccheggiano, la lingua sporca e le bestemmie dei suoi commilitoni bosniaci, in una parola il peccato: «Il peccato è la causa delle più grandi catastrofi dell’umanità» (25 giugno 1918).

            Negli ultimi tempi Ivan pensava come abbandonare il fronte. Il 21 aprile 1918 terminava la cartolina al padre: «cercherò di sparire da qui». «Non posso in alcun modo liberarmi (dal fronte) – scriveva al Bilogrivić il 23 luglio 1918 -, tengono disperatamente ogni uomo che si trova in campo, perché sanno che nessuno viene dall’interno. Creano ospedali vicino al fronte e, non appena ti rimetti un po’, eccoti di nuovo nel reggimento. Alcuni sono condannati a rimanere sempre in campo…Prega per me, io da parte mia cercherò di farmi un varco in queste circostanze».

            La prima settimana di agosto 1918 Ivan è ancora in montagna, in una baracca, ma il 7 scrive ai genitori: «Spero che oggi sia l’ultima notte della mia vita di guerra. Scenderemo giù…», e precisamente nelle vicinanze di Belluno, dove si troverà molto meglio che sul Monte Solarol. Il 22 agosto Ivan ha fatto una cavalcata di 10 km fino a S. Giustina, e il 23 scrive nel Diario le ultime annotazioni prima di recarsi a casa.

            Scrivendo, il 1 agosto, una lettera abbastanza lunga ai genitori, la terminava con le parole: «Ich leide – wie gewöhnlich – an der “Fress”-Krankheit» (Io soffro, come al solito, della malattia “fame”). Sarebbe anormale che un giovane nelle sue condizioni non sentisse bisogno di mangiare, ma Ivan ci teneva molto alla mortificazione nel cibo, soprattutto quando ne sentiva più bisogno: «Memento mori – la pancetta sta nell’angolo in agguato! Chi dice che il digiuno è una sciocchezza questi non sa nulla. Non c’è una vera vita spirituale senza il digiuno. L’uomo in tal caso (cioè se non digiuna) non ha l’autorità su se stesso. Questo (avere il dominio di sé) invece è la cosa più importante. O Dio, dammi una forte volontà, anche se dovessi essere scalzo e nudo! Se già mi trovo in questo mondo, è la stessa cosa se porto la stella sotto il collo o se ho la camicia strappata ai gomiti. E’ importante il grande Io, la libertà dello spirito che non teme la morte, il resto è secondario» (Diario, 23 agosto). Sullo stesso argomento Ivan ritorna nella nota del 10 ottobre.

            Trascorre il mese di settembre a Banja Luka, leggendo e facendo analisi del romanzo Il Santo di Fogazzaro e di alcune opere di Voltaire: Mahomet, Ce qui plait aux dames e Les trois manières. Il 1E ottobre parte da Sisak per Udine e rimane a Cedarchis presso Tolmezzo fino al 16. Lì continua a leggere ed analizzare altre tre opere di Voltaire: Tancredi, La mort du Cèsar e Henriade. Il 18 è a Graz e il giorno dopo a Lebring. Il 24 ottobre è a Banja Luka. Per lui la guerra è finita.


  1. Vedi infra, B, I, 4: lettera di Merz a Bilogrivić del 22 marzo 1918.
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  2. Stava per essere resa nota la cosiddetta Dichiarazione di maggio (Majska deklaracija); v. supra, Cap. I, 12 e Cap. II, 9.
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