C a p i t o l o  VIII

            Il periodo studiato in questo capitolo va dalla fine della guerra alla partenza di Ivan per la Francia. Egli lo trascorse per lo più studiando la letteratura tedesca e francese; al tempo stesso approfittava di ogni occasione per allargare i suoi orizzonti nel campo sociale e religioso, frequentando varie organizzazioni e, in particolare, impegnandosi nel club accademico “Hrvatska”.

            In un primo tempo (novembre-dicembre 1918) Ivan dovette prestare ancora il servizio militare a Maslovare, vicino a Banja Luka, dove fu mandato a pacificare i minatori.1

            Ottenuto il congedo, dopo le vacanze di Natale – passate a Banja Luka – partì per Vienna per continuare gli studi universitari; vi rimase fino al 25 luglio 1919.

            Le vacanze estive del 1919 le trascorse a Banja Luka e in settembre con i genitori  si trasferì definitivamente a Zagreb.

            Nella seconda metà di settembre era di nuovo a Vienna, dove rimase tutto l’anno accademico 1919-1920, salvo il periodo delle vacanze invernali, passate a Zagreb.

            Durante l’estate del 1920 stette con i genitori, fino alla partenza per Parigi.

            1. Le prime impressioni nel nuovo clima politico-statale.

            Tornato a Banja Luka nell’ultima decade di ottobre del 1918, Merz fu testimone delle immediate conseguenze in loco del rivolgimento politico avvenuto con la caduta della Monarchia austro-ungarica e la nascita del nuovo Stato jugoslavo. In quei giorni, pur rallegrandosi della libertà, egli personalmente si sentiva «guardato con un certo disprezzo perché … straniero» (Diario, 2 nov. 1918). Superò però il momentaneo disagio in uno spirito di fede e di fiducia in Dio: «Ora posso imparare l’umiltà e dimostrare che sono spiritualmen­te libero, senza alcun timore di fronte alle istanze che con uno sguardo bieco guardano gli stranieri. Tutto è nelle mani di Dio, per cui non temo né per i miei genitori né per me; Egli è padre di tutti noi e si cura dei suoi figli – anche usque ad mortem» (ibid.). Più tardi sarà positivamen­te risolta la questione della sua cittadinanza.2

            Le sue annotazioni nel Diario che riguardano la situazione politica del momento, lette a distanza di ottant’anni, sorprendono per la chiaroveggenza dell’autore. Rilevando l’euforia, l'”ubriacatura” degli intellettuali per la libertà conquistata, Ivan nota pure che «questa libertà il popolo non (la) capisce». «I Croati cattolici – scrive il 29 nov. 1918 – hanno ottenuto la libertà, ma in realtà tutti sono abbattuti; proprio perché si sentono meno liberi di prima. Se Petar (Karađorđević) prende il potere e i Serbi vorranno sottomettere tutti con la forza, nascerà l’opposizione che distruggerà i Karađorđević». Non era ancora avvenuta l’unificazio­ne formale dello Stato dei Croati, Serbi e Sloveni (proclamato a Zagreb un mese prima) con la Serbia, quando Merz scrisse queste parole; eppure esse preannunciavano ciò che poi sarebbe effettivamente accaduto.

            Nella valutazione della situazione Merz va al di là della politica contingente, additando la ragione profonda, culturale, che separa i Serbi dai Croati: «La mentalità dei Serbi è davvero completa­mente diversa da quella croato-cattolica». Certo, non erano mancati tra i Croati degli uomini che avevano messo l’accento su questo fatto, ma la loro voce era rimasta inascoltata.3 Ebbe il sopravvento la corrente politica che aveva trionfato con la creazione della Jugoslavia, senza che il popolo croato avesse avuto la possibilità di esprimersi in proposito.

            2. Il sentimento “nazionale” di Ivan Merz.

            Il prof. Maraković ha scritto che durante gli studi medi di Ivan, mentre «tra gli studenti erano in atto lotte accese tra i liberali, i radicali “giovani Croati” e gli studenti cattolici organizzati e poi…il movimento giovanile jugoslavo», egli stesso «non vi fu coinvolto perché, pur essendo con i sentimenti dalla parte dei Croati, era un outsider» (v. Cap. III Intr.).

            A tal proposito, il suo Diario ci offre sufficienti elementi per conoscere i suoi sentimenti intimi. Così al 27 marzo 1914, cioè alcuni mesi prima dell’esame di maturità, egli annota: «Zelenika (un compagno serbo) mi chiede, perché voglio entrare nell’Accade­mia militare se sono contro la guerra e non ho ideali nazionali. Il mio ideale è la giustizia e forse sarò vittima di questo. L’epoca contemporanea è un grande contrasto. Alcuni si stanno liberando dal giogo e mettono gli altri sotto il giogo. Io non posso essere Tedesco, perché (i Tedeschi) hanno soggiogato gli Slavi, e non sono Slavo». Tuttavia, il 14 aprile 1914 fa un programma: «Quando sarò allievo dell’Accademia, leggerò le riviste croate e seguirò la situazione del popolo a me più caro». Quanto a un eventuale Stato jugoslavo, pare che anche lui sia stato alquanto trascinato dall’entusiasmo dei suoi compagni, almeno in un certo momento (dopo la commemorazione di Zrinjski e Frankopan, v. Diario del 1 maggio 1914); riflettendo, però, su questo argomento, rimane perplesso: «Se lo Stato jugoslavo sia una cosa buona per l’umanità, specialmente per i Croati, è una grossa questione. Non possono essere condannati né coloro che sono pro Stato jugoslavo né quelli che sono contro, poiché entrambe le parti seguono la propria convinzione, per la verità. Chi abbia ragione, è difficile dirlo…» (4 maggio 1914). «…io sono fuori dei partiti e mi rendo conto che tutti i partiti per lo più hanno torto, e in poche cose hanno ragione. Condanno il lavoro negativo perché questo proviene dai liberali fanatici prezzolati. Essi non sanno che cosa è l’amore e la verità, altrimenti glorificherebbero Gesù e sarebbero buoni» (12 maggio 1914).

            Quando poi Ivan esce dal suo ambiente bosniaco e si trova nell’Accademia militare, in lui affiora maggiormente l’amore per la sua «cara Croazia»: «Il popolo della Croazia e della Bosnia è ancora incorrotto. Ne speriamo il bene. Gente buona e onesta… Ma le città della Croazia e della Bosnia sono corrotte. Molto male viene dall’Europa… La corruzione dalle città penetrerà nella campagna, e allora addio Croazia! No, se noi nel tricolore rosso-bianco-azzurro intrecceremo la croce ardente che distruggerà tutto il male e illuminerà il bene, allora la Croazia compirà il suo ruolo nella storia mondiale. Dio lo voglia!» (24 ottobre 1914). In queste ultime righe è già condensato tutto il suo futuro programma apostolico.

            All’università di Vienna, egli si inserisce attivamente nell’associazione universitaria cattolica croata “Hrvatska”. E durante il servizio militare e al fronte, nella corrispondenza con il prof. Maraković e con l’amico Bilogrivić lo interessa tutto quanto riguarda il Movimento cattolico croato. A dire del prof. Maraković, «la sua coscienza nazionale croata ha raggiunto la maturità soltanto dopo che egli era stato mobilitato e, liberato dai limiti della casa paterna e dagli ostacoli della società, rigenerato e grande nell’animo era venuto nell’immedia­to contatto con i soldati, nei quali ardeva l’anima sofferta ma schietta del popolo e la sua profonda e incrollabile secolare fede. E’ straordinariamente commovente quanto egli si fosse affezionato a questi semplici e incolti soldati bosniaci, con i quali poco più tardi, da fratello e uguale, avrebbe guardato in faccia la morte. Così a lui si è manifestata, nuda e priva di tutto ad eccezione della propria esistenza, l’anima di questo popolo. Poiché però quei tempi, ma anche i successivi quasi fino alla sua morte, erano torbidi e inquieti, oso dire che egli non è riuscito a gettare bene nemmeno uno sguardo su tutto il complesso e ricchissimo passato croato e in ciò che ne costituisce la sostanza. Verrà il tempo quando tutto ciò potrà essere guardato con maggiore indipendenza storica… (Tuttavia) Nulla potrà diminuire la sua limpidezza cristallina e la splendida purezza della sua anima; ma saranno ravvisate e valutate meglio molte cose umane che accompagnano anche le figure più sante degli eletti di Dio».4

            3. Jugoslavia – un ponte per l’unione delle Chiese o uno Stato massonico?       

            Per quanto Ivan condividesse l’idea cirillo-metodiana5 e desiderasse l’unione delle Chiese, nei suoi scritti non troviamo quell’entusiasmo che animava ad es. un Petar Rogulja e il suo gruppo nonché lo stesso vescovo Mahnić, i quali parlavano della «missione provvidenziale del popolo croato» in questo campo. E’ vero, anche Merz nel Diario scrive che «la Bosnia ha una grande missione: unire gli ortodossi con Roma, e così indicare la via a tutto l’Oriente». Tuttavia, riflettendo sulla storia di s. Giosafat, prevede «grandi lotte». «I più grandi nemici dell’unione sono l’indifferentismo religioso e l’ignoranza. Anche per questo Giosafat è stato perseguitato e ucciso» (18 dic. 1918).

            Ivan era più realista dei “nazionalisti (jugoslavi) cattolici” anche in merito ad un eventuale movimento cristiano serbo, analogo a quello cattolico croato, come pure circa l’opportunità di ricevere i Serbi nell’associa­zione universitaria croata, che nel frattempo aveva cambiato il nome in “Jug” (Sud).6 «Il cristianesimo come base comune dei Serbi e Croati è per ora quasi un’utopia, perché i massoni sostengono l’ortodossia, in quanto questa è in opposizione al cattolicesimo. Non so se sarà possibile organizzare una parte degli intellettuali cristiani serbi, per iniziare insieme il lavoro di ripresa della cultura cristiana. Ritengo però – ahimé – che sia troppo tardi; non so se in tutta la intellighenzia serba si troverebbe uno solo che non sia imbevuto di liberalismo» (31 marzo 1919). E l’8 giugno 1920 annota: «Nell’asso­ciazione “Jug” si discute animatamente se in linea di principio accettare i Serbi nell’associa­zione, al fine di promuovere tra di loro un movimento analogo al nostro. Gli Sloveni sono favorevoli, i Croati sono contrari. Anzi, gli Sloveni vogliono che l’associazione non si chiami “cattolica”, ma “cristiana”». Fu soprattutto in occasione del raduno della gioventù cattolica slovena e croata a Maribor, nell’estate del 1920, che tale questione divenne acuta, perché i membri dell’associazione slovena “Krek” di Praga volevano ad ogni costo sostituire l’aggettivo “cattolico” con “cristiano” (v. infra, al num 6).

            Quanto alla massoneria, soltanto a Vienna Merz veniva a sapere fino a che punto essa era presente ed attiva nella vita pubblica dei Serbi e quindi nel nuovo Stato. «I Serbi hanno una forte organizzazione massonica. Tutta la loro vita – da Pietro (il re) fino all’ultimo “fratello” – è al servizio dei massoni. Qualcuno in base ai documenti ha esposto delle cose che ci hanno scosso. Noi tutti abbiamo dormito e non ci siamo accorti di quel che accadeva intorno a noi?… E’ l’ultimo momento per organizzarci e cominciare la lotta» (31 marzo 1919).

            Ma la massoneria aveva messo radici anche in Croazia.7 E’ interessante che già nel 1904 – mentre faceva i primi passi l’organizzazione del Movimento cattolico croato – la massoneria aveva deciso di seguire attentamente il “clericalismo organizzato”. In quello stesso anno iniziava il lavoro la loggia “Ljubav bližnjega” (L’amore del prossimo) di Zagreb. Ancor prima, nel 1901, era stata fondata a Rijeka la loggia “Sirius”, che era esponente della massoneria ungherese; l’elemento prevalente in questa loggia erano gli Ebrei, mentre non v’era alcun Croato. La lotta al “clericalismo” (leggi: cattolicesimo) era un punto fermo del programma massonico. I massoni in Croazia, come altrove, agivano in segreto, cercando di infiltrarsi nelle istituzioni culturali, nell’università e appoggiando la stampa anticlericale, anche se non era propriamente massonica. Col tempo nell’ambiente dei massoni diventava sempre più forte la tendenza al miglioramento dei rapporti tra Serbi e Croati. In questo però i massoni della Croazia incontrarono difficoltà da parte della massoneria ungherese. Nel 1912/13 ci furono gravi dissensi nella loggia “Ljubav bližnjega” tra i massoni più giovani orientati in senso jugoslavo e un gruppo piuttosto forte di quelli che non volevano sapere del nazionalismo jugoslavo. ­

            Nel 1910 “i liberi pensatori” promossero un’azione concreta contro il “clericalismo” uscendo con il giornale “Slobodna misao” (Libero pensiero), nel quale Jovan Skerlić, critico letterario serbo e guida spirituale della gioventù studentesca progressista, affermava che il primo passo all’unità nazionale dei Serbi e Croati sarebbe stato «l’indiffe­rentismo religioso, il contemporaneo e generale indebolimento del sentimento religioso», e concludeva che «l’idea jugoslava, il pensiero nazionale serbo-croato, o sarà anticlericale o non ci sarà».8

            Durante la Prima guerra mondiale i massoni serbi e croati svolsero un’attività notevole per far accettare alle potenze occidentali il piano di liquidazione dell’Austria-Ungheria e della creazione al Sud di uno Stato jugoslavo.9 In questo furono aiutati soprattutto dai Cechi Masaryk e Beneš e avevano avuto l’appoggio del Grande Oriente di Parigi. In seguito, perciò, i massoni jugoslavi si credevano chiamati a fare della Jugoslavia uno Stato massonico. A tal fine nessuna attività statale doveva sfuggire al loro interessamento e influsso. La massoneria riteneva di dover lavorare alla creazione di una “nazione jugoslava”, senza tener conto della realtà. E’ facile capire che in un tale contesto, il voler essere croato e cattolico significava, come minimo, rassegnarsi ad essere cittadino di second’ordine; ciò diventava attuale soprattutto quando si trattava di ottenere un posto di rilievo nella società (ad es. una cattedra universitaria). E lo stesso Merz dovette presto sperimentare, su un piano molto inferiore, gli effetti pratici di una tale politica “jugoslava”, in realtà anticroata e anticattolica (cf. Cap. IX).

            Per quanto da parte cattolica si cercasse di evitare il “Kulturakampf”, questo divenne impossibile, quando all’inizio del 1920 cominciò la persecuzione delle Congregazioni Mariane. Il 17 gennaio il governo regionale per la Bosnia (Sarajevo) proibì alla gioventù cattolica delle scuole medie di far parte delle Congregazioni Mariane, pena l’espulsione dalla scuola. E alla reazione energica dei cattolci, il governo col rescritto del 20 maggio, indirizzato al decano Mato Bekavac, confermò la propria decisione, motivandola così: Le Congregazio­ni Mariane sono accessibili soltanto ai cattolci, quindi sono associazioni separatiste. Esse sono associazioni politiche, dietro alle quali sta il Partito Popolare. Sono dirette dalle persone del tutto estranee alla scuola, quindi non responsabili davanti allo Stato e alla scuola. Se si permettesse il lavoro delle Congregazioni Mariane, allora si dovrebbe permettere a tutte le altre correnti di formare delle associazioni, nel qual caso diventerebbe impossibile qualsiasi lavoro nella scuola. Per queste ragioni il governo bosniaco resta fermo sulla propria proibizione delle Congregazioni Mariane a causa del loro «lavoro distruttivo». E nell’articolo di fondo del giornale “Hrvatska Obnova” (Rinnovamento croato) di Sarajevo dell’11 luglio 1920 si affermava che le Congregazioni Mariane sono uno «studiato e sistematico veleno della nostra gioventù, il quale ne fa uomini anazionali e fanatici… Sotto il velo della devozione cristiana i nostri giovani con dolci, con la pressione della povertà e con il terrore dei catechisti sono stati addestrati ad essere uomini…che con furore vendicatore odiano i nostri fratelli Serbi… Le Congregazioni Mariane sono state e saranno associazioni religioso-politiche».10

            Anche nella Croazia la stampa massonica, seguita da quella del Partito democratico (di Pribičević), faceva pressione sul governo regionale perché proibisse le Congregazioni Mariane. Anche i sacerdoti apostati, che nel frattempo avevano formato la “chiesa cattolica croata”, si erano aggiunti a questo coro. I cattolici croati si levarono in difesa delle Congregazioni, specialmente di quelle colpite (a Čakovec, Gospić, Ogulin, Karlovac, Brod). Il governo si trovò in imbarazzo, e l’incaricato per l’istruzione pubblica, dr. Albert Bazala, pregò l’arcivescovo Bauer di convocare una conferenza in cui i rappresentanti del governo avrebbero discusso delle Congregazioni Mariane con i catechisti. L’arcivescovo convocò anche i membri del Consiglio centrale della Lega delle Congregazioni Mariane e nominò suo teologo e rappresentante il p. Josip Vrbanek S.I. La riunione fu tenuta il 14 luglio 1920. Erano presenti anche i vescovi Njaradi e Lang, come pure il dr. Kniewald che ha descritto l’iter della discussione. «La conferenza fu molto agitata. L’incaricato per l’istruzione pubblica, dr. A. Bazala ha sottolineato nel suo misurato, ma molto deciso discorso, che “la gioventù scolastica, dovunque si trovi, è sotto la sorveglianza dell’autorità scolastica. Nell’ambito della scuola non può esserci una istituzione che non ha alcun legame con la scuola. Le Congregazioni, in quanto nel loro raggio d’azione comprendono le riunioni letterarie, sono di carattere secolare”. Ha sottolineato che “il governo esige il controllo supremo statale sulle Congrega­zioni”, non morale, bensì amministrativo». In conclusione, scrive Kniewald, «è stato raggiunto un successo: il governo si è reso conto che il clero giovane e l’arcivescovo sono fermi nel ritenere che soltanto alla Chiesa compete il diritto di sorveglianza sulle Congrega­zioni Mariane».11

            4. Di fronte alla minaccia comunista.

            «L’animata propaganda contro il clericalismo come nemico della cultura moderna e della libertà naturalmente ha avvicinato i massoni e la socialdemocrazia nella maniera propria dei massoni».12 La massoneria, infatti, considerò un particolare successo l’essere penetrata nel movimento operaio socialdemocratico (comunista); alcuni dirigenti di questo movimento entrarono poi nelle logge massoniche. I comunisti svolgevano un’azione di penetrazione non solo tra gli operai, ma anche nelle scuole, senza che i responsabili delle istituzioni ne fossero sempre sufficientemente consapevoli. In tutte le scuole medie venivano fondate le organizzazioni giovanili comuniste di cui facevano parte parecchi studenti. Secondo gli Statuti di queste organizzazioni – pubblicati in “Crvena zastava” (Bandiera rossa) del 1 luglio 1920, pp. 170-172 – il loro fine era «l’educazione alla lotta in vista della rivoluzione proletaria» (art. 2), e il fine doveva essere raggiunto, tra l’altro, «attraverso la partecipazione alle azioni politiche ed economiche insieme con il proletariato rivoluzionario, come scioperi generali, manifestazioni di piazza e dimostrazioni e infine con scontri armati» (art. 3). In molte città e paesi esistevano inoltre numerosi gruppi di bambini, che avevano il loro organo comunista “Bu­dućnost” (Avvenire). Era un lavoro illegale che sfuggiva ad ogni controllo dell’autorità scolastica.13

            Nel 1920 ci furono disordini sociali con delle vittime umane. Poiché il governo aveva osservato soltanto parzialmente il contratto collettivo stipulato con i ferrovieri il 29 ottobre 1919, nel gennaio-febbraio 1920 ci furono prima alcuni scioperi locali a Belgrado, e poi per il 16 aprile fu indetto uno sciopero generale dei ferrovieri e dei trasportatori fluviali in tutta la Jugoslavia. Nel frattempo era stato nominato ministro dei trasporti il dr. Anton Korošec, il quale preavvisò il Seniorato di Zagreb del probabile sciopero e della possibilità che il Partito operaio socialista della Jugoslavia (comunisti) prendesse il potere.14 Korešec anzitutto accolse le condizioni dei trasportatori fluviali, i quali smisero di scioperare. Il ministro dell’esercito e della marina chiamò sotto le armi tutti i ferrovieri, i quali però in maggioranza non risposero. Il sindacato e il partito invitarono il proletariato della Jugoslavia a scioperare in segno di protesta e di solidarietà con i ferrovieri. Questo sciopero generale paralizzò la vita economica di Belgrado, Zagreb e Ljubljana. A Ljubljana, dopo il grande comizio di protesta si formò un corteo di operai, contro il quale i gendarmi aprirono il fuoco. (Ci sarebbero stati 15 morti e 21 feriti gravi). Presso Zidani Most (Slovenia) ci fu uno scontro degli scioperanti con l’esercito che accompagnava un treno. Il 29 aprile 1920 veniva pubblicata la notizia della fine dello sciopero. Tra gli operai Korošec ebbe l’appellativo di «prete sanguinario» («krvavi pop»).

            Nel frattempo, Merz a Vienna registrava le sue riflessioni sul comunismo. «Il comunismo – scriveva – possiede in sé tre quarti della verità. Quelle grandi idee che entusiasmano le masse sono patrimonio del cristianesimo. Povere masse, guidate da capi senz’anima» (25 gennaio 1920). E quando si preparava lo sciopero generale in Jugoslavia, Ivan scriveva appunti sulla discussione che aveva avuto luogo nell’associazione “Jug” il 17 aprile. Egli non condivideva l’idea di un blocco con i liberali contro i comunisti, ritenendo i partiti liberali altrettanto, se non più pericolosi dei comunisti. «Ora la cosa più importante è far risaltare nel popolo l’idea del cattolicesimo quale segno distintivo che ci distingue sia dalla borghesia che dal comunismo. Mille persecuzioni non sono in grado di annientarci se abbiamo dei cattolici convinti che formeranno le proprie organizzazioni, non appena l’irruzione del comunismo si sgonfierà. Noi dobbiamo elaborare con precisione il nostro programma economico solidaristico e far vedere alle masse, le quali soffrono in seguito all’ordinamento capitalistico, che si interessano dei miserabili non solo i comunisti, ma in primo luogo i cristiani» (18 aprile 1920). E a proposito dei fatti di Ljubljana, il 28 aprile 1920 registrava le reazioni dei comunisti jugoslavi a Vienna e la risposta dei cattolici che ritenevano colpevoli i capi comunisti «per aver mandato le masse contro i battaglioni dell’esercito, mettendo a repentaglio la loro vita».

            5. L’attività di Ivan Merz a Vienna.

            A Vienna, il 17 marzo 1919 Ivan annota nel Diario: «Studio e frequento varie organizza­zioni». In queste due direzioni, infatti, si svolse il suo lavoro nella capitale austriaca.     

            Iscritto alla facoltà di filosofia, si dedicò soprattutto allo studio delle lingue e letterature tedesca e francese; tra le materie studiate c’erano anche la grammatica storica delle lingue slave e la paleografia slava, la storia della letteratura inglese (2. metà del sec. XVIII), Petrarca e Leopardi, la filosofia di Schopenhauer, Kant, la Logica, la Psicologia ed Etica. Non trascurò di frequentare anche i teatri e l’Opera, annotando nel Diario le relative impressioni.

            Già nel treno che lo portava da Zagreb a Vienna egli ebbe occasione di incontrare un gruppo di studenti cattolici croati, con i quali iniziò subito il discorso sull’associazione universitaria “Hrvatska” che, dopo l’inattività durante la guerra, andava rinnovata. Alcuni di quegli studenti, però, dovettero tornare in patria, a causa delle difficoltà di trovare nella Vienna postbellica un’adeguata sistemazione. Con i pochi rimasti, Ivan, che aveva trovato vitto e alloggio nell’Augustineum,15 rimise in vita l’associazione. I primi a farne parte erano Dragan Marošević, Avelin Ćepulić – che saranno poi i suoi cari amici e collaboratori – e il p. Mato Filipović S.I nonché due francescani. Successivamente il numero dei membri salirà a 18. In un primo momento la sede dell’associazione era nella stanza di Ivan. Egli fungeva da segretario, mentre Avelin Ćepulić era il presidente; i due pensavano all’organiz­zazione del lavoro e all’indirizzo dell’associazione. Contrariamente a quanto potesse apparire dal numero esiguo dei membri, il lavoro dell’associazione era molto intenso, con frequenti conferenze e con visite a varie istituzioni.16

            In una delle prime riunioni dell’associazione “Hrvatska”, nel febbraio del 1919, Merz lesse la sua relazione “Novo doba”, che lasciò profonda impressione nei presenti.17 Nella parte conclusiva Ivan insisteva sulla necessità di lavorare alla propria perfezione, conducendo una vita ascetica, per essere in grado di affrontare le difficoltà senza scoraggiarsi; inoltre riteneva della massima importanza lo studio del cattolicesimo. Condannava invece le divisioni dovute alle «questioni politiche effimere» che indebolivano le file dei cattolici. Poiché queste divisioni continuavano e si approfondivano, in una riunione dell’associazione “Hrvatska” si discusse dello stato generale del Movimento cattolico croato, degli studenti medi e del loro organo “Luč”. Ivan, che guidava la discussione, si espresse in questi termini:

            «Fratelli! Così non va. Il nostro movimento si decompone e si è messo sulla via sbagliata. La religione è diventata lo strumento del nazionalismo. Noi non saremo mai né dobbiamo essere cattolici allo scopo di aiutare il popolo, bensì noi aiuteremo il popolo perché siamo cattolici. Il cattolicesimo è il nostro fine, e non il mezzo. Una parte della nostra generazione in questa mischia bellica e politica ha totalmente dimenticato il senso della nostra vita e ha trascurato di coltivare se stessa, mentre gli altri fratelli girovagavano sui fronti, nella prigionia e negli ospedali. In questi momenti di sofferenza si occupavano esclusivamen­te della cura dell’anima. Le circostanze così hanno creato due generazioni parallele: la nazionale-intellettuale e la religiosa. Questi due tipi devono fondersi e la guida deve venire nelle mani del secondo tipo.

            La base della nostra vita dev’essere la nostra rinascita in Cristo, il resto ne segue da sé. E come siamo lontani da questo! Una parte del nostro movimento è compenetrata dello spirito di modernismo e di decadenza. Sono diventati capi coloro che non ne sono all’altezza. Invece di seminare dovunque in nome di Cristo il seme dell’amore, di mettere il balsamo sulle ferite e sui peccati dei nemici, essi, anzi, con un gesto da liberali attaccano anche quello che finora ci era caro, anche se non era proprio perfetto.

            L’unica àncora di salvezza del cattolicesimo nel nostro popolo è davvero il nostro movimento di studenti medi. Questo è il nostro beniamino e la nostra più grande speranza. La provincia, che più lentamente vive tutte le idee, ha conservato qualcosa dell’antico idealismo dei “furtimaši”, che è stato certamente uno degli aspetti più belli nella storia culturale del popolo croato. Chi non ricorda il giorno di gioia, quando apparve la “Luč”? Chi non pensa con dolore e lacrime al nostro “poeta della penna eterna” Roman Tieck,18 “artista della Ss.ma Eucaristia”? E dove sono oggi questi uomini che tenderebbero alla grandezza interiore, al perfezionamento di sé, i quali risolvevano i più difficili problemi della vita in una maniera unica e hanno posto le fondamenta di una cultura particolare? Sono stati interrotti i legami, l’abisso è grande. La nostra attuale ideologia è la decadenza liberale. I poeti della “Luč” sono i piccoli epigoni di Verlaine e di Baudelaire… La nostra poesia non sarà mai grande se non si rinnoverà il centro di tutta la vita – l’uomo. Occorre tornare radicalmente alla fede, essa deve compenetrare tutta la nostra vita. Il pensare che si può fare tutto ciò che non è contrario alla morale cattolica, non è degno della nostra missione. Tutti devono essere convinti che i fondatori del nostro movimento hanno raggiunto così bei successi, perché erano cattolici radicali. Una gran parte dei nostri uomini (oggi) sono nel movimento solo perché sono convinti che in questo mondo avranno uno sviluppo favorevole. Questa però è una povera religione: noi siamo i membri del Corpo mistico di Cristo e conosciamo un’unico centro gravitazionale e una sola vita.

            Per superare l’abisso che separa la nostra vecchia generazione, i cui molti membri di valore sono ancora vivi, dalla nuova, occorre rinnovare la “Luč”.19 Essa è adesso… un debole epigono della moderna decadenza…L’arte nel miglior modo rappresenta l’epoca e gli uomini, e questi due indirizzi (Tieck e i più recenti poeti della “Luč”) dimostrano chiaramente che è stato interrotto il legame tra la vecchia generazione e la nuova. E così in tutti i campi della vita…».

            Dopo queste parole forti di Ivan, i membri della “Hrvatska” decisero di scrivere alla redazione della “Luč” in questo senso. E infatti, nella “Luč” in cui usciva l’articolo “Novo doba”, a p. 246 veniva pubblicata anche una lettera da Vienna, nella quale in forma più blanda erano espressi i pensieri di Ivan: «…non è tanto importante quanto la “Luč” valga dal punto di vista scientifico e artistico, bensì ciò che importa di più è il valore della “Luč” per la formazione delle nostre idee e dei nostri compagni, specialmente di quelli più giovani. Si pone la questione come raggiungere questo scopo ideale della “Luč”. I nostri principi incontrano le più grandi difficoltà perché si fondano sul cattolicesimo. In questo e soltanto in questo il nostro movimento si distingue da tutti gli altri gruppi… Perciò il principale e il più importante compito della “Luč” è quello di impegnare tutte le forze per favorire la creazione (nei membri del movimento) di una visione cattolica della vita, mentre tutto il resto (l’educazione nazionale, artistica, letteraria ecc.) viene in second’ordine… E’ il tempo di riedificare ciò che la guerra ci ha distrutto. Pensiamo in primo luogo al radicalismo e alla purezza delle nostre idee…».  

            Mentre Svetozar Pribičević, ministro dell’Interno del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, terrorizzava i Croati in patria, non furono esenti da pressioni nemmeno quelli a Vienna. Merz nel Diario al 12 giugno 1919 registrava: «Ieri si son fatti avanti col terrore i Serbi (Kostić, Dr. Jakšić, Adamović). Vogliono che giuriamo per la dinastia, per il governo centrale, per l’unità del popolo». Ivan non dice quale fosse la reazione a queste pressioni. Ci fu poi anche un incidente nella “Mensa jugoslava” a Vienna, alla quale aveva accesso un centinaio di studenti provenienti dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. L’amministrazione della Mensa era nelle mani del gruppo dei nazionalisti jugoslavi (ORJUNA – Organizzazione Jugoslava Nazionalista) che si serviva di mezzi brutali contro chi non condivideva la loro ideologia. A questi dava fastidio soprattutto il club universitario “Hrvatska”, per il prestigio che i suoi membri godevano tra gli studenti. Poiché in quel tempo l’esistenza degli studenti dipendeva dalla Mensa, in quanto per loro era molto difficile trovare altrove il vitto necessario, l’Amministrazione ricorse al ricatto esigendo che tutti gli studenti firmassero una dichiarazione politica (certamente nel senso di quella menzionata da Merz). Molti studenti firmarono senza protestare apertamente. Quando poi venne il turno di quelli della “Hrvatska”, fu chiamato a firmare per primo Ivan Merz. Egli rispose tranquillamente: “Non firmo”. Fu convocata una riunione straordinaria dell’Ammini­strazione, durante la quale Ivan fu escluso dalla Mensa. Gli altri membri del club “Hrvatska” si rivolsero al rappresen­tante jugoslavo a Vienna e riuscirono ad ottenerne la mediazione. L’Orjuna dovette convocare l’assemblea di tutti gli studenti “jugoslavi”. L’atteggiamento di Ivan fu di esempio agli altri, e i membri della “Hrvatska” riuscirono ad avere l’appoggio della maggioranza; così l’Orjuna perdette il potere decisionale nella Mensa.20

            Gli interessi culturali-cattolici di Ivan erano molto larghi; egli cercava di informarsi sui vari aspetti della vita cattolica in Austria e in altri paesi europei (cf. Diario, 16 maggio 1919), per poter essere utile al proprio paese. A questo dovevano contribuire anche i suoi articoli sulla Rinascita religiosa dei cattolici austriaci,21  sul Nuovo tipo dell’organizza­zione accademica in Germania,22 e sull’Unione cattolica internaziona­le degli studen­ti.23

            Tra i momenti più significativi per la vita spirituale di Ivan Merz, che segnarono per il futuro il suo orientamento, furono certamente gli Esercizi spirituali a St. Gabriel presso Mödling, durante la Settimana Santa del 1920 (Diario, 5 aprile 1920). Lì si è destato quel suo grande amore per la Liturgia, che ne farà uno dei promotori del Movimento liturgico in Croazia (v. Cap. XIV, Intr. 3). Anzi, se c’è qualcuno che in questo campo abbia visto lontano, è stato Ivan Merz, il quale ha anticipato le idee del Concilio Vaticano II circa la liturgia, guardando addirittura ancora più lontano (cf. 18 dicembre 1918: l’inculturazione). Quella a St. Gabriel «è stata la mia Pasqua più bella». Egli vi ritornò per l’Ascensione (14 maggio), per assistere alla Prima messa di 17 sacerdoti novelli, destinati alle missioni. Fu per lui l’occasione per riflettere sull’eroismo dei missionari e sull’importanza per una Chiesa locale di generare dei missionari. «Beato il popolo che genera missiona­ri».24

            Ivan stesso è un missionario per la causa cattolica, nel senso più largo della parola. Il cattolicesimo per lui è tutto: esso costituisce l’unica base su cui si può costruire la solidarietà internazionale, ma sulla quale pure possono svilupparsi armoniosamente tutte le potenzialità dei singoli popoli. Perché il cattolicesimo penetri nelle masse scristianizzate è necessario che i cattolici impegnati lavorino anzitutto alla propria perfezione. Questo per Ivan è un assioma che lo guiderà in tutta la sua attività apostolica (cf. Cap. XIV).

            Egli non è contento di se stesso: «O Dio, ti chiedo la grazia di bruciare la mia pigrizia e sensualità; dona al mio spirito il potere sullo stomaco che mi vuole schiavo. Santifica il mio corpo e la mia anima!» (14 novembre 1918). Il 26 settembre 1919 è per lui un grande giorno: “Ieri è stato il giorno più importante nella mia vita. Ho fatto la nona santa Comunione in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù e credo che potrò guardare le profondità della Santissima Trinità. Devo almeno in qualche modo meritare questo immenso amore di Cristo, quindi con l’aiuto di Dio cercherò di continuare più intensamente l’opera di santificazione». Riflette sul suo stato d’animo e paragonando­lo con quello durante la guerra, il 12 maggio 1920 annota: «Allora soffrivo volentieri. Però non sono ancora arrivato a tale altezza da scegliere volontariamente la via più perfetta: la via della sofferenza… Sono salito ad una certa altezza e su di essa mi tiene la forza della perseveranza. C’è però in me la fiamma per le altezze infinite: l’ardore per l’abbraccio non turbato del Figlio e del Padre e dello Spirito Santo, e a questo si arriva soltanto con un disciplinato, tattico superamento di sé» (v. l’intero testo del 12 maggio). Anche nella sua attività esterna, la preghiera precede l’azione, e l’eventuale successo lo attribuisce alla grazia: «Ringrazio lo Spirito Santo per aver esaudito la mia preghiera: la mia conferenza improvvisata sulle “Organizzazioni cattoliche francesi” è bene riuscita» (27 maggio 1920).      

            Sul periodo viennese di Merz esiste una testimonianza processuale del primario dr. Ladislav Vlašić:25 «Per un anno (nel 1919/20)…sono stato spesso con lui. Lo incontravo nell’organizza­zione e fuori, a passeggio e nelle conversazioni». Vlašić ricorda Ivan come un uomo «gradevole, sereno…fine, gentile», «prudente, calmo e serio». Egli «attingeva la sua forza vitale nella fede, nella preghiera, nell’Eucaristia». «Durante gli studi a Vienna, mentre eravamo insieme, egli era straordinario e non si poteva essere migliore e più assiduo di lui. Spesso teneva delle conferenze. Il suo interesse era rivolto alle cose religiose». «…la grandezza del dr. Merz…sta nella purezza di coscienza  e di cuore che irradiava da lui». «Se c’è un santo, allora lo è Ivan». – Vlašić ritiene che anche «Avelin Ćepulić era un uomo straordinario e pio. Ivan e lui si completavano in modo eccellente, perché erano di indole alquanto opposta».     

            6. Di nuovo in patria. Al raduno della gioventù cattolica a Maribor.        

            Terminato l’anno accademico 1919/20, Ivan tornò a Zagreb. La prima annotazione che segue nel Diario è del 3 agosto 1920 e riguarda il raduno della gioventù cattolica slovena e croata a Maribor, tenuto nei giorni precedenti (29.VII-1.VIII). I rappresentanti della Lega jugoslava degli studenti cattolici (Jugoslavenska Katolička Đačka Liga), costituitasi a Ljubljana, avevano deciso che la prima manifestazione comune della gioventù studentesca cattolica dello Stato jugoslavo fosse tenuta a Maribor; in quell’occasione si sarebbe tenuto anche il raduno (ginnico) delle “Aquile” (Orlovi) slovene, al quale avrebbero preso parte pure le “Aquile” dalla Cecoslovacchia nonché i rappresentanti delle organizzazio­ni giovanili di diversi paesi europei. Nell’annuncia­re il raduno di Maribor, la “Luč” del 1 maggio 1920 esprimeva la speranza che lì sarebbero stati posti i fondamenti reali per una “Internazionale degli studenti cattolici”.26

            Fu proprio Ivan Merz a riferire sulla progettata “Unione internazionale degli studenti cattolici”, alla presenza di circa cento uditori, compresi i delegati austriaci e cechi nonché quelli del Weltverband di München. La sessione era presieduta dal prof. Maraković nella sua qualità di incaricato del Seniorato per le relazioni internazionali.27 E nel Diario poi annotava: «Ho parlato con l’ardore che mi aveva dato la Santissima Eucaristia». In seguito il testo della relazione è stato pubblica­to.28

            Durante il convegno di Maribor ci furono vivaci discussioni su diversi problemi 1,79

attuali. «Il più interessante è stato l’affare “Krek”» (Diario, 3 agosto 1920), al quale abbiamo già accennato sopra. Il resoconto di Merz sull’argomento è confermato da Kniewald, che fu molto attivo in quella occasione.29

            Si discusse animatamente anche delle Congregazioni Mariane. Una gran parte della gioventù studentesca slovena era contraria a ché gli studenti si iscrivessero nelle Congrega­zioni; favorevoli invece, insieme con i Croati, erano quelli di Maribor. Delle Congregazioni e delle persecuzioni di cui esse erano oggetto parlò Ivo Protulipac, che raccolse calorosi applausi.30 Grazie ad un’azione discreta del dr. Kniewald fu alla fine trovato un compro­mes­so: si lasciava che la questione delle Congregazioni fosse risolta secondo le circostanze locali.

            Anche le questioni sociali dividevano le file dei cattolici. Sia Merz che Kniewald registrano l’intervento dello sloveno dr. Lovrenčič,31 che si era opposto alle tendenze “socialiste” tra i cattolici, insistendo sul momento religioso che era in pericolo. Anch’egli fu molto applaudito.

            Le discussioni di Maribor fecero emergere le differenze tra il cattolicesimo sloveno e quello croato. Con poche parole Merz ne ha dato la sua valutazione: «Tra gli Sloveni di oggi il lavoro e l’organizzazione è tutto, mentre il momento religioso sta scomparendo. Perciò vediamo che da loro tutto è freddo, senza entusiasmo. Tra i Croati l’idea religiosa è molto più forte, e le organizzazioni verranno da sole fra alcuni anni».

            In concomitanza con il raduno della gioventù cattolica di Maribor era stato organizzato anche il raduno ginnico delle Aquile. Merz si aspettava che fosse messa in evidenza la missione religiosa delle Aquile in opposizione al liberale “Sokol” (Falco), ma ciò non fu fatto da nessuna parte. E’ da tener presente questa costatazione che Ivan registrò nel Diario; essa ci fa capire il suo successivo sforzo per dare alle Aquile croate un carattere marcatamente cattolico, più di quello che avevano le Aquile slovene. Ciò apparirà soprattutto in occasione della redazione croata, curata da Merz, del “Libro d’oro” di Terseglav (v. Cap. X, 3).

            7. Riflessioni sulla politica dei cattolici e la qualità del clero.

            Anche le discussioni tra il Partito Popolare Croato e i Cristiano-sociali come pure una conferenza del ministro Anton Korošec sono per Ivan l’occasione per una riflessione che rivela il suo punto di vista dal quale giudica tutte le cose. «Ho avuto l’impressione che noi cattolici non abbiamo una politica di grande respiro, di cui l’alfa e l’omega sarebbe la diffusione della Chiesa di Cristo… Nelle file dei cattolici ci sono due correnti. Per una la Chiesa è l’alfa e l’omega, l’altra invece vuole che tutta la vita pubblica sia permeata dai principi cristiani, essendo questi la miglior garanzia della sua fioritura. Quest’altra corrente mette in secondo ordine Cristo nella vita pubblica. I Croati sono più vicini alla prima, gli Sloveni alla seconda corrente. In Croazia lo sviluppo è piuttosto di carattere personale» (Diario, 7 ottobre 1920).

            Tuttavia, Merz si rende conto di una circostanza che in Croazia (quella che egli conosce, cioè la settentrionale) è di ostacolo ad una più intensa vita cattolica: è il problema del clero. «Perché il cristianesimo possa riprendersi, anzitutto dev’essere santo il clero». Egli condanna quel «cristianesimo superficiale degli studenti di teologia di Zagreb…per i quali l’ideale del cristianesimo è la morale borghese: essere cristiano per vivere bene materialmen­te sulla terra. Per questa ragione abbiamo tante lotte con il clero che non può capire l’entusiasmo del nostro movimento che vive la fede di Cristo diffondendola dentro la chiesa e fuori: non agendo tanto con le prediche, ma per il fatto che i suoi uomini lasciano tracce indelebili nel proprio ambiente».

            L’occasione di queste annotazioni nel Diario (6 settembre 1920) fu una festa a Ivanić Grad, dove furono presenti alcuni dei principali dirigenti del Movimento cattolico, tra cui il prof. Ljubomir Maraković. In seguito ad un lauto pranzo dal parroco della città Ivan riflette sul valore del digiuno, dell’astinenza, delle virtù passive, che bisogna propagare. «Ho costatato con apprensione che anche i nostri migliori uomini, che devo ringraziare per aver trovato la via verso Dio, non hanno conosciuto quest’idea (del digiuno). Essi dovrebbero vivere per alcuni anni tra gli uomini affamati e miseri, e allora arriverebbero a questa conoscenza». L’accenno a chi fu strumento perché egli trovasse la via a Dio, poteva riguardare soltanto il prof. Maraković. Comunque, le parole con cui Merz chiude questa nota caratterizzano il suo atteggiamento di fondo, a cui rimarrà sempre coerente: «Penso che le masse socialiste estenuate dalla fame e dalla miseria mi siano più care dei sazi borghesi cattolici».


  1. Nella lettera del 14 novembre 1919 all’amico Bilogrivić si firmava come «Comandante militare della miniera (di carbone) nazionale – Maslovare, Ivan Merz, tenente». E della propria vita scriveva: «Faccio una vita bella; sono libero e non ho troppo lavoro. La “spagnola” fa strage nei villaggi che si estinguono… E’ bello vivere così lontano dal chiasso del mondo!» Per il resto si veda il Diario.
    ↩︎
  2. Il 13 ottobre 1919 Ivan, da Vienna, chiede al padre lo “Heimatschein” (certificato di naturalizzazione), dato che il padre come impiegato statale dovrebbe essere anche cittadino del nuovo Stato. Il 5 novembre Ivan accusa ricevuta di “tutto” quanto aveva chiesto. Infine, nella lettera del 27 gennaio 1922, da Parigi, Ivan ringrazia i genitori per la loro lettera e «la notizia che noi finalmente, grazie a Dio, non abbiamo più alcuna preoccupazione a causa della cittadinanza» (v. Corrispondenza con i genitori. – Arch. Merz).
    ↩︎
  3. Nelle Memorie (Zapisci) di Iso (Isidoro) Kršnjavi, pubblicate soltanto nel 1986, a p. 504 è riportato il testo di una sua lettera, del 12 gennaio 1908, al grande slavista e sostenitore dell’idea jugoslava Vatroslav Jagić. Kršnjavi, che pure nella giovinezza, sotto l’influsso del vescovo Strossmayer, era stato entusiasta della stessa idea, scriveva a Jagić: «[…] A proposito dei Serbi – molto tempo fa – pensavo allo stesso modo come (pensa) Vostra Signoria illustrissima, e forse lo penserei anch’oggi se l’esperienza nella vita politica non mi avesse fatto cambiare l’opinione… E’ vero che noi abbiamo la stessa lingua, ma i Serbi e i Croati sono divisi da profonde differenze culturali e politiche. Qui è ancora vivo (attuale) lo scisma culturale tra l’Oriente e l’Occidente, che ha diviso l’Impero Romano e la Chiesa cattolica, e qui si oppongono l’idea statale absburgica e quella serba, alla quale sono favorevoli tutti i Serbi senza eccezione […]. Illustrissimo, Lei sopravvaluta troppo il dr. Frank pensando che egli potrebbe dividere i Serbi e i Croati, quando essi stessi sono (già) divisi a causa di altre profonde ragioni testé menzionate. Di questa discordia ci sono anche altre ragioni che rimangono piuttosto in superficie. I Serbi vogliono non solo guidarci ma anche dominarci politicamente ed economicamente […] Alla egemonia serba il nostro paese deve gli 80 anni di una amministrazione sterile […] Quanto alla Bosnia, i Serbi sono un vero pericolo per la monarchia e per i Croati. A causa loro il nostro impero dovrà fare un’altra guerra per la Bosnia. Essi hanno acconsentito alla Risoluzione di Fiume  solo a condizione che i Croati rinunciassero alla Bosnia “serba”. Da qui il loro finto amore per il suolo nativo. Essi (cioè i Serbi della Croazia) amano questo suolo nativo solo in quanto lo considerano come preda del futuro grande impero serbo, del quale Dio ci liberi […]». Per le allusioni al dr. Frank e alla Risoluzione di Fiume cf. supra, Cap. I.
    ↩︎
  4. In “Hrvatska prosvjeta” XXV, Zagreb 1938, p. 339. L’allusione del Maraković a una maggiore “indipendenza storica” era la reazione al modo in cui, in occasione del 10. anniversario della morte di Ivan (1938), si era scritto di lui, sorvolando su certe cose; tra l’altro, il ruolo dello stesso Maraković nella formazione di Merz non era stato sufficientemen­te valutato.
    ↩︎
  5. La diffusione dell’idea cirillo-metodiana, promossa dall’associazione “Krek” di Praga, aveva come obiettivo ultimo l’unione delle Chiese. Essa ha avuto una forma concreta nella “Lega Cirillo-Metodiana” aperta agli studenti cristiani cattolici e non cattolici. Più tardi l’associazione studentesca “Dan” di Belgrado cambiò il nome in “Associazione accademica dei ss. Cirillo e Metodio”, e si proponeva di cercare contatti con gli ortodossi, di destare in essi la coscienza cristiana e far conoscere loro il cattolicesimo, del quale parlavano con grandi pregiudizi; il suo obiettivo primario però era quello di organizzare i cattolici serbi che poi – si sperava – avrebbero aiutato il lavoro tra gli ortodossi. Cf. Stjepan Podolšak, Gdje ćemo stati ? (Dove ci fermeremo?), in “Luč” XIX, 1923/24, p. 122s.
    ↩︎
  6. Nella “Luč” del 25.III.1920, num. 8-9, p. 69s, A(velin) Ć(epulić) informava: «Poco tempo fa abbiamo cambiato il nome “Hrvatska” (Croazia) in “Jug” (Sud), perché dopo il ritiro di “Danica” (associazione universitaria slovena) da Vienna siamo organizzati, Croati e Sloveni, nella stessa associazione, quindi il nome non corrisponde più. Vogliamo dare al nome della nostra associazione un carattere prettamente jugoslavo». Anche questo era un segno dei tempi di allora! Dieci anni più tardi, lo stesso A. Ćepulić, ricordando quel periodo di Vienna, scriveva: «Nel secondo anno (1919/20) il numero dei membri di “Hrvatska” è aumentato notevolmente. Quell’anno però ha seppellito alcune vecchie tradizioni dell’associazione, perché un gran numero di nuovi membri vi ha portato certe nuove idee. Era il tempo quando nell’intellighenzia croata si era imposta una errata concezione dell’unità nazionale. Quasi tutta la intellighenzia croata, compresi i vecchi seguaci di Starčević e Kvaternik ha cominciato insensatamente a diffondere lo jugoslavismo. A questa ondata…è finito per soccombere anche un notevole numero di studenti cattolici. I nuovi membri della “Hrvatska” non si curavano della ventennale tradizione dell’associazione e volevano cambiarne il nome in “Jugoslavia”. Noi ci siamo opposti a questo perché ci rendevamo conto della pericolosità di tale atto. Ma i nuovi membri erano in maggioranza, e noi siamo riusciti solo a mitigare questo cambiamento ottenendo che l’associazione si chiamasse “Jug”» (A. Ćepulić, Iz đačkih dana dra Ivana Merza, in “Orlovska Misao” 1927-1928, num. 9, p. 134).
    ↩︎
  7. Sull’attività della massoneria in Croazia v. Ivan Mužić, Masonstvo u Hrvata (Masoni i Jugoslavija), Split 1983, da dove abbiamo attinto i relativi dati.
    ↩︎
  8. Ibid., pp. 64-65.
    ↩︎
  9. Sul ruolo della massoneria nella creazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni v. ibid., Cap. VI, pp. 155-172.
    ↩︎
  10. Il corso della lotta contro le Congregazioni Mariane è descritto con molti particolari nel Diario di D. Kniewald, pp. 104-108.
    ↩︎
  11. Kniewald, Diario, p. 106.
    ↩︎
  12. Vitomir Korać, Povijest radničkog pokreta u Hrvatskoj i Slavoniji... (Storia del movimento operaio in Croazia e Slavonia…), vol.I, Zagreb 1929, p. 106, citato in I. Mužić, op. cit., p. 64.
    ↩︎
  13. Kniewald riporta nel Diario, p. 99, l’elenco di tutti i periodici comunisti che uscivano nel 1920: erano ben 14, pubblicati in diverse cità – Beograd, Zagreb, Ljubljana, Novi Sad, Vukovar, Osijek, Slavonska Požega, Virovitica, Split, Sarajevo, Skoplje. “Crvena zastava”, bimensile per la gioventù comunista, “Jednakost” (Uguaglianza), bimensile per le donne comuniste della Jugoslavia, e “Budućnost”, mensile per i bambini, uscivano a Belgrado.
    ↩︎
  14. Kniewald, p. 89, registra che «I verbali ed altri scritti del Seniorato furono riposti in un luogo sicuro. Alcuni sacerdoti del Comitato del Seniorato avevano pronti gli abiti borghesi logori e i fazzoletti rossi, al posto della cravatta, per il caso che avvenissero disordini».
    ↩︎
  15. In quel tempo era rettore dell’Augustineum l’istriano dr. Josip Ujćić, in seguito professore alla Facoltà teologica di Ljubljana e poi arcivescovo di Belgrado. – Nell’autunno del 1919 Ivan poté tornare al suo vecchio quartiere presso la signora Pyrzynska.
    ↩︎
  16. Nella “Luč” del 25 marzo 1920, num. 8-9, A(velin) Ć(epulić) informa delle frequenti conferenze nelle quali vengono trattate le questioni d’attualità, come: Il nostro orientamento cattolico, la stampa, la Chiesa cattolica nella storia, la fede e scienza, l’educazione del cuore e dell’intelletto, lo studente cattolico nella vita privata ecc. Sono in programma le conferenze sulle questioni socio-economiche e su una serie di questioni culturali e politiche. Si prepara anche il materiale per un almanacco degli studenti. I nuovi locali dell’associazione si trovano nelle vicinanze dell’università, delle cliniche e della mensa jugoslava, quindi sono il centro della vita sociale degli studenti. E’ stata sistemata la biblioteca e la sala di lettura. Ci sono a disposizione molti giornali cattolici e riviste. – Su questo periodo A. Ćepulić ritorna nell’articolo di “Orlovska Misao” 1927-1928, cit. sopra, nota 6.
    ↩︎
  17. V. sopra, Cap. VI, B.
    ↩︎
  18. Pseudonimo di Kuzma Petković, giovane poeta croato che prometteva molto, ma che aveva appena terminato la teologia a Zadar, quando dovette essere ricoverato in un sanatorio presso Graz, dove morì senza essere stato ordinato sacerdote. Cf. Martin Jurjević, Roman Tieck, in «Ratna knjiga “Luči”», Zagreb.
    ↩︎
  19. Il 31.III.1919 Ivan scriveva all’amico Bilogrivić, insegnante di religione a Banja Luka: «Noi qui pensiamo molto a voi e tutto il lavoro di “Hrvatska” sta nel trattare tutte le questioni più attuali: la riforma della “Luč” ed altro. Pensiamo di essere riusciti a far cambiare il redattore, ed anche noi stessi collaboreremo. Qui ci sono degli uomini meravigliosi; oltre al p. Mato F. (Filipović) c’è un certo Ćepulić, studente di medicina…. Inoltre…un francescano da Krk (fra Velnić)… Frequentiamo varie conferenze religiose…».
    ↩︎
  20. Cf. Avelin Ćepulić, Iz đačkih dana dra Ivana Merza, in “Orlovska Misao” (Prilog “Hrvatskoj Straži”) 1927/28, num. 9, pp. 130-134. – Kniewald, nella seconda redazione della biografia di Merz (Zagreb 1964, p. 75s), collega questo episodio con l’annotazione di Merz del 12 giugno 1919, il che non è accettabile. Merz infatti in quel tempo aveva vitto e alloggio nell’Augustineum, come risulta dalla sua corrispondenza con i genitori. Quando nell’autunno 1919 tornò a Vienna, ebbe il vitto presso la signora Pyrzynska. Il 22 sett. 1919 scriveva ai genitori che non poteva essere accettato nella Mensa jugoslava prima del 1 ottobre. L’episodio di cui sopra, dev’essere quindi accaduto più tardi.
    ↩︎
  21. Vjerski preporod austrijskih katolika, in “Narodna Politika” del 17.IV.1920, p. 2. – Ivan scrisse questa corrispondenza da Vienna il 30 marzo 1920, dopo il grande Congresso dei cattolici austriaci del 25 dello stesso mese (v. Diario, 25 marzo 1920). Nell’articolo informa come le lotte con i socialisti e comunisti hanno rafforzato le file dei cattolici nel “Volksbund” (con il quale si è fuso il “Piusverein”). Le donne cattoliche hanno avuto una loro organizzazione e sono particolarmente attive nella “Caritas”, mentre nel campo culturale “dell’inferiorità del cattolicesimo non si parla più: il liberalismo teoretico è sepolto”. Le lotte sostenute dai cattolici hanno avuto come risultato un grande entusiasmo per la Chiesa universale.
    ↩︎
  22. Novi tip akademske organizacije, in “Život” 1928, num. 2, p. 20-22. – Nell’articolo Ivan descrive l’organizzazione e il funzionamento delle associazioni note in Germania sotto il nome di “Akademische Vereine zur Pflege der katholischen Weltanschauung”, e in Austria sotto il nome di “Logos”. (Ivan assisteva alle conferenze del p. Kronseder S.I. del “Logos” di Vienna; cf. Diario, 24 aprile 1920. P. Kronseder tenne anche qualche conferenza nell’associazione “Jug”; ibid. 8 giugno 1920). Lo scopo di queste associazioni è di far conoscere ai membri i valori di cui la Chiesa è portatrice, affinché ciascuno possa coltivare meglio la propria vita spirituale. Pertanto nelle riunioni (alle quali possono prendere parte non più di 30 persone) vengono affrontate le questioni fondamentali (ad es. Liturgia, la divinità di Cristo ecc.), e tutto il resto viene visto “sub specie aeternitatis”. I cattolici formati in queste associazioni saranno il lievito che contribuirà alla cristianizzazione delle masse. – Per rendersi conto dello spirito che regna tra gli universitari cattolici tedeschi, Ivan raccomanda la lettura del mensile “Die Seele” (München).
    ↩︎
  23. Katolička internacionalna đačka unija, in “Narodna Politika” del 28.VII.1920. – L’idea per la costituzione di questa Unione veniva dagli studenti cattolici svizzeri e olandesi (primavera del 1920) ed aveva per scopo di promuovere presso tutti gli studenti del mondo la coscienza dell’universalismo cattolico e la cooperazione nel campo culturale nonché nella lotta contro il nemico comune. «Essa (Unione) – scrive Ivan – non tende a livellare la coscienza nazionale e a liquidare i valori nazionali dei singoli popoli, al contrario essa fa sì che i singoli popoli coltivino i propri specifici elementi e (così) apportino all’umanità nuovi orizzonti. Il cattolicesimo è l’unica base sulla quale possono unirsi tutti i popoli in un’unità…».
    ↩︎
  24. Alla fine della Prima guerra mondiale, in Croazia l’interesse per le missioni estere era quasi inesistente. Il fatto sta che il movimento missionario si fece vivo prima in Slovenia, da lì poi passò in Croazia. Mi sia consentito di riferire un particolare illustrativo in proposito. Nell’anno scol. 1922/23, uno studente della diocesi di Split faceva il secondo anno di teologia a Maribor. Costatando che in Slovenia esisteva interesse per le missioni, scrisse alla redazione del settimanale cattolico di Sarajevo “Nedjelja”, suggerendo di aprire nel periodico una rubrica “missionaria”. Il redattore accolse il suggerimento. Il settimanale arrivava anche in una numerosa famiglia cattolica della mia città natale, Metković. Il piccolo Ante, leggendo quel periodico, ebbe l’idea di farsi missionario. Nel 1925 entrò nel seminario di Travnik, si fece gesuita e fu per 50 anni (1938-1988) missionario zelantissimo nella Bengalia (India), dove morì. Era il p. Ante Gabrić di Metković, e colui che aveva promosso l’apertura della rubrica missionaria era don Radovan Jerković, in seguito insegnante di religione a Metković, morto nel 1950 nella prigione comunista di Split.
    ↩︎
  25. Il dr. Vlašić era anche lui nativo di Banja Luka, ma tre anni più giovane di Merz. Questi l’aveva aiutato nel 1919 ad andare agli studi a Vienna. Cf. Processo Informativo, teste XII.
    ↩︎
  26. Cf. l’articolo Orijentacija katoličkog đaštva (Orientamento degli studenti cattolici), in “Luč” XV, 1.V.1920, num. 10 e 11, p.81s. Nello stesso numero, p. 84, veniva pubblicato l’invito a partecipare alla manifestazione: U Maribor!
    ↩︎
  27. Cf. Kniewald, Diario, p. 109. «Mi ero rallegrato – scrive Kniewald – di poter assistere alla conferenza del giovane universitario Ivan Merz, di cui avevo sentito parlare tanto bene… ma non son potuto arrivare ovunque».
    ↩︎
  28. Katolička đačka internacijonalna unija, in “Zora-Luč” 1920, num. 2, pp. 35-37, e num. 3-4, pp. 70-72. – Nella relazione Merz anzitutto rileva come dopo la guerra la coscienza internazionale si è molto sviluppata. Però, «la coscienza internazionale non ha alcuna forza se essa non è nei cuori degli individui». Le masse che erano state fanatizzate dagli ideali nazionalistici, hanno compreso che esistono altri valori più alti per i quali l’uomo può entusiasmarsi e sacrificarsi. Ora sorgono delle organizzazioni internazionali in cui si uniscono i gruppi che hanno in comune una determinata visione del mondo. Stando alle relazioni sui recenti congressi internazionali, si nota che ci sono, in genere, tre gruppi che hanno contatti sul piano internazionale: i massoni, i socialisti e la Chiesa. Anche gli studenti come parte dei loro popoli hanno creato delle organizzazioni internazionali, secondo le visioni del mondo che professano e che per lo più sono contrarie al cristianesimo. «Una gran parte di queste organizzazioni – specialmente di quelle pacifiste – sono guidate dagli Ebrei, ed hanno per scopo l'”internazionalismo”». La maggior parte di queste organizzazioni hanno le loro centrali in Svizzera e in Olanda. Si comprende quindi che lì siano sorte anche le organizzazioni internazionali cattoliche e che gli studenti cattolici si siano fatti promotori dell’iniziativa per una Unione Internazionale degli Studenti Cattolici. Prima di soffermarsi sullo scopo e la struttura di questa organizzazione, Merz ritiene opportuno sottolineare che  «Il cattolicesimo non deve mai identificarsi con l’internazionalismo. L’internazionalismo – come lo immaginano i pacifisti – è la negazione di ogni cultura nazionale… Per noi il termine “internazionalismo” è un termine tecnico per indicare quella organizzazione che raccoglie sullo stesso piano di diritti i membri di diversi popoli ((in vista della) cooperazione)». «I popoli sono il frutto (risultato) dello sviluppo naturale e…ogni popolo ha la sua missione specifica per la gloria della Chiesa di Cristo». «Noi rifiutiamo decisamente il cosmopolitismo utopistico. Noi diffonderemo il cristianesimo anzitutto nel popolo in cui viviamo, e intenzionalmente non cancelleremo i colori e le sfumature del genere umano che gli permettono di raggiungere il proprio fine in tutte le direzioni». Merz conclude la sua relazione così: «Non sappiamo esattamente come l’umanità si svilupperà, però il principio (la norma) per gli individui, per le nazioni e per l’umanità devono essere le parole di Cristo: “Cercate anzitutto il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù».
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  29. Kniewald, Diario, p. 108s, scrive: «Nella riunione dei rappresentanti della “Lega jugoslava degli studenti cattolici” (Jugoslavenska Katolička Đačka Liga) quelli della “Krek” (Krekovci) hanno proposto che la loro associazione in futuro non si chiami “cattolica” bensì “cristiana” e che possa accettare come membri anche gli studenti che non appartengono alla religione cattolica. Il vescovo Mahnić si è riferito a questa proposta nella sua lettera (indirizzata alla gioventù che doveva incontrarsi a Maribor) con queste parole: “Il fondamento del nostro movimento è la fede cattolica con tutte quelle forze culturali che essa contiene in sé. Anche il vostro movimento studentesco è fondato sul cattolicesi­mo…Comunque occorre che rimanga intatto il carattere cattolico del vostro movimento studentesco cattolico e di tutte le sue unità” (in “Zora-Luč” 1920, I. 1-2)… I Krekovci sapevano che non dovevano opporsi apertamente a quel che diceva Mahnić nella “lettera di Maribor”. Quando questa discussione era al punto decisivo e sembrava che potesse avvenire la scissione, in quanto i Krekovci, sebbene isolati, insistevano sul proprio punto di vista, ho fatto chiamare il dott. Ljubomir Maraković perché… con la sua autorità salvasse la situazione. Il dott. Maraković ha risposto subito alla mia domanda e si è messo a discutere di nuovo con i Krekovci… Alla fine è stata trovata la formula che pure i Krekovci, anche se contro voglia, hanno accettato, cioè che tutta la questione …venga portata davanti all’Episcopato, e come l’Episcopato decide così sarà. I Krekovci…non potevano opporsi a questa formula di compromesso perché ciò sarebbe equivalso al mettersi in contrasto non solo con la maggioranza degli studenti, con il Seniorato e con il vescovo Mahnić, ma anche con l’Episcopato», la cui risposta contraria alla proposta dei Krekovci era prevedibile.
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  30. Ivo Protulipac, nato a Hrnetić (Karlovac) il 4.VII.1899, era allora studente di Legge, poi avvocato. Ottimo oratore, ebbe il primo posto nelle organizzazioni della gioventù cattolica: prima come presidente delle “Aquile” (Orlovi), poi (dopo il 1929) dei “Križari” (Crociati), infine dell’Azione Cattolica. Fu liquidato dai comunisti con un colpo di pistola nella nuca, in una via di Trieste, il 31 gennaio 1946. I suoi resti mortali sono stati trasferiti a Zagreb nel 1995 e deposti nella tomba che fu di Ivan Merz. Di Protulipac si parlerà più avanti. – A proposito della conferenza di Protulipac, Kniewald annota: «In questo giovane uomo c’è qualcosa che attira, ma anche qualcosa che allontana. Attira l’entusiasmo, l’ardore, mentre in qualche modo allontana un certo tono demagogico nel parlare» (Diario, p. 108).
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  31. Rispondendo il 23.II.1932. ad una precisa domanda del dr. Kniewald, il vescovo Srebrnić ritiene che il dr. Lovrenčič, menzionato da Merz, poteva essere solo il dr. Matija Lavrenčič (non Lovrenčič), giudice, cattolico esemplare.
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