C a p i t o l o VII
Ormai esperto sciatore, Ivan sarà impegnato in zona di guerra, sempre sul fronte italiano, ma non nelle unità combattenti. Grazie soprattutto alla sua corrispondenza con i genitori e alle annotazioni del Diario possiamo seguirlo nelle varie situazioni in cui è venuto a trovarsi sul fronte negli anni 1917-1918.
A. DAL DIARIO DI IVAN MERZ: 31.III.1917 – 15.X.1918
(Comincia il IX quaderno)
Zingarella, 31 marzo 1917.
La guerra non può durare a lungo. Un anziano di Sinj mi ha raccontato che i suoi gli hanno scritto che in una casa sono morte di fame nove persone. Nina (Nikola Bilogrivić) ha messo tra le righe la noticina: «Qui la gente ha fame. Tra Pale e Višegrad muoiono di fame». Oltre a questo, giorni fa due caporali maggiori sono passati dalla parte degli Italiani, lasciando la lettera in cui invitano anche gli altri a seguire il loro esempio.
La guerra dura troppo a lungo e i soldati non sanno perché combattono. Per di più da casa ricevono notizie tristi. Le condizioni politiche, specialmente il progetto dei Tedeschi di introdurre la lingua tedesca come lingua dello Stato, probabilmente influisce ulteriormente sulla gente. Qui la gente ha fame; oggi non c’era nemmeno il pane di granturco, ma Zwieback (biscotto).
I. Baar, Putem ljubavi (Per la strada dell’amore) (Svjetska knjižnica -Biblioteca mondiale).
Un’opera boema cattolica “moderna”, non è una cosa veramente grande. E’ forte il motivo, l’idea – mysterium crucis -, ma l’elaborazione è troppo frammentaria, buttata giù sulla carta (è una tecnica speciale di Baar). In un romanzo o novella, psicologico o realistico, cerchiamo un’azione che possiamo osservare e non un’azione i cui effetti ci vengono raccontati dall’autore. (Continua l’analisi dell’0pera che)…non è un romanzo e non ha posto nella letteratura artistica, ma va annoverata tra le opere storico-culturali della vita della Chiesa, trattandosi di un particolare dell’epopea della vita sacerdotale piena di sacrifici. […]
Se (l’autore) l’avesse impostato come diario o autobiografia, avrebbe dovuto cambiare soltanto un poco e l’opera sarebbe a suo posto come una particolare specie poetica.
Zingarella, 10 aprile 1917.
Za hljebom (In cerca del pane) di Sienkievicz. E’ una novella sociale con tendenza artistica, che vuole convincere i Polacchi a non emigrare. Tolstoj dubita della verità delle opere di Sienkievicz. Ciò si può affermare per quest’opera, ma è grande nelle descrizioni pittoresche… Il patriottismo compenetra l’opera di poesia che le dona valore. Altrimenti non è un gran che.
Hendrik Conscience. E’ una novella campestre degli anni quaranta del secolo scorso, proprio del periodo del tardo romanticismo tedesco. (Continua l’analisi dell’opera).
Zingarella, domenica, 15 aprile 1917.
Fuori la neve e la pioggia. Mi manca un vero sentimento per la natura, da quando devo lottare con essa. Inoltre c’è quella debolezza: la paura che mi mandino alla compagnia non appena la neve scompare.
In quest’ultimo tempo non so nemmeno io come vivo. Si è rallentato il legame con Dio. Ho gioito troppo per l’arrivo dei Bosniaci S. e M. e sono rimasto deluso. Troppo a lungo siamo stati separati nel mondo e le nostre vedute e i nostri caratteri si sono allontanati. Sono stato addolorato, perché dove non ci sei Tu, o Dio, lì non c’è nemmeno la gioia.
Forza, forza, forza!
Chi dovrei temere se siamo pellegrini qui, e per noi è un onore tirare avanti nella vita e ammucchiare i tesori per quella grande vita. La forza, di nuovo ti chiedo la forza!
Zingarella, 17 aprile 1917.
Gli Italiani sparavano abbastanza.
Quando tuona il cannone penso che san Francesco mi predichi: advenae et peregrini sumus. Vedo che in questo esercito sto perdendo l’anima. Ho diritto di oppormi con la forza a colui che mi vuole strappare l’anima? E’ dunque giustificata la rivoluzione? «Se uno ti percuote da una parte, porgigli l’altra!» Umiltà e rivoluzione, non so come si accordino, solo sono convinto che la guerra non è attuale, perché di fatto l’inimicizia tra i popoli non esiste, bensì soltanto l’ostilità tra le classi. La guerra moderna è una rivoluzione. ? ? ?
(Presentazione e analisi di Ponor (Abisso) di Gončarov1).
Zingarella, 20 aprile 1917.
«Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto» (Mc 4, 18-19).
La cosa più opportuna è applicare a me queste parole. Da una parte c’era quell’entusiasmo per l’arte a cui a suo tempo – e abbastanza anch’oggi – ho sacrificato tutta la mia vita religiosa. In realtà, questa – come alimento – dovrebbe essere il filo fondamentale della vita e tutto il resto andrebbe soltanto aggiunto. Sono però troppo innamorato di questo mondo, non pensando che siamo advenae et peregrini e leggiamo tutto fino all’esagerazione. Da domani cercherò di aiutare i ragazzi a portare la loro croce: andrò più spesso alla brigata. Dio, Dio, perdonami perché Ti ho abbandonato. Dammi di nuovo la forza di riconoscerti ovunque e in tutto , di sentire ovunque la Tua presenza e di non aver paura di nulla (perché siamo advenae!).
Zingarella, 25 aprile 1917.
Gončarov è un ottimo narratore, ma gli manca la forma. Tutto è enorme ed ampio, la vie toute entière, toute detaillé. Per questa immagine dettagliata della vita ricorda molto Zola, dove accanto all’azione principale è presentato dettagliatamente anche lo sfondo. […]
Zingarella, 26 aprile 1917.
Quando l’uomo si trova in pericolo di morte, osserva tutta la natura soltanto da un punto di vista: se questa o quella parte della natura aumenta o diminuisce il pericolo. Solo quando questo è superato, l’uomo può pian piano percepire tutta la maestosità della natura e svilupparsi culturalmente.
Questo pensiero costituisce la base per la comprensione della cultura. Mentre l’uomo viveva nelle grotte e lottava per la propria esistenza non poteva, in quei momenti di continuo pericolo, filosofare – capire oggettivamente la natura e la vita. Allora non poteva svilupparsi la cultura dello spirito, come quando le necessità della vita venivano soddisfatte senza grande fatica.
Un popolo, se vuole svilupparsi culturalmente, dev’essere autonomo materialmente. Includo in questa tesi il “mysterium crucis” che è fonte di vita e di progresso. Non deve essere soltanto “crux materialis”, ma anche “spiritualis” (Madonna Santa!).
Zingarella, 4 maggio 1917.
Ho intenzione di scrivere una novellina sulla scia di La mère Sauvage di Maupassant. L’idea base sarebbe questa: I popoli che lottano, e lottano eroicamente, in realtà non hanno alcun sentimento patriottico. Percepiscono chiaramente che non sono loro nemici gli Italiani ed altre nazioni, ma quelli che hanno promosso questa guerra. Perché dovrebbero soffrire per le tasche altrui: patire la fame per tanti anni e perdere la vita nelle mischie più difficili? Quando questi uomini tornano a casa, faranno di nuovo i contadini, dai quali il cosiddetto Stato di nuovo succhierà il sangue. Due si renderanno conto di questo e diserteranno, onde la novella prenderà il titolo: I disertori.
Ritengo che questa novellina caratterizzerà tutto questo secolo, dove non esistono realmente le tensioni di nazionalità, tranne all’Oriente: i Serbi e i Tedeschi a causa del “Drang nach Osten”, ma soltanto le differenze di classe. Questa guerra è stata fabbricata, oggi esiste la tensione soltanto tra il sazio e l’affamato. Al giorno d’oggi la rivoluzione è giustificata storicamente – della giustificazione morale non oso parlare ancora -, pertanto il comportamento di quei due disertori è l’espressione rivoluzionaria della loro sana ragione.
Zingarella, 5 maggio 1917.
(Presentazione e analisi di Mati -La madre di M. Gorki).
L’opera non ha una valore artistico. […] E’ un’opera interessante dal punto di vista storico-culturale perché rispecchia le aspirazioni migliori della social-democrazia… Sì, come dicemmo, è interessante perché il nostro secolo è un secolo sociale che lotta contro coloro che possiedono eccessive ricchezze. Quest’opera è l’espressione letteraria di quest’epoca social-democratica. Tuttavia nemmeno quest’epoca è compresa profondamente: qui si tratta soltanto di una prova materiale. Gli operai e i contadini sono fisicamente soggiogati e perciò si organizzano fisicamente per distruggere questo regime e così raggiungere il benessere materiale. Qui non si parla affatto di una promozione spirituale, della rivoluzione spirituale. Quelle poche parole sulla religione, l’incredulità di questi combattenti per la verità non è per niente motivata, anzi la religione della stessa madre è una religione tutta sentimento. In che modo strano il cristianesimo della madre si trasforma in un’altra religione, quella dell’amore all’umanità. Salti psicologici enormi, grande incomprensione del cristianesimo, come se il cristianesimo non si curasse di quelli che soffrono. […]
(Il X Quaderno del Diario)
Zingarella, 7 maggio 1917.
Che gente strana! Ho fatto tutto il bene ai miei ragazzi, e il mio attendente non vuole ubbidirmi. Com’è strano e incomprensibile tutto ciò! Sarò più severo e forse gioverà. Ritenevo finora che si ottiene tutto con la bontà, però mi sono sbagliato di molto. (I ragazzi) obbediscono come agnelli a coloro che li picchiano e disprezzano, anzi ho notato che li rispettano.
Zingarella, 9 maggio 1917.
E(rnst) T(heodor) A(madeus) Hoffmann.
(Novelle…) Si vede che i romantici tedeschi sono maestri di novelle. Guardano la vita con disinvoltura, quindi anche le loro opere sono permeate di questo tono ingenuo. E quel raffinato, etereo erotismo riempie le loro opere di un fascino (grazia) fresco.
La poesia romantica mi attira molto, specialmente come alternativa dopo le opere naturalistiche di Gorki, in particolare di Mati (Madre). Tutto bolle e scroscia, tutta la natura vive e parla, mentre in Gorki ci sono solo problemi tetri della vita, una ricerca nel buio e il non-trovare. Quella vita senza Dio, con ideali nel presente, il progresso, la rivoluzione: tutto è tetro e falso.
La miseria dell’operaio è miseria e sofferenza, ma questa non è la miseria assoluta, bensì una fase che conferma il grande pensiero ottimista sul mysterium crucis e l’altra vita. Gorki lotta contro la miseria come contro il male assoluto e i successi della sua rivoluzione sono, secondo lui, il bene assoluto. L’attività della madre e la sua gioia, secondo lui, sono il regno di Dio. Dio mio, quanto è buio il regno di Dio se tutto finisce con la morte! Perché lottare per le idee etiche, se la morte è più forte di esse?
Zingarella, 18 maggio 1917.
I nostri cannoni hanno sparato fortemente. Tutta la baracca si scuote quando tuona il cannone di 15 cm. L’uomo si abitua a tutto. Se i cannoni sparano o no, io vado per la mia strada, come se nulla fosse. Non mi vengono spesso i pensieri che siamo “advenae”. In qualche modo mi dispiace di non aver vissuto personalmente tutta questa guerra. Il dolore, la sofferenza, il guardare migliaia e migliaia di uomini sfigurati, morti e sofferenti, toglie certamente dall’uomo tutto ciò che è transitorio e con grande energia gli inculca il senso della vita.
Quel poco di dolore che ho sofferto, quel primo salto davanti ai proiettili del fucile o le schegge (durante il percorso verso la brigata) mi ripetevano sempre le parole del Signore: «Perché avete paura, non credete ancora?» Perché aver paura? Egli lassù già sa che cosa sarà di me. Egli mi ama infinitamente e sa quindi se per me è meglio morire o vivere ancora. Quindi, perché temere se Egli stabilisce le mie vie? Bisogna vivere e lodarLo sempre, senza curarsi del pericolo di morte.
Che cosa è la vita? L’altro giorno un tale giaceva accanto al cimitero, era rovesciato e disteso come un tronco, come se non fosse vissuto mai. Lo scopo della vita è forse il godere, il cedere alle passioni? Che senso strano se tutto finisce con la morte.
Perché in me c’è tanto desiderio di perfezionarmi, di avvicinarmi al Sommo, perché una forza superiore mi dice sempre: digiuna, non mangiare troppo, sii superuomo?
Zingarella, 19 maggio 1917.
Dicono che stanotte inizierà un grande fuoco contro gli Italiani per raggirarli e indurli a spostare il loro esercito di qua. La notte scorsa gli Italiani hanno conquistato una collina alla parte destra: tutta la notte si sentiva il rimbombo dei cannoni…
Solovjev, Die geistigen Grundlagen des Lebens… Tre conversazioni (tuona forte!) (Storia!), discussione in forma drammatica, in cui si incontrano gli uomini di diversi principi e discutono sui problemi eterni. Nella stessa forma ha scritto Moravski le sue Conversazioni sul lago di Ginevra. La parte più interessante è la fine: il racconto sull’Anticristo, con cui l’autore-poeta vuole dimostrare l’esistenza del male e del bene e l’assoluta prevalenza del bene.
L’idea di Anticristo, nelle linee generali, è intesa come da Benson: l’egoismo del secolo personificato in quest’uomo raggiunge il culmine nell’odio e nell’invidia contro il Galileo, nel quale crede, ma non vuole inginocchiarsi davanti a lui e adorarlo. […]
Zingarella, 25 maggio 1917.
«Ce sacrement confère la grâce de l’Esprit Saint, rend à l’âme tombée sa vertu, et fait revivre sa beauté première, que le peché avait effacée». De imitatione, IV, I/11.
Domani. «Cette grâce s’épanche quelquefois comme un océan; et le fidèle, tout débordant d’amour sent son âme, et même son corps débile, animée d’une vigueur inconnue».2
Solovjeff, Sontags u. Osterbriefe 16. (Blindheit u. Verblendung). (Segue una citazione).
Zingarella, 4 giugno 1917.
Dal Monte Cucco ho guardato Roana. In fondo alla valle si vede la città con la chiesa. La chiesa, Dio mio, apice e il centro della cultura e di tutta l’umanità. Ammiro il genere umano che costruisce le città e unisce quest’opera umana con l’idea di Dio; come l’immagine di Cristo.
Il cuore vorrebbe andare laggiù; ho nostalgia degli uomini e del lavoro, del colorito di lingue e di arti; della varietà di colori, della diversità; delle istituzioni culturali, di varie associazioni, di diversi ordini che operano nell’umanità. Il centro di tutto sia Nostro Signore Gesù, il quale ha consacrato tutta la natura e l’attività umana nella Chiesa, Suo corpo vivo.
La città di laggiù è vuota, la chiesa, simbolo di religione, è un certo memento alle generazioni. Dall’alto piovono le granate e i soldati di passaggio guardano là con tristezza. Tutti sono contro la guerra, ma nessuno ha la forza di opporsi e di creare lo stato normale nella natura – la concordia.
Zingarella, 6 giugno 1917.
Trasportano spesso i feriti. Si tratta per lo più degli effetti delle mine: riducono in pezzi e feriscono di brutto. Ci sono molti aerei: le schegge piovono sulle teste. Per di più l’Italiano spara con un grosso cannone sulla strada.
Zingarella, martedì, 12 giugno 1917.
Sabato notte ho condotto 2 compagnie del 14. reggimento su Malga Cime. I ragazzi, stanchi dal viaggio, appena sistemati, dovettero, come venni a sapere più tardi, proseguire al monte Formio. Sono rientrato prima dell’aurora, ma dopo un’ora, mentre dormivo, sentii gli spari e il fischio delle granate di cannoni. L’Italiano ha iniziato un fuoco martellante: le granate esplodevano vicino alle nostre baracche. Con i ragazzi mi avvicinai di soppiatto al Comando del reggimento e lì si poteva distinguere bene l’esplosione dei cannoni aerei che facevano tremare la terra. Un gran chiasso, strepito, rumore, fischi, fragore: tutti i toni possibili, su cui il diavolo si librava voluttuosamente come su una gomma (sic).
A dire il vero, i nostri ragazzi non sono fatalisti. Si rimettono alla volontà di Dio perché dicono che vivranno quanto Dio ha loro stabilito, quanto a Lui piacerà. Anch’io sento così, per cui nemmeno ho paura, solo prego che Dio mi perdoni i peccati.
Questo gran chiasso, le esplosioni di granate e di mine, poi il silenzio e i suoni di fucili, nell’aria il rombo degli aerei, i morti e i feriti, tutto questo è storia vivente.
Sopra tutto ciò aleggia la bianca maestosa figura di Cristo. «Io ho portato la spada». Solo adesso comprendo la pienezza e il linguaggio metaforico di queste parole: Se non seguirete me, se tutti penserete soltanto a voi stessi, vi staccherete dal mio Corpo e tra di voi nascerà la discordia, la guerra con tutte le sue terribili fasi. «Io porto la spada» – mi suonano sempre le sue parole. La medicina per questo: «Revenons à l’Eglise!».
Scheffel, Der Trompeter von Säckingen. (Analisi dell’opera).
Zingarella, 17 giugno 1917.
Lentamente scompare l’entusiasmo giovanile. Sempre più mi abbasso al livello di un comune uomo debole. Una volta pensavo che avrei imparato tante lingue e ora non so il francese nemmeno tanto quanto ne sapevo una volta. In genere sembra che i pensieri di estetica e letterari non esistano più; sono affiorati alla superficie altri problemi di carattere etico. Mi interessa soprattutto la filosofia della vita. Sto leggendo Solovjev (Die geistigen Grundlagen des Lebens), la Sacra Scrittura, (Silvio) Pellico e voglio penetrare nel mistero della vita. Dio mio, come farò a penetrare nel mistero della vita, se la mia volontà è troppo debole e pecco continuamente, specialmente nel mangiare?
E’ veramente penosa la vita: temo di mangiare con gusto un pezzo di pane, perché spesso la coscienza mi dice: basta, ed io lo mangio di nuovo e volutamente mi distacco dal corpo di Cristo.
Parlando con F. – un ateo – mi si è imposta la domanda, in quale dipendenza stanno gli animali nei confronti di Dio e perché un animale ammazza un altro. Noi di fatto sentiamo la compassione quando uccidiamo una fiera, perché essa soffre in quell’istante. D’altra parte siamo costretti dalla natura a togliere la vita ad un altro essere, se vogliamo sopravvivere. Ciò avviene in tutta la natura.
Posso capire il “mysterium crucis” nell’uomo, ma che cosa hanno fatto le bestie per dover soffrire? In merito mi viene da pensare che prima della creazione dell’uomo ci fosse stata anche nella natura una certa volontà libera che si è staccata da Dio, per cui la natura soffre… O forse Adamo, allontanandosi da Dio, si è reso colpevole e ha reso infelice tutta la natura. Cristo – il secondo Adamo – salvando l’uomo, salva anche tutto il cosmo. A dire il vero, non vedo nulla di tutto ciò.
Zingarella, 18 giugno 1917.
C’è stato un gran fuoco e il sole si è oscurato. Si spara sul Monte Zebio. La finestra sbatte in seguito alle esplosioni di tante mine. Il giorno sereno si è trasformato in fosco. Nella valle – blocco stradale – scende la nebbia e ricopre tutto.
Zingarella, 20 giugno 1917.
Dal rialzo, sopra il Comando del reggimento, ho osservato il fuoco tambureggiante sul Monte Zebio. La terra ribolle, su tutta una striscia si alzano le nuvole di fumo, bianco, scuro-nero, rossastro. Ciò avviene sempre in un altro posto, incessantemente. Allora qualche granata cade dietro la linea del fronte, esplode e solleva una nuvola nera. Un rumore terribile in varie tonalità.
Dalle sparatorie mi si son rotte le finestre. Gli aerei come una flotta marina, dignitosamente, arrivavano in un certo ordine, come sulla scacchiera, si sparpagliavano sopra di noi e gettavano le bombe bianche. Una è caduta circa 100 metri da noi, ha fatto tremare la terra e ha sollevato una grande nuvola nera di fumo.
C’est la vie, c’est l’histoire!
Zingarella, 22 giugno 1917.
Ho visto 10 morti, caduti in questi ultimi combattimenti. Giacciono coperti con tende. Si può riconoscere che si tratta di salme, alcune senza gambe, altre senza testa. Di uno si vedeva il piede, la cui pelle era gialla, accartocciata come una pergamena. Non voglio fare del sentimentalismo, perché è una debolezza. Questo è la realtà più crudele che grida: «Non cedere! Vinci la morte!» Cristo aleggia su questo: «Chi avrà creduto in me, non conoscerà la morte». Ascesi: guardare la vita e agire in questa direzione, senza alcuna concessione a “questa” terra, è questo l’unico vero modo di agire. E chi oggi vive così? Tutto ciò avviene, e gli uomini anche qui vivono istintivamente come nel retroterra. Quando sentono uno sparo si nascondono nella caverna, e quando (lo sparo) termina, si sparla di chi ha avuto più paura, di chi più a lungo si è trattenuto nella caverna, ecc.
Nemmeno io sono migliore: Quanto siamo diversi dai cristiani! Vorrei nutrirmi del Signore che mi ama più di chiunque e mi è più caro di tutte le cose di questo mondo. Solo io non ne sono degno, sono troppo debole per sacrificarmi senza esitazione per l’Ostia Santissima. Dice bene Tommaso da Kempis: Siamo pronti a godere nell’Ostia e quando dobbiamo portare la croce nella gioia disperiamo.
(Segue l’analisi di Enrico IV – I e II parte – di Shakespeare).
Zingarella, 26 giugno 1917.
Ieri pomeriggio, verso le quattro, sono partito per Col Campo Verde. Dall’alto si vedevano la linea italiana del fronte e il fumo bianco delle granate che esplodevano intorno ad essa. Presso la divisione ho ricevuto delle collane d’argento da portare al III. Corpus, poiché l’imperatore viene là e decorerà i ragazzi.
Intorno alla divisione c’è un via vai di automobili, cavalli, carri, munizioni per cannoni… (Ci sono) Le tradotte di Italiani feriti… con caschi. (Sono) Strappati e insanguinati. (Ci sono) Monelli e uomini colti e belli, con le barbe nere ben rasate. Mysterium crucis…
Dalla quota di 1949 m c’è una meravigliosa vista nella valle: (ci sono) 800 metri di profondità sotto di noi; un bosco di abeti e di faggi, l’erba, i fiori e le foglie di ogni specie. Il cuore dell’uomo trasale di gioia quando, dopo tanto tempo, di nuovo vede un paesaggio così bello.
Siamo scesi nella valle… e oggi alle 10 di mattina attraverso Ghartel… e la quota 981… “a casa”.
Zingarella, 27 giugno 1917.
«Non leggere i libri di Jörgensen, come il Pilgerbuch, perché sono cose del tutto anormali». Così mi scrive la mamma e allora come posso rallegrarmi di andare a casa in vacanza. Tutta la felicità non consiste in un buon cibo e nella biancheria pulita, e nemmeno nell’amore familiare. Voglio che mi capiscano e che non mi giudichino così ciecamente. Strano che la guerra non abbia esercitato alcun influsso su di lei e ancora le aleggi davanti agli occhi il figlio ben vestito.
A. Daudet, Lettres de mon moulin. Questa collezione di quadri di vario genere […] si potrebbe denominare galleria dei quadri in miniatura della vita comune dei Francesi.
Shakespeare, Enrico IV (continuazione).
Zingarella, 5 luglio 1917.
Kuprin, Dvoboj (Il duello).
Sono grandi e perenni solo quei libri che si possono leggere sempre. L’uomo che vive e fa esperienze va in cerca di grandi spiriti che comprendono l’idea del mondo e della vita e involontariamente la spiegano con le loro opere. Perché Tommaso di Kempis è così profondo? Perché ci spiega ogni momento della vita, perché in se stesso conosce ogni impulso. Tale è anche Solovjev. Certamente egli è tra i primi fra coloro che riescono ad accordare il problema di Dio e della natura, mostrando il senso di questa relazione. Leggendo questo mi sento come liberato, poiché mi era incomprensibile quella ostilità tra l’anima e la creazione che è molto evidente nei filosofi ascetici. Questa ostilità è diretta solo contro il male che c’è in noi e nella natura, essi però non si oppongono all’armonia e bellezza della natura. Possono opporsi soltanto gli asceti orientali che ritengono che Dio sia al di fuori del mondo e che tutta la natura non abbia un senso positivo. Per noi cristiani dell’Occidente, anche questo mondo è una piccola patria, perché in essa c’è Dio e opera in essa, solo noi non ne siamo pienamente consapevoli. Ma se il Regno di Dio verrà realizzato col tempo nei nostri cuori capiremo sempre più profondamente che dev’essere realizzato anche nella natura, che tutta la natura dev’essere rigenerata.
Che digressione strana! Per la stessa ragione mi piacciono Tolstoj, Dostojevski, Turgenjev. Essi vedono il mondo in un modo tutto particolare e indirettamente ce lo spiegano. Pertanto ogni arte ha una funzione pedagogica, in quanto l’artista guardando il suo tema e presentandocelo in un modo suo personale, ce lo spiega. […]
Anche Kuprin, come Tolstoj, ha voluto illuminare con il fuoco della verità una parte della vita russa: i circoli degli ufficiali. […] Come gli altri realisti russi, egli sa presentare in modo vivace la società. Dico solo la società – gli uomini. Non lo interessa tutto l’ambiente, come (interessa) Balzac e Turgenjev; l’ambiente è per lui una cosa secondaria, lo guarda con occhio di un uomo comune, senza interesse e amore. Tecnica naturalistica che serve per far vedere gli uomini nella luce voluta: di una vita animalesca, istintiva degli ufficiali. […]
Il duello è una autoconfessione dell’ufficiale russo che ha capito la brutalità di tale vita e si è dato ad una nuova. Peccato che Rama(ov sia perito: sarebbe stato più interessante se (Kuprin) in un altro romanzo avesse descritto questa nuova vita. Ma lo interessava solo quella vita degli ufficiali, il cui non senso filosofico raggiunge il culmine nel duello…
La vita è così bella, mentre gli ufficiali vivono nel fango, non rendendosi conto della sua bellezza. Sostengono l’idea di guerra e dell’uccidere, affrontano i duelli, non pensando che nessuno di loro ha il diritto di uccidere un altro… Il duello è dunque la più grande ingiustizia nella vita. […]
Zingarella, 6 luglio 1917.
(Presentazione e analisi delle Novelle di Nielland).
Zingarella, 19 luglio 1917.
Bulwer, Gli ultimi giorni di Pompei. (Presentazione e analisi).
Zingarella, 22 luglio 1917.
«Nisi tibi vim feceris, vitium non superabis». De imitatione Christi, I, 22, 25.
(Comincia l’XI quaderno del Diario3)
Monte Rasta, 9 settembre 1917.
Le condizioni sono peggiorate. Qui bisogna spesso fare la ronda. Altrimenti c’è la bella ma triste vista su Assiago, dove la maggior parte delle case sono distrutte. E’ triste vedere la città morta, dove una volta fischiava il treno, correvano i cavalli e carri e le campane delle due chiese la sera risuonavano l’Ave Maria. E adesso, origliando, si sente il rumore delle macchine, il battere dei picconi, il grido dei sottufficiali.
Non ho paura di fare la ronda, ma perché esporre la propria vita per il capriccio di un capitano? A casa, la mamma si lamenta perché non riceve posta da una settimana. E che cosa direbbe se sapesse perché sono qui.
I superiori non mi sopportano. A un colonnello ho dato il titolo di “signor generale” e nel dirlo ho balbettato. Inoltre sono stato ammonito perché ho guardato “apaticamente” durante la “marcia” gli eccessi dell’ubriaco maresciallo M. e di altri graduati.
Faccio nausea al capitano Jasbec, perché parlo troppo. Qui ha ragione, perché non sono stato umile e non avrei dovuto giustificarmi. Nell’avvenire cercherò di essere più umile e di non giustificarmi, se qualcuno mi accusa senza ragione.
Non c’è la santa Eucaristia. Vivo qui come un pagano o come una fiera, come se l’Agnus non fosse più nel centro del cosmo, come se non esistesse affatto. Dio Consolatore, vieni a compenetrare la mia natura con atomi di eternità, affinché, più simile a Te, capisca il corso dell’esistenza.
Lo Stato moderno si cura del rum, mentre la santa Eucaristia è una cosa secondaria. Dove sono i cappellani militari? Perché abbandonano il loro gregge proprio ora quando ha più bisogno di Dio?!
«Fili, non aegre feras si quidam de te male senserint et dixerint quod non libenter audias. Tu deteriora de teipso sentire debes et neminem infirmiorem te credere» (De imitatione Christi III, 28, 1).
Monte Rasta, 17 settembre 1917.
«…et contristatur anima mea nonnumquam usque ad lacrymas, quandoque etiam conturbatur ad se usque propter imminentes passiones» (De imit. Chr. III, 50, 1).
Jörgensen sostiene che in questi momenti il poeta prende la sua penna e la getta via, e il pittore strappa il suo quadro. Si tratta di quei momenti terribili, quando l’uomo non sa perché vive, non sa a che serve tutta questa fatica, l’arte, la vocazione, tutto ciò che all’uomo è tanto caro. Vale la pena studiare, occuparsi della letteratura, mentre c’è qualche altra cosa più valida?
Sono momenti terribili in cui l’uomo ha perduto il legame con il cosmo, quando il suo lavoro è come di un nomade nel deserto che fatica e soffre e non sa che legame abbia questo con le aspirazioni di tutta la società.
Sono momenti orribili, quando lo Spirito Santo si ritira e nell’interiorità comincia a regnare la tenebra. Sono quei momenti in cui Faust e la società moderna disperano perché hanno perso il contatto con la Sorgente Primaria. Naturalmente la filosofia, il diritto, la medicina e la teologia non possono essere fine a se stesse e non portano alla Verità. Anche la “vita” (Faust), quella istintiva, è altrettanto fatica senza successo. Perciò anche Faust alla fine si avvicina alla Verità, facendo opere buone come un uomo pratico.
Si rimprovera a Goethe perché Faust ha scelto una professione pratica e non trova soddisfazione nell’arte. Questo sarebbe incomprensibile sul piano psicologico. Goethe non era arrivato al concetto di Divinità, era una specie di panteista. Come tale non poteva accontentarsi della scienza, perché quale legame logico c’è tra la scienza e il panteismo? In altre parole: quale è l’ultimo “perché” riguardo alla scienza? Il panteista non può rispondere a questo. Seguire la natura, penetrarla e capirla? Ma questo non è l’ultimo “perché”, in quanto ciò non può essere fine a se stesso, come dimostra lo stesso Faust. Lo stesso vale per l’arte. Può forse l’arte essere fine a se stessa? Un pittore coerente non getterà forse il pennello, chiedendosi perché dipinge, perché vuole mettere in evidenza alcune idee, forse anche il sangue della sua vita interiore. Egli non può farlo (solo) per il proprio godimento. Infine anche questo godimento cessa.
Faust, dunque, logicamente non poteva diventare un artista, anche se ha una natura artistica, perché Goethe non ha raggiunto Dio. In queste condizioni Faust ha trovato soddisfazione nel lavoro pratico, nelle opere buone. Questo concetto porta a Dio, ma esso è istintivo, simile al sentimento materno. Le madri anche se non credono, anzi se sono cattive, possono amare i propri figli. Così pure gli uomini nobili – senza tener conto della loro visione del mondo – possono trovare relativamente maggiori soddisfazioni (nell’operare il bene) che nell’arte. Perché lì si vede il successo raggiunto. La soddisfazione assoluta è solo in Dio, e se Goethe si fosse sviluppato di più e avesse raggiunto Dio, Faust sarebbe stato reso felice dall’arte. Solo allora essa avrebbe quel vero valore; solo allora Faust avrebbe capito perché la filosofia, il diritto, l’arte sono “ad maximam Dei gloriam”. Se Faust fosse entrato dai Benedettini, i quali coltivano l’arte ieratica, o se alla fine fosse diventato un artista profondamente religioso oppure il cosiddetto “Kunstliebhaber” che lavora nel mondo e gode nell’arte, perché essa è l’atrio del cielo dove tutto è straordinariamente bello, allora la terza parte di Faust sarebbe la giusta soluzione, che accontenterebbe l’uomo anche dal punto di vista letterario.
Sienkiewicz, La famiglia Polaniecki I. (Presentazione e analisi dell’opera).
Sienkiewicz si era proposto di dare un apporto allo Stato polacco. In quest’opera egli vuol dimostrare che il fondamento dello Stato è la famiglia. […] Dopo aver letto la seconda parte, rifletterò su alcuni personaggi.
Molière, Le medicin malgré lui.
Il vecchio Molière! Con quale forza presenta i vizi dell’uomo. Li porta ad absurdum. […]
Molière, Le Sicilien ou l’Amour Peintre. (Presentazione a analisi).
Molière, Le mariage forcé. (Presentazione).
Monte Rasta, 20 settembre 1917.
Il 18 mattina, l’artiglieria italiana sparava. Per quattro ore siamo rimasti nella caverna. Sono state distrutte alcune casette. Stanotte, verso la mezzanotte, gridarono: Allarme, gli Italiani…eccoli, sono già qui. Si fece trambusto, già nella fantasia li vedevo arrampicarsi sui bastioni. Adesso verranno qua. Uscii fuori, i ragazzi erano allineati in attesa. Mi informai. La guardia disse: «La lampada si accende, alcuni si gettano per terra, altri corrono in avanti». Guardai, gettai un razzo luminoso. La guardia del campo ritornò e non ci fu nulla.
Dicono che in questi giorni andremo sull’Isonzo.
Monte Rasta, 26 settembre 1917.
Poco fa ho guardato come stava cadendo un nostro aereo. Prima si è visto un fumo, poi divampò un fuoco giallo, e l’aereo volò, si avvitò lasciando dietro a se un fumo bianco. E’ caduto in mezzo ad Asiago, vicino alla chiesa più piccola, da dove ancora a lungo si alzava il fumo. Dicono che hanno visto gli uomini in aria, «come se cadesse un fez».
Subito dopo ciò si è levata la polvere dalle due strade mascherate che portano ad Asiago: la nord-orientale e la orientale. Gli automobili si sono precipitati nella città. Due immagini forti, due estratti della guerra mondiale. L’aereo in fiamme e l’uomo che «cade come un fez». Morte e dolore.
Monte Rasta, 5 ottobre 1917.
Cara Greta! La giornata è piovosa. Sto seduto nella mia camera semibuia. Sono assalito dalla malinconia. Ho preso la penna e ho iniziato a scrivere il tuo nome che da anni non ho scritto. Greta Teschner! Quante cose contiene questo nome. Quanti ricordi che lacerano il cuore sono legati alla melodia di questo nome. Dinanzi a me appaiono nuovamente i tuoi capelli biondi e il tuo volto pieno di vita e di salute. Non sapevamo che cosa è l’amore. Questa parola non è uscita dalla nostra bocca. Ma quando ho sentito confusamente che tu eri gravemente ammalata, ho trascorso la notte in preghiera. Pregavo Iddio di lasciarti in vita…, e il giorno successivo ho saputo che già eri morta. Morta! Scorrete lacrime, scorrete nell’eternità, anima mia lamentati, bruciate o occhi – La piccola Greta è morta. E’ distesa immobile sul letto. La mia fidanzata. L’hanno portata poi al cimitero. E quando dopo un certo tempo sono venuto anch’io ho trovato scritte sulla croce le parole tristi e terribili: Greta Teschner.
Ancora mi bruciano gli occhi pieni di lacrime. Tutta la mia interiorità si eleva verso di te che aleggi al di sopra dei mondi visibili. L’armonia della mia anima vuole trasferirsi nella tua. Qui non ci sei più, mentre avanza anche la mia vecchiaia. Anche la mia vita passerà e svanirà. Le nuove generazioni vengono e passano e non vi rimarrà nemmeno un ricordo del nostro amore, come se non fosse mai esistito. Così io continuo qui a vivacchiare. I desideri mi danno la caccia, mi insidiano la lotta e l’instabilità. Quando finalmente verrà quel tempo in cui non vi sarà nessuna cosa ripugnante, nessuna notte e nessun peccato! Quando verrà il tempo dell’eterna gloria, dell’eterna luce? Quando vedremo l’Agnello risorto e lo splendore di sua Madre eternamente bella, il cui splendore si estende al di sopra di tutti i mondi! Quando saremo uniti nel canto dei cori celesti, quando ci smarriremo nell’eterno canto del Sanctus, Sanctus, Sanctus, avvolto nello splendore divino!
Lo stesso giorno.
Quando verrà il tempo in cui non dovremo mangiare, quando non dovremo lottare per la più piccola opera buona! O Adamo, non pensavi che cosa facevi. Nel nostro corpo c’è la legge che è del tutto diversa da quella che è nella nostra anima. Tutta la natura è corrotta, tutto è male e la nostra anima sprofonda nelle tenebre.
Quando saremo consapevoli di noi stessi, quando la nostra anima capirà se stessa e percepirà davvero quell’alleanza con Dio!
L’abstinentia – Eucharistia sono le vie che ci portano là. Il digiuno e la Comunione, due opposti. Il digiuno che fa soffrire e ci priva del piacere, la Comunione che ci procura un immenso godimento e trasforma il nostro corpo nel corpo divino.
Sono strane le vie dell’uomo. Chi sa se rimarrò in vita? Andremo in Carinzia da dove comincerà l’offensiva. Dio guida la sorte dei popoli; Egli sa che cosa è meglio per me. Sarò contento di tutto e accetterò con gratitudine tutto ciò che da Lui mi sarà aggiudicato. Se i miei genitori saranno afflitti passerà anche questo dolore; la “valle di lacrime” non è la nostra patria!
Sto riflettendo come sono felici gli uomini nel convento, che possono occuparsi sempre di preghiera e di opere buone; e l’uomo non ha la volontà libera ma fa come gli altri ordinano. Abnegatio sui ipsius e l’immersione dell’anima in tutto, così che essa dimentica se stessa.
Soltanto non costringetemi ad ammazzare gli uomini, o uomini senz’anima!
Homec, 27 ottobre 1917.
Il 25. Passo attraverso Krn. La luna illumina le montagne innevate. Gli Italiani hanno abbandonato Krn in fretta e furia. I magazzini (sono) pieni di generi alimentari, di biancheria, di scarpe. Nelle trincee (vi sono) macchinari ed altre cose di valore. (Si fa) Il pernottamento con le coperte.
Il giorno appresso la discesa. Lungo il percorso troviamo i cannoni, le mitragliatrici, champagne, polli, caffé, tutte cose rare da noi. La strada da Krn verso il basso è piena di oggetti lasciati dagli Italiani mentre scappavano. Lungo la strada verso Drežnica II, poi a Kobarid (Caporetto) una sequenza di macchine, di biciclette, di fucili, di vari scritti, di telefoni. I ragazzi mangiavano tutto il tempo, si sono cambiati, hanno riempito gli zaini di generi alimentari. Cantano. Abbiamo riempito le macchine catturate di zaini e ora camminiamo senza niente.
Tarcento, 30 ottobre 1917.
La strada era difficile. Pioveva a dirotto e i ponti distrutti. Di notte dovevamo camminare sul terreno paludoso. In questi momenti l’animo dell’uomo viene preso dalla disperazione. Il soldato passa da un guaio a un altro. Abbiamo pernottato a Pascoli. Ci siamo meravigliati di aver trovato il riso.
Ieri siamo rimasti a Molmento: è una bella cittadina. Il cibo ed ogni cosa vi sono in abbondanza. Da noi non ci sono queste cose nemmeno in tempo di pace. Gli abitanti sono scappati e i nostri soldati depredano inesorabilmente. Entrano nelle case, aprono gli armadi e i letti con lo scopo di trovare qualche cosa. Gli ufficiali entrano nelle farmacie e cercano alcool. E’ un orrore vedere la biancheria sparpagliata, pantaloni neri, le macchine per cucire. Penso ai miei genitori, quale sfortuna sarebbe il dover abbandonare la propria casa e lasciare in mano ai soldati spietati tutte quelle piccole cose che per anni hanno cercato di racimolare e a cui si sono affezionati. Nel momento della vittoria i soldati, come bestie, pensano soltanto a sé. Un’immagine raccapricciante!
5 novembre 1917.
Il 3 di questo mese, durante la notte, c’è stata la battaglia sul Tagliamento. Nella parte orientale del fiume, lo stato maggiore cenava accanto al fuoco sotto il chiarore della luna. Si udivano sparatorie, il latrato delle mitragliatrici, il fragore delle granate. Allora giunse l’ordine di partire e, sotto il chiarore della luna, attraversammo il ponte. Ci fermammo sull’isola e qui ci imbattemmo in granate a pallette che ci ricoprirono di ferro col fragore e lampi. Molti rimasero feriti. Tutti ci sdraiammo lungo la chiatta di ferro, ma non potevamo dormire, perché dalla sinistra con precisione miravano con i cannoni. La quarta ha occupato anche la seconda parte del ponte. E noi ci scagliamo dopo di loro.
(Il XII quaderno4)
Santa Maria, 18 novembre 1917.
L’altro ieri si è svolta la battaglia sulla Cornella. Da quota 1093 ho osservato come la nostra artiglieria colpisce la montagna.
In un primo momento c’è stato il panico sulla strada. I cannoni sparavano verso i nostri e distrussero una batteria. Allora perse la vita il capitano Huber.
La gente pensa alle medaglie, all’onore del reggimento e ad altre sciocchezze. Gli Italiani che volevano arrendersi, sono stati tutti uccisi. Non so che cosa sia il patriottismo, l’onore ed altro. Ho la nausea dell’uccisione e del massacro e, guardando questo, scompaiono tutti i concetti astratti. Io amo l’umanità, amo gli uomini piccoli, sconosciuti che portano il peso della storia sulle loro spalle.
La gente senza religione appartiene alla zoologia, non pensa alla morte, depreda e mangia. Quando è oppressa dal dolore si scoraggia e minaccia Dio.
Anch’io ho perduto il legame con Lui. Il Tagliamento è stata la rinascita spirituale. Guardando il morto Kunac di Erzegovina, caduto durante l’assalto, gli Italiani feriti che sospirano «Oh mia mamma», mentre il sangue scorre dalle ferite, sono diventato migliore, perché mi sono reso conto che la vita non è nulla e che tutto il senso sta nella vita spirituale. I pensieri di convento, il desiderio di una vita di convento, dove l’uomo vive con Dio il quale è immutabile e reale sempre. La gloria, le medaglie, il “patriottismo” sono delle stupidaggini. L’umiltà, l’abnegazione, il silenzio e le opere buone sono l’unico valore reale ora e dopo la morte.
Virgo Maria, adiuva nos.
Rocca, 17 dicembre 1917, ore 4 del pomeriggio.
Tutto il pomeriggio due “Dreissiger” sparano verso il Monte Grappa. Trema tutto il paese e il fuoco esce con veemenza dalla gola, è una cosa terribile.
Ieri sera doveva iniziare l’offensiva contro l’Italia, ma la neve l’ha impedito. Dicono che comincerà stanotte.
Il nostro reggimento si trova già un mese a riposo. Siamo stati a Villa Paieri, a Casara alle Stalle, Rasin, Artena, Can, Pedavena, Fonzaso. Dormivo sul fieno, nelle stanze fredde, e studiavo un po’ d’italiano. Ci sostiene il pensiero della pace – c’è la tregua con la Russia.
I prigionieri non sono più così sereni e senza preoccupazioni, come lo erano all’inizio. I cittadini in queste regioni occidentali sono molto più fieri di quelli intorno a Topp, dove ci hanno accolto col vino e le mele, gridando «A Roma!».
Rocca, 18 dicembre 1917.
Il compleanno di Greta.
La notte era tranquilla. Verso le sei di mattina tuonò il “Dreissiger” e cominciò il fuoco tambureggiante. Tutto echeggiava. Mi sono recato a Cismone per mettere relais-stazioni. Una piccola granata italiana è caduta cica 80 passi vicino a noi. Ciò è successo sul ponte dove Cismone si versa nel Brenta. Cismone è tutta distrutta. I cannoni rimbombavano, nell’aria in alto pareva che latrassero migliaia di cani. Tutti i “Dreissiger” sparavano da lontano.
Venivano i prigionieri, circa 800, uomini deboli, sporchi di terra gialla, molto abbattuti. I nostri feriti si trascinavano dietro a loro nella stessa condizione.
Dicono che l’abbiamo spuntata, però abbiamo perduto molti uomini, soprattutto a causa della nostra artiglieria.
Incin, 25 dicembre 1917.
E’ il primo Natale che ho trascorso in terra straniera. Nella natura ieri sera c’era quell’atmosfera così caratteristica per la vigilia di Natale. Il cielo era coperto di nebbia che -illuminata dalla luna – gettava i suoi riflessi di luce bianca sulle montagne coperte parzialmente di neve. Sul colle opposto, dall’altra parte di Cismone, ardevano senza fiamma i fuochi dell’accampamento (Lagerfeuer).
Natale, questa festa dei bambini, l’ho accolto da pagano. Non ho colto l’occasione nemmeno per fare un atto di dolore perfetto e iniziare una vita spirituale più intensa.
Per la cena abbiamo avuto la carne e l’ho mangiata… quindi nemmeno il cibo era in armonia con la grande cristianità che quel giorno è una cosa anche corporalmente (= nella mensa).
E cosa dire di quelli lassù sul Monte Arsolone (?). La strada che porta su è cosparsa di granate giorno e notte. E’ scoscesa e scivolosa. (Si deve) Pernottare lassù senza tetto, aver fame ed essere nel fuoco continuo. Dicono che una cosa simile non l’hanno mai sperimentata finora.
Sono rimasto in basso; non so a che cosa ascrivere questo. Sarà forse la protezione! Oppure lo hanno ottenuto le preghiere dei miei genitori e degli amici? Mi dispiace perché non soffro insieme con gli altri, ma qui godo. Da solo non voglio andare sopra, perché lassù non ho nulla da fare.
(Cominica il XIII quaderno5)
San Gregorio, 27 gennaio 1918.
La vita è difficile: desidero essere astinente, ma non va così facilmente. Cerco di non fare la colazione (Frühstück) e la merenda pomeridiana. Già da alcuni giorni dormo per terra e cercherò di alzarmi più presto del solito (almeno alle 6) per potermi intrattenere più con Dio. Parlo troppo, sto troppo in compagnia, sono debole nella sofferenza. Quando il nostro reggimento andrà su alla posizione (Stellung), mi offrirò volontario per andare con loro e abituarmi un po’ ad attendere la morte. Signore, aiutami!
Fonzaso, 2 febbraio 1918.
Per la terza volta mi trovo in questa città, tra le ragazze allegre. Cantano dell’amore, dei cavalieri, dei fidanzati che sono in guerra, della morte e dei temi comuni a tutti i canti popolari, e queste melodie, nonostante il colorito meridionale, sono piene di malinconia, di mestizia.
Queste ragazze vivono unicamente per l’amore e il sorriso. Amano la musica e il gioco; l’amore è più forte di tutto, anche del sentimento dei genitori. C’è qualcosa di cavalleresco in questo: esse sono pronte a scappare, a ingannare i genitori pur di accontentare l’altro. E come cantano bene: soprano e contralto sempre d’accordo. Da noi una ragazza non canterebbe così bene dopo un lungo studio come esse cantano a prima vista. Ho annotato due canzoni. Una assomiglia ai nostri testi di operette, ma la melodia tradisce l’allegria e la melanconia che sono così caratteristicamente unite nell’arte italiana. L’altra è puramente romanza: sullo sfondo c’è un motivo cavalleresco, caratteristico per le canzoni popolari spagnole.
Fonzaso, 5 febbraio 1918.
E’ stato pubblicato il bando secondo cui potrei avere tre mesi di congedo per poter continuare gli studi. Temo questo. Ho paura della fame e ritengo che non potrò dedicarmi completamente allo studio. Cercherò di compiere umilmente la volontà di Dio, di non essere troppo avido del sapere e di lavorare quanto posso. La scienza non dev’essere fine a se stessa, ma, accanto alla bellezza che cela in sé, deve anche contribuire in qualche misura al Regno di Dio sulla terra. Pertanto penso che ogni uomo, oltre ad amare la propria professione, deve vivere socialmente e aiutare gli altri che soffrono. Infatti la scienza è il frutto della sofferenza. La tecnica vuol alleggerire all’uomo i disagi materiali, mentre l’arte contempla la vita travagliata degli uomini e ne deduce le conseguenze. La vita è tutto…
Penso di lavorare come studente nella Conferenza di San Vincenzo (sfondo religioso internazionale) e in “Hrvatska” (sfondo religioso nazionale). Poi bisogna cercare di mangiare soltanto due volte al giorno, così sono libero materialmente. Per principio non (devo) mangiare fuori dei pasti, anche se qualcuno mi offre.
Non devo dimenticare di dominare il corpo. (Devo avere) Un duro giaciglio, alzarsi di buon mattino e talvolta digiunare rigorosamente, di modo che in ogni momento possa fare del mio corpo ciò che voglio.
E’ altrettanto importante la cura della salute e della bellezza del corpo. Fanno una brutta impressione i sacerdoti, le suore ed altre persone buone che spesso trascurano la loro esteriorità e sono di struttura abbastanza non estetica, ecc. La nuova generazione dev’essere sana, allegra, bella. Il brutto è conseguenza del peccato. Perciò l’uomo deve dominarsi e deve ritenere la cura della salute e della bellezza un mezzo di autodominio e di rafforzamento della volontà.
Mai dimenticare Dio! Desiderare sempre di unirsi a Lui. Ogni giorno – di preferenza all’alba – dedicarsi alla meditazione, alla preghiera, possibilmente vicino all’Eucaristia o durante la S. Messa. Quest’ora dev’essere la sorgente del giorno, in cui l’uomo deve dimenticare tutto il mondo, lasciare da parte tutte le preoccupazioni, tutto il nervosismo della vita, per essere tranquillo come nella culla. In quell’ora vanno fatti i progetti per la giornata che segue, vengono esaminati i propri difetti e si chiede la grazia per superare tutte le debolezze.
Sarebbe una cosa terribile se questa guerra non avesse alcuna utilità per me! Non devo vivere così come sono vissuto prima della guerra. Devo cominciare una vita rigenerata nello spirito della nuova conoscenza del cattolicesimo. Solo il Signore mi aiuti, perché l’uomo non può fare nulla da se stesso.
Casara Bolzano, 14 febbraio 1918.
La grappa, il vino, il fumo, questa non è la compagnia che fa per me. Dio mio, proprio ora che gli Jugoslavi festeggerebbero l’alba, il germe della futura forza, gli Sloveni, i Serbi, i Musulmani si scavano la tomba.
Dio, aiutami, perché possa dominare me stesso.
Casara Bolzano, 20 febbraio 1918.
E’ ripugnante guardare l’uomo goloso, l’uomo che mangerebbe tutto il giorno! Devo evitare l’ingordigia perché questa è una mia grande debolezza. Sarebbe sufficiente mangiare una volta al giorno. Alla prima occasione cercherò di farlo.
Mi ricordo di un trappista che mangiava pochissimo. Era il Natale del 1916, Nina (Nikola Bilogrivić) celebrava la Prima Messa. Ero venuto da Seewiesen per una vacanza di tre giorni (come volontario di un anno), sono stato invitato a pranzo. Avevo appetito e ho mangiato molto. Un vecchio trappista ha preso solo un po’ di tutto. Mi sono meravigliato. Non l’avevo capito. Ora però lo capisco.
Solo chi lavora ha diritto di mangiare. La specie del lavoro è secondaria.
Sto leggendo “Arbeiter Zeitung”. C’è molta verità negli operai. La classe che soffre, pensa più realisticamente di tutti.
La situazione è desolante. I Tedeschi sono machiavellici. Se questo popolo rimane nella sua alterigia andrà in rovina.
Banja Luka, 4 marzo 1918.
Paul Bourget, Lazarine (Presentazione e analisi).
Il modo di scrivere di Bourget è quello di sviluppare un’idea filosofica. Nella maggior parte delle sue opere è la stessa: la conversione. Egli fa passare i suoi personaggi attraverso le varie fasi della vita e alla fine, se uno ne tira tutte le conseguenze logiche, deve diventare cattolico. Pare che Bourget si sia prefissato questo compito. Per questo le sue opere diventano monotone. Egli infatti ha vissuto questo processo di conversione e la sua prima opera è certamente la più caratteristica. Ci si aspetterebbe che le altre opere fossero più cattoliche nel contenuto, così che molte cose apparissero come normali. In verità non c’è alcun passo che non sia morale, anzi in alcuni luoghi si cita opportunamente la Sacra Scrittura, ma la vita di Lazarine è troppo semplice, convenzionale. L’analisi psicologia che fa Bourget dell’omicidio è splendida, invece non ha nemmeno tentato di analizzare la preghiera. Se egli non è forse ancora così profondo da sapere per propria esperienza tutto ciò che la preghiera nasconde in sé – quel rapporto mistico con l’Essere Assoluto -, doveva almeno studiare un po’ più gli scrittori mistici e allora certamente avrebbe saputo ricostruire i sentimenti spirituali di un’anima che è così compenetrata dalla religione come Lazarine. […]
Si vede che l’opera è stata scritta da un artista, però da un artista che conosce la psiche del peccato meglio di quella della Grazia. […]
Banja Luka, 14 marzo 1918.
Goethe, Wahlverwandschaften (Presentazione).
Caupo, 25 marzo 1918.
Quando con il padre stavo seduto al caffé Korzo di Zagreb esservando la gente che vive senza dolori, facevo questa riflessione:
Ecco l’uomo moderno, civile si è organizzato comodamente la vita. Si è elevato al di sopra del corpo e della sensualità in quanto nel modo più semplice ha a disposizione tutto ciò che il corpo richiede. La sua spiritualità, liberata dalle preoccupazioni per i bisogni corporali-materiali, si precisa e l’uomo moderno in tal modo diventa spiritualmente molto raffinato. Basti pensare soltanto a Dorian Grey e molti altri uomini moderni di raffinata sensibilità (in Huysmans). In questa vita l’anima sente una vera spinta a liberarsi dalla schiavitù…
Ecco, questi uomini stanno seduti al caffé. Leggono i giornali, soddisfano la curiosità, ammazzano l’innata noia (tutto fuori di Dio crea la noia e l’uomo cerca di scacciarla con mezzi artificiali: bevendo, leggendo i giornali, frequentando cinema, passeggiando per il corso, leggendo i romanzi). Appena si fa buio, premono l’interruttore e si accende la luce. Se la gola solletica un tale, ecco come sulle ali arriva il cameriere e porta il caffé. Se si annoia, si alza, prende il tram e in un momento è a casa. Il minimo desiderio corporale viene appagato, così che lo spirito – non legato dai bisogni del corpo – può vagare per le sue vie. Questa è l’immagine del caffé (bar). La prima parte di un romanzo diviso in tre parti.
La seconda parte: supponiamo che un tale uomo, un giovane studente oppure un giudice o qualcosa di analogo, che conduceva una tale vita nei caffé, sia andato in guerra. Che contrasto! Prima non sapeva nemmeno di possedere un corpo, ora invece sotto la pioggia scrosciante sale su un monte e, tutto bagnato, porta il suo zaino. Questo lo tira a terra, le spalle gli bruciano, sente i brividi nelle gambe e ha i piedi incalliti. La compagnia cammina ed egli si ferma, si mette a sedere, si sdraia sulla pietra, poi di nuovo continua la sua via crucis. Da tempo non ha mangiato, sente il vuoto nello stomaco, debole e sfinito si muove a stento. Sente di fatto di vivere, di aver un collo che si irrigidisce, le spalle che bruciano, le mani pesanti, la schiena che gli fa male, le gambe che per la stanchezza muove a stento. E la pelle è tutta bagnata: gli cola tutto sotto l’abito. E quest’uomo che prima si rattristava sentendo la banda che accompagna un funerale, ora va avanti sui cadaveri deformati, guarda le teste, i tronchi, le gambe, il sangue prosciugato e chiede: perché questo? Inizia la sparatoria ed egli vede cadere intorno a sé i soldati che gemono, sospirano; il sangue scorre, rosso. Anch’egli andrà per la stessa strada. Da che parte, dove? Che cosa è la vita? Solo la morte è reale. Che cosa sono le nostre idee, desideri, progetti, passioni? Soltanto la morte è vera. Anch’egli giacerà qui morto, pallido, immobile come un tronco. E la terra continuerà a girare e il sole a splendere e gli uomini continueranno a vivere come se non fosse successo nulla, come se lui non fosse mai esistito. Allora perché è vissuto, se tutto rimane invariato? E’ forse tutto senza senso, è il caso…? No, non può essere così. E allora perché quest’uomo dovrebbe temere la morte? Non è l’unico, ci sono migliaia che sono morti, che stanno morendo e per lui è indifferente. E perché non è uguale se muore lui? Egli non vale più degli altri. E allora qual’è il senso della vita? Certamente non si trova in questa vita… perché con la morte finisce tutto. Non conosce egli il pensiero cristiano? Facendo gli stessi sillogismi egli arriva al cristianesimo. Sopravvive alla guerra e ritorna a casa. Finisce la seconda parte.
A quale risultato è pervenuto? Non può (più) vivere una parte della vita nei caffé. Dinanzi agli occhi ha sempre l’immagine dell’umanità che soffre, per cui neanch’egli può vivere comodamente sapendo che tanti uomini sono privi di tutto… E qual’è la vera vita? Conformemente a quanto detto nella prima parte, la spiritualità esige che l’uomo sia indipendente dal corpo. La prima parte risolve questo, dando all’uomo tutto quello di cui ha bisogno per il corpo. Ma quest’idea non si accorda con l’umanità sofferente (di cui) nella seconda parte. Bisogna trovare un compromesso. Soltanto l’ascesi può risolvere questa contraddizione. Mediante l’ascesi l’uomo diventa il padrone della temporalità. Servendosi soltanto delle cose più necessarie conduce la vita più modesta possibile come l’uomo più miserabile. Questo per quanto riguarda la vita materiale. Per la vita spirituale è necessario sviluppare il cristianesimo, condurre fino all’assurdo la collisione nell’animo di quell’uomo: egli ha capito che l’ascesi conduce alla perfezione, però da solo non può fare nulla. Disperazione: da che parte, dove? Egli è rappresentante di tutta l’umanità che attende il Messia. Mediante la riflessione, l’osservazione, la contemplazione arriva al centro di tutto, dell’universo, arriva al centro intorno a cui, in cerchi concentrici, gira l’umanità, la natura, l’universo e la vita d’oltretomba – (arriva) all’Ostia. Il romanzo finisce con l’Apocalisse di Giovanni. Non ricordo più le parole, ma il senso è che l’Agnello (la vittima) è il centro dell’universo.
La vita si riflette soprattutto nei romanzi. Questa introduzione contiene il frutto delle osservazioni della vita durante questa guerra. Questo è per un romanzo, bisognerebbe ancora inserirvi il “problema della morte” e così l’atmosfera spirituale di questo periodo storico sarebbe elaborata nelle linee generali. Questa vita si riflette nella letteratura. Ma presso i Tedeschi non se ne parla affatto; da noi ancor meno, perché gli Jugoslavi sono troppo preoccupati per la loro esistenza e combattono ancora. I Francesi sono i più agili spiritualmente. La Lazarine di Bourget già accenna a questi nuovi problemi… Bourget però è già scivolato in una certa falsariga. […]
Bourget dovrebbe perfezionarsi e arrivare a nuovi risultati oppure smettere di scrivere. Non tutto sta nello scrivere. Scriverà una grande opera colui che si è veramente convertito e che ha vissuto sulla propria pelle tutti gli orrori della guerra. Da un tale possiamo sperare una grande opera. Tale scrittore sarà un profeta della nuova epoca e ci darà il tipo del nuovo uomo moderno, poiché questo è ancora oggetto della letteratura moderna. […]
Caupo, Venerdì Santo, 28 marzo 1918.
In questa stanza c’è una macchina che tutto il giorno emette fumo, così che la stanza è sempre come nella nebbia. I raggi del sole appena riescono a penetrare attraverso questo fumo. Questa fabbrica porta il nome di Mumin efendija (=signore) Hasambašić, imam di Novi, e qui “feldcurato” (cappellano militare).
Vienna, 8 aprile 1918.
Sono rientrato dal Burgtheater. Vi si rappresentava
di Ibsen.
Mi sembrava di vivere in un mondo pagano e avevo compassione di quegli uomini che vivono senza uno scopo e senza senso – senza la religione; che si creano degli ideali senza alcuna base. Con la morte finisce tutto. E se è così, perché è un “bell’atto” se uno si ammazza, non volendo essere schiavo? Perché la libera volontà ha un valore, se con la morte tutto finisce?
Vienna, 9 aprile 1918.
Ibsen, Hedda Gebler. Ampia presentazione e analisi dell’opera. Poi prosegue:
La vita è tutto…, per me c’è il pericolo di tuffarmi di nuovo in una vita teorica grigia libresca. Domani andrò a fare la santa Comunione, per riattingere la forza per la lotta. In questi ultimi giorni ho ceduto abbastanza. Sono stato un po’ pigro, ho mangiato disordinatamente, ho pregato poco, non ho sofferto nulla, mi sono adirato, sono stato anche alquanto avaro… e perciò ho perduto il legame con Lui…
Non c’è nulla di più grandioso della famiglia cristiana. Quello spirito che regna tra i membri, quella sincerità, immediatezza, semplicità nelle azioni più complicate che richiedono maggior sacrificio, tutto è permeato da una spiritualità indescrivibile. Spesso penso alla famiglia Jović.6
E che cosa sarò io? E’ una questione difficile che mi tormenta già da parecchio tempo. Mi interessano la letteratura e l’arte, sebbene ora non ne goda tanto. Ho perso l’entusiasmo giovanile totale per qualche cosa…, perché siamo in questo mondo provvisoriamente…, in un attimo non saremo più qui e questa vita ha senso solo in quanto preparazione all’altra. (Ciò vale anche per la vita dei popoli e dell’umanità). Se finirò la filosofia e diventerò professore, mi sposerò. Ritengo infatti che chi (compiuti gli studi) pensa rimanere celibe voglia ricevere l’Ordine sacro e operare in una vita assolutamente mistica. Chi non ha studiato entri in un convento. Io tenderò alla santità, all’unione con il Signore Dio e lo pregherò di darmi la forza per resistere nella lotta della vita e l’energia nella creazione delle opere. E’ facile dire questo, però potrò io, da professore e con la moglie e casa, dedicarmi alle opere anche fuori della famiglia? Temo, perché la posizione di un professore è molto dipendente e le preoccupazioni materiali potrebbero infrangere i più bei sogni. E noi non abbiamo bisogno di pallidi teoretici, di professori falliti, ne abbiamo anche troppi di questo genere. Ci occorrono uomini sani, pratici, mentre io stesso mi rendo conto che da noi il professore è il più grande teoretico, essendo troppo limitato dal sistema assolutista. Mia madre ha ragione di temere questa professione. D’altra parte, quale altra scelta fare, se sono passati già tanti anni, e nient’altro mi interessa tanto quanto l’arte e la letteratura? Sono cresciuto in un ambiente in cui veniva seguita ogni nuova edizione, si leggeva ogni rivista, si acquistavano le cartoline artistiche appena edite; l’uomo quindi difficilmente supera questa malattia per dedicarsi ad un’altra cosa completamente nuova. E’ vero, la letteratura non è tutto: la letteratura e l’arte sono soltanto dei dettagli in questa grande opera del Regno di Dio. Il contadino, il calzolaio, il macellaio, il giurista, la guardia: tutti questi lavorano per questo grande edificio. Tutte le professioni davanti a Dio hanno uguale valore, solo occorre lavorare secondo la Sua volontà. Eppure desidero tanto studiare la letteratura e l’arte! Ma se è necessario un sacrificio per la conversione di mia madre, il che è molto più importante di tutte le scienze del mondo (è tremendo il pensiero che ella, che amo tanto, separata da Lui dovrebbe soffrire le pene eterne – un pensiero orribile!), perché non fare un atto di abnegazione, prendere la mia croce e con questo sacrificio contribuire alla salvezza di mia madre. E’ facile parlare del cristianesimo in termini teorici e entusiasmarsi per il Signore Dio quando Egli non ci chiede nulla, ma il mio scopo è di essere un cattolico praticante.
Dio mio, illuminami, perché presto possa prendere una ferma decisione. Ovunque sia fatta la Tua volontà, poiché qui siamo solo provvisoriamente e nella nostra vera patria non si chiederà molto se sono stato professore o muratore. Ma qualche cosa bisogna pur essere!
Vienna, 11 aprile 1918.
Stanotte sono stato testimone di una cosa orribile. Ero già a “letto”, quando nella stanza vicina un uomo introdusse una prostituta… Essa chiedeva più di 40 corone. Ci fu qualche discussione, poi di nuovo risate pagate, baci pagati… In me il sangue si agitò – sono stato curioso (peccato!!!) – e riconosco di non essere nemmeno lontanamente mortificato. Però l’eccitazione in un attimo cessò, quando dal discorso appresi la terribile situazione della prostituta. Essa stessa infatti dice che deve vivere di qualche cosa… Ho sentito il vuoto spirituale che regnava in quella stanza… Non posso descrivere questa percezione per me del tutto nuova che nel modo più semplice esprimo così: ho sentito l’orrore di una enorme tragedia dell’uomo nella natura, nella vita (non sul palcoscenico), che annienta l’esistenza dell’uomo spirituale e dall’altezza impensata della dignità umana lo getta, con una forza titanica, nell’insensatezza, nell’irragionevolezza, dove crea un nuovo concetto che non ha più alcun legame con l’uomo. Ben volentieri avrei chiamato la giovane da me, per aiutarla in qualche modo. Qualcuno mi aveva detto che lì era in gioco il grande senso della natura, un gran principio della vita o qualcosa di simile. Questo è la povertà spirituale, il vuoto, il peccato. Il “coitus” fuori del matrimonio non ha nulla in comune con il rapporto matrimoniale. Nel primo manca… ogni spiritualità, l’uomo diventa solo una bestia.
Vienna, 17 aprile 1918.
Ieri ho parlato con il dott. Korošec.
(Segue la presentazione e l’analisi di Che cosa volete di Shakespeare e di Carević della contessa Zapoljska).
Vienna, 18 aprile 1918.
Ho parlato con alcuni del club “Danica”.7 Sono uomini religiosi. Ieri ho conosciuto Božo Milanović. M. Filipović ed io abbiamo discusso a lungo con lui sull’ascesi. Ho visto anche Pavešić. Stasera ritornerò al reggimento.
Villaga, vicino Feltre, 25 aprile 1918.
Sono stato nominato Gasschutzoffizier del II battaglione. E’ difficile elevarsi al di sopra di questo mondo. Tuttavia leggendo i giornali illustrati italiani mi appare chiara davanti agli occhi tutta la tragicità di questa guerra. La mentalità dell’Europa infatti è unica. Gli Stati sono relativamente bene separati, ma quando guardiamo i giornali austriaci, tedeschi o italiani, notiamo che le virtù e i vizi sono più o meno uguali. Presso i vari popoli cambia solo la veste. Gli Italiani fanno vedere come avanzano, come il loro esercito compia atti eroici, come soffrano. Ovunque vengono messe in evidenza le debolezze del nemico; di qualche critica oggettiva nessun accenno; come anche da noi. (E questa gente che ha la stessa mentalità, si batte). In ogni giornale c’è qualcosa sulla famiglia reale. Si fa pubblicità per l’erede al trono. Ecco, l’idea dinastica è diventata un “affare”. Emmanuele vuole assicurare al figlio il primo posto. Anche da noi non è diverso.
Le donne italiane! Non ho visto niente, ma avverto, anche in base al racconto degli altri, che non fanno troppe scelte. Quando gli Italiani sono qui, “tale cosa” dev’essere un’abitudine; sono tutte uguali…
Anche i nostri ufficiali ne parlano e non rifuggono dal comportarsi così con le donne, le madri. Ma neanch’esse sono molto migliori, sebbene siano abbastanza belle, sane e forti.
Non so quale futuro avrà questo popolo. Da noi si è conservato ancora il tipo di ragazza onesta non corrotta. Bisogna impegnare tutte le forze perché rimanga tale.
In ogni modo abbiamo bisogno di uno Stato jugoslavo, ritengo però che dobbiamo rimanere in alleanza con gli altri popoli a cui siamo uniti da legami storici. La cosa più opportuna sarebbe che gli Habsburg tenessero formalmente unito questo gruppo ma tra i popoli deve esserci l’assoluta uguaglianza, anzi il pari diritto di destituire il sovrano, mediante la votazione, se egli perseguisse gli interessi dinastici. Tale Stato dovrebbe essere il nuovo tipo (di Stato) nell’Europa futura e nel mondo intero.
Uscire dall’ambito dell’Austria, penso che non sia corretto, sebbene capisca che non è piacevole ubbidire agli ordini dei burocrati degenerati e immorali. Il nuovo governo va costituito per mezzo delle elezioni e non con la nomina e secondo il rango.
Monte Fontanel, 7 maggio 1918.
Il mese della Regina: il mese di maggio.
Lassù piove a dirotto e io sono impegnato nello studio tattico come non mai prima. E’ una schiavitù… Sono belli questi monti, ma ovunque scavati. Ecco una piccola immagine: Guardiamo attraverso il binocolo… e osserviamo un gruppo di otto Italiani come intrecciano tranquillamente il filo di ferro. Il tenente dell’artiglieria, tutto felice, fece fare una scarica del cannone e una granata è esplosa proprio in mezzo a loro e ha colpito uno. (Più tardi di lì sono passati i sanitari).
Quando è stato colpito il bersaglio, il tenente ha cominciato a ridere di gioia e non smetteva di ridere, contento di aver colpito così bene. Così va la guerra: per qualcuno è lo sport, per altri il guadagno, e per molti la morte.
Fontanel, 19 maggio 1918.
Lungo la strada verso il quinto reggimento (Calcinohang), gli Italiani sparano sui nostri ragazzi come sulla lepre. Questi poveretti corrono verso il basso, ma essi sparano come sulla selvaggina finché non l’abbattono. Sport!
Nella valle di Cinespo si spara con vari calibri. Il nostro posto di osservazione è distrutto.
Fontanel, 16 maggio 1918.
Si sparava parecchio con le mine. Fleger è sullo Spinucci. Con quali mezzi stiamo combattendo! Qui c’è l’ufficio di propaganda che ha il compito di divulgare tra gli Italiani le idee rivoluzionarie e di seminare l’odio e dissenso nell’Intesa. Qualche esempio, come si scrive in “Il Corriere di Trincea”: «…pagherà le spese di guerra chi ci porterà la pace» ed altro.
Vivo da peccatore. Volontà debole. Sono troppo dedito al cibo.
Fontanel, 20 maggio 1918.
Il corpo sanitario ha trasportato sulla barella il cuoco tutto ricoperto di sangue. E’ avvolto dalla coperta, e la sua faccia è rossa, rossa, rossa. Sangue, sangue, sangue, e non si possono nemmeno riconoscere i lineamenti della faccia: è il cuoco presso la settima compagnia.
Tutto il pomeriggio sparano con le granate di 15 cm sulla valle di Cinespo e sul Fontanel.
Mysterium vitae – l’uomo cosparso di sangue. Da Adamo fino ad oggi milioni di uomini hanno sofferto così e soffriranno fino al Giudizio universale.
Sono stato alla Fontana Secca e ho perlustrato le nostre posizioni. Lassù si sta bene, come in villeggiatura. Il filo arriva fino al comando. E’ meravigliosa la vista sulle Dolomiti ricoperte di neve, su Meleta, sul Pasubio. Si vedono Seren e Caupo e la strada fino alla quota 433. Dall’altra parte si apre il panorama su Tomba, sulla valle del Piave e sulla pianura. Dicono che nelle giornate serene si vedono il mare, la chiesa di S. Marco (Venezia) e i piroscafi.
Pentecoste. Sono malato: ho il catarro nello stomaco. In seguito a questo male sono demoralizzato.
Fontana Secca, 28 maggio 1918.
Mi sento debole. Ho deciso di non bere l’acqua eppure l’ho bevuta. Di giorno in giorno cado. Sono un debole. Sto leggendo Il Santo di Fogazzaro. Mi interessa. Guardo il Monte Grappa, Monte Meate, Solarolo ed altri monti scavati. Da tutte le parti si vedono le bocche delle caverne. Nuove trincee vengono scavate, nuovi cannoni sparano. Gli osservatori guardano con binocoli. Tutto ferve di lavoro. Mascherano (le batterie?), vanno a prendere le vivande, portano il materiale; scavano e lavorano giorno e notte. Ovunque si vedono i grossi fili: certamente per la corrente elettrica che aziona le macchine…
Sul Monte Grappa c’è un monumento . Gli Italiani hanno impiegato enormi energie in questi monti. In questi pochi mesi li hanno traforati; hanno fatto un’opera magnifica per la difesa della loro patria. Si dice che verso il 15 giugno comincerà l’offensiva. Il nostro popolo soffre la fame.
Dio, aiutami, dammi la grazia di diventare il padrone incondizionato del corpo. E’ meglio morire che essere un molle, in balia delle passioni.
La Regina del mese di maggio mi perdoni perché così raramente penso a Lei.
Dio, Dio! Più mondo mistico!
Fontana Secca, 1 giugno 1918.
E’ interessante osservare attraverso il binocolo il via vai sulle montagne italiane. In lontananza – sul Monte Meate, presso la quota 1489 lavorano e scavano incessantemente. Sul Pyramidenkuppe e sul Solarol ho notato come in un fossato trascinano qualche cosa, camminano, scavano. Le loro guardie sono sempre allo stesso posto: fa capolino la testa con l’elmo, piccola come una noce.
Arriva una massa di munizioni. La nostra artiglieria colpisce in parti diverse (Einschiessen).
L’altro ieri ho guardato Venezia. Si vedeva il mare e nella nebbia la chiesa di S. Marco, un ponte e le navi che navigano come delle ombre nere.
Fontana Secca, 8 giugno 1918.
Anche stamattina è caduto un nostro aereo come una palla di fuoco…
E’ stupenda la vista dalla quota 1611. Sulla strada serpentina che porta sul Monte Grappa centinaia di Italiani scavano le caverne. Se ne vedono le bocche da tutte le parti. Di mattina si radunano presso la chiesetta (Bassano?) per il lavoro, quindi si allontanano piano piano. Sul Schiavero escono cautamente dai loro nascondigli e per le scorciatoie si recano da ogni parte. Si vedono cavalli, cannoni, arnesi per minare… Si lavora diligentemente: tutto per la difesa della patria. Sì, sì, per la difesa della patria. Si dice che verso l’11 giugno inizierà la grande offensiva dalla parte di Frenzella, Cima Echer, Col del Rosso. Gli Austrici si sono armati fino ai denti. Innumerevoli cannoni di 41 cm e di 30,5 sono stati collocati in Val Frenzella. Un gran numero di divisioni di fanteria sono pronte all’attacco. Dicono che gli Italiani hanno una gran paura. Hanno paura dei gas. (E come non aver paura?). Ogni giorno attendono l’offensiva. Sempre sono “Gasbereit” (pronti ai gas).
Da noi tutti vanno pazzi per la lepre che ancora sta nel bosco. Il capitano vuole oro e soldi, tela e calze per sua moglie; altri stanno in agguato per la stoffa di lana, mentre i ragazzi affamati, di giorno in giorno più affamati, già vedono volare nelle loro bocche le conserve italiane e il pane.
O Dio, se riusciamo a sfondare, salvami dall’avidità, dammi la Tua grazia, la salute ai genitori e a me e non vi saranno al mondo uomini più ricchi.
Fontana Secca, 10 giugno 1918.
Ieri ho digiunato tutto il giorno, perché l’altro ieri ero troppo dedito al cibo (caffé ed altro). Era abbastanza difficile, perché l’uomo è troppo schiavo del corpo. Poiché non avevo mangiato, ero di malumore. Di sera mi ha aiutato la grazia di Dio. Quando pensai di essere solo, passando… sentii uno che leggeva le poesie popolari. Presi il libro, cominciai a leggere, parlai un po’ con i ragazzi e questi rimasero entusiasti come mossi da una forza misteriosa. Questo lo ascrivo soltanto all’azione della Grazia. L’uomo può raccontare e spiegare quanto vuole, ma se egli non è uomo “à la bonheur”, le parole rimangono infruttuose. Alla nostra generazione manca una forte volontà. Basta osservare le fotografie degli uomini famosi di oggi (comici ed altri) e le loro facce grosse e piene…, i volti vecchi invece sono piuttosto allungati, pieni di tratti virili.
Fontana Secca, 12 giugno 1918.
Jókai (Mór), Traurige Tage. (Presentazione e analisi di questo romanzo romantico-storico).
Fontana Secca, 13 giugno 1918.
Domani comincerà l’offensiva. Qui c’è un gran numero di soldati. I cannoni (Siebner), il nostro primo battaglione ed altri. Domani andrò alla 110. brigata con due orologi per regolarli con precisione. Nella notte comincerà il fuoco tambureggiante, a mezzogiorno sperano di essere presso Monte Meata.
Fontana Secca, 19 giugno 1918. (dalla quota 1385)
Il 15 giugno, alle 3 di mattina è iniziato il fuoco tambureggiante. Ero in cima a Fontana Secca e stavo seduto nella caverna illuminata dalla luce elettrica insieme con il comandante della divisione (?) Le Beau, con il suo sostituto ed altri. Giocavano a carte, usando sempre le parole francesi: coeur ed altre. Non si parlava affatto degli avvenimenti che stavano per seguire, o dei morti. Hanno giocato fino alle 2 e 59. Smisero di giocare e già iniziò il rombo dei cannoni. Uscimmo all’aperto. Si illuminavano il cielo e la terra, e questo generale imponente lampeggiare di nuvole, di monti e di valli era accompagnato da un’intera orchestra di toni bassi ed alti. Salii in alto ed osservavo il bagliore delle granate che si infrangevano sui monti italiani. Da diverse parti si alzavano dalle trincee italiane i fuochi artificiali che, scendendo lentamente, illuminavano tutti i dintorni. Tutto ciò durò fino alle 7 di mattina. Gli Italiani rispondevano con vari calibri (non ci aspettavamo questo, perché credevamo che tutte le batterie sarebbero state avvelenate con gas!) e anche con le granate a gas. Abbiamo dovuto utilizzare le maschere antigas. Alle 7,40 cessò il fuoco tambureggiante e alle 7,50 arrivò la notizia che Solarol, Forte(?) di Sallon era nelle nostre mani. Mezz’ora più tardi venne la notizia che Borojević aveva varcato il Piave. Iniziarono a procedere e il nostro battaglione dopo di loro. Vengono i primi feriti, vengono gli Italiani, ufficiali, ragazzi. Veniamo a sapere che è caduta una moltitudine dei nostri, che gli Italiani si sono difesi bene. L’artiglieria non ha ammazzato gli Italiani, non ha colpito affatto le trincee. Le nostre pattuglie di attacco (Kovač e Greger) hanno occupato Salavolo (Pyramidenkuppe) con 70 ragazzi e quattro mitragliatrici. La fanteria non giunse a tempo e gli altri 20 ragazzi resistettero contro quattro compagnie italiane che avevano attaccato, finché non dovettero ritirarsi. Così i nostri comandi sacrificano insensatamente gli uomini. Nelle situazioni più importanti giocano a carte e non si curano dei più elementari principi di attacco.
Sotto il fuoco dei proiettili raggiungemmo l’attuale luogo – già avamposto degli ufficiali – e ci sistemammo nelle caverne. Arrivarono i caporali maggiori che avevano guidato le pattuglie d’attacco, uomini meravigliosi, coraggiosi che muoiono senza alcuna paura. E’ meravigliosa la nostra gente, solo se avesse delle guide!
Qui giaceva un ufficiale italiano gravemente ferito (la coscia gli era stata tagliata come il prosciutto); si lamentava e gemeva dal dolore. Come una macchina ripeteva 20 volte: «Quanto male Manfredi». Più di un’ora sospirava così. L’ho fatto trasportare alla quota 1580, dove si trovava un piccolo “pronto soccorso”. Non dimenticherò mai il suo sguardo riconoscente e la stretta della sua mano insanguinata. Era un bellissimo giovane. Fare un atto di carità a chi soffre è la cosa più grande su questa terra. Questo è la base di ogni vita spirituale.
L’offensiva è inciampata, dicono per motivi politici. Ciò è caratteristico per il disordine che regna in Austria.
Le trincee italiane sono piene dei nostri morti. Sono immagini orribili. Si sente un fetore tremendo, i loro canali sono profondi, mal fatti e disordinati. I luoghi di dimora umidi, le caverne mal fatte.
Dicono che Krndelj è seppellito in Rasain. Orrore! Quel volto sorridente, pieno di idealismo e di vita, ci ha lasciati in un attimo! O Dio, abbi pietà di lui!
Monte Solarol, 100 passi sotto quota 1672, 25 giugno 1918.
Conduciamo una vita triste. Trascorriamo le notti in una caverna italiana buia e umida. Qui c’è il comando del nostro battaglione. Ho assunto il compito di aiutante e sono così occupato che posso a stento raccogliermi e pregare. Qui si spara terribilmente. Ieri sono caduti 12 giovani. I canali sono insanguinati e i giovani sono ammalati per l’umidità e il maltempo. Questo è una grossa croce per gli uomini. Ringrazio Dio di essere rimasto sano in questa umidità. La nebbia e il freddo ci tormentano.
Si dice che i nostri soldati si sono ritirati da Montello. Questo dimostra quale è il nostro comando, in altre parole l’incapacità del sistema austriaco. Qui c’è di mezzo anche il dito di Dio. Ovunque un piccolo gruppo di soldati austriaci aveva sconfitto la superiorità italiana; ora invece la superiorità (materiale e numerica) dell’Austria non può sconfiggere il debole esercito italiano. Sì, si sono dimostrati avidi del benessere delle pianure italiane! Il peccato è la causa delle più grandi catastrofi dell’umanità.
Il senso della vita è il “mysterium crucis”. Devo quindi accontentarmi del mio stato attuale. E’ però troppo difficile essere schiavo del sistema che insidia la vita dell’uomo e le sue idee. Per quale via? Dove? Non si sta meglio nemmeno dall’altra parte delle trincee. Bisogna ricorrere all’astuzie e liberarsi da questo sistema.
Vilago, 5 luglio 1918.
Son stato un po’ malato e sono sceso qua per rimettermi. Tutto è verde. Ho preso un po’ di reumatismo, e anche la mia salute non è più come prima. Ho perso molto della mia forza morale, ritengo però che in una settimana potrei raggiungere il grado di prima.
Vilago, 6 luglio 1918.
Strindberg, Sin služavke (Il figlio della serva). (Presentazione e analisi).
Solarol (caverna), 11 luglio 1918.
Una vita da cani. Non dormo più nella caverna umida. Il mio giaciglio è in una baracca semiaperta, tra ragazzi pidocchiosi. Anch’io sono pieno di pidocchi, sporco e vivo come una bestia. Non penso nulla. I momenti più sereni sono quelli in cui arriva il cibo. Mi sono abituato anche alle sparatorie, sono ormai una bestia. Intorno a noi tuonano e risuonano mine e granate, volano sopra le teste e noi a stento riusciamo ad abbassare e nascondere la testa dalle schegge. Quando l’uomo si trova al fronte per maggiore tempo, il pericolo di morte diventa una cosa quotidiana e l’uomo difatti pensa poco al senso della vita. A dire il vero, ciò avviene quando non si vedono i morti e quando non si guarda il dolore faccia a faccia. Le esplosioni delle mine sembrano dei tuoni e niente di più. Avrei paura dell’attacco; mi sembra che sarei più coraggioso se questa guerra avesse una base ideologica. Allora mi eserciterei nell’eroismo. Così invece sono indifferente e rimetto il mio destino nelle mani di Dio, il quale sa che cosa è meglio per me. Perché, dunque, dovrei temere?
Solarol (caverna), 13 luglio 1918.
La nostra baracca è stata colpita. A Šime è stata tagliata la testa, altri sono stati gravemente feriti e un ragazzo è stato sollevato in aria e gettato alcuni metri lontano. Ho visto piangere un capitano di carriera, uomo di 40 anni, perché aveva perso i suoi soldati. Anche gli altri erano costernati.
Ringrazio le preghiere di mia madre e dei miei cari amici se sono vivo, perché io, pur pensando molto a Dio, in realtà prego poco. Tutto il giorno sto giacendo nella caverna, mangio qualche cosa, scrivo un po’ e non posso raccogliermi e immergermi nell’immenso mare mistico. L’altro giorno ho visto un sacerdote, ben volentieri gli avrei baciato le mani che tenevano Cristo. Non è il caso di auspicarmi giorni migliori, quando anch’io andrò là dove è andato Šime? O Dio, la cosa migliore sarebbe se fossi già da Te, brucia quindi con la fiamma della tua Misericordia tutti i parassiti del peccato che si sono insinuati nella mia anima, affinché possa presentarmi buono e santo dinanzi a Te; o almeno, affinché nella vita possa essere ispirato dalla santa gioia e da una volontà sovrumana.
E’ facile scrivere ma è difficile vivere santamente.
Solarol (caverna), 16 luglio 1918.
Ieri è passato il grande attacco. Gli Italiani erano già in cima ed io già pensavo alla fuga. I nostri uomini sono veramente eroi: sono allegri nella battaglia, come se godessero neldar buona prova di sé. Peccato che non siano illuminati!
Per alcuni giorni tuonava l’artiglieria pesante. I canali sono stati distrutti, i fili interrotti.
Alle 4.30 iniziò l’attacco. La pattuglia d’attacco fu subito in cima. Allora vennero messi in azione i lanciafiamme… Venivano lanciate le granate a mano e dall’alto iniziarono a sparare con le mitragliatrici. I nostri giovani – ognuno per conto proprio – cacciavano gli Italiani, ammazzavano, catturavano. Vi erano molti morti. Attaccarono ancora due volte, ma non raggiunsero più la cima.
(A questo punto del Diario, Merz ha trascritto il testo della lettera del caporalmaggiore italiano Luigino Odorico, caduto sul Monte Solarol, ai genitori:)
Zona di guerra, Luglio.
Adorati genitori,
Scrivo questa mia in attesa d’andare all’assalto, non perché credo forse di presentire la mia morte, ma solo perché ho visto ch’essa arriva e ci travolge nelle sue spira voraci quando uno meno se l’aspetta. In questo caso vorrei che sapeste ancora i miei più intimi pensieri.
Quando fui chiamato sotto le armi, vi andai lietamente, sorretto più dal mio sentimento di dovere che da patriottismo (che pure è notevole in me) le quali virtù furono immerse nell’anima mia più dai vostri fatti che dalle parole.
Prima della guerra le mie idee erano neutraliste, ma solo perché previdi che questa guerra si sarebbe protratta troppo, riducendo tanto il vinto, quanto il vincitore in cattivissime condizioni. Ora i fatti mi danno ragione e nessuno può fare a meno di riconoscere questa verità. Quando però la guerra era scoppiata, compresi subito che per uscirne il più presto possibile e bene, l’unico mezzo era quello di favorirla con fatti, senza tante parole e di fare tutti il nostro dovere. Se ciò fu fatto lascio giudicarlo agli altri. Io per conto mio mi feci di questa convinzione una massima. – Sono (sic) divagato troppo.
Voglio parlare di noi. Vi ringrazio di tutto cuore, perché avete cercato sempre di darci un’educazione ed istruzione buona e profonda e di renderci contemporaneamente la vita felice e tranquilla. So che qualche volta vi costò molte preoccupazioni e pensieri gravi questa méta prefissavi, ma ciò rende solo più grande il vostro merito. Mi rincresce assai il non potervi contraccambiare il bene che ci avete fatto, ma spero che Pietrino e Federico potranno portare a finimento questo compito e rendervi bella e felice la vita dopo guerra.
Posso dire che se ho passato una felicissima gioventù, lo dobbiamo molto al fatto che regnava sempre pace profonda nella nostra famiglia e ciò lo dobbiamo a te caro Papà che mai amasti le troppe conoscenze e relazioni ed avesti l’occhio d’aquila per queste cosicché raramente e per poco, gente di sentimenti sleali poté insinuarsi fra noi. Se avessi avuto la fortuna di salvarmi avrei seguito le tue orme. Divertimenti sani ed onesti, senza esagerazione e a suo tempo; l’ammissione in famiglia di pochi meritevoli. Una cosa mi rincresce di non aver potuto per disgraziate e stupide circostanze fare l’ufficiale. Forse col tempo. – E così dovetti sottostare a gente pari, ma anche rozza e superba.
Spero di morire degnamente (sic) del mio bel paese, col pensiero rivolto a voi. Non tutti sono degni dei nostri sacrifici, ma io non penso, penso solo che mi batto per voi, per le mie sorelle, la mia casa, la nostra Italia. Addio a tutti. Luigino
(Continua il testo del Diario)
Questa lettera è stata trovata dal caporalmaggiore Luigino Odorico, caduto davanti al nostro filo di ferro, la mattina del 15 luglio 1918, mentre assaltava la quota 1672 del Monte Solarol.
Dagli scritti e dalle fotografie si deduce che è nato nel 1899 e educato in una ricca famiglia. E’ fotografato da borghese e da militare con la pellegrina, al tennis con le ragazze in allegra compagnia. Le ragazze sono accanto alla finestra al tramonto, il padre e la sorellina sono davanti alla casa, davanti alla quale c’è un grande cancello e le colonne rinascimentali con la veranda.
Si vede che gli Italiani ora combattono per la loro libertà e il loro paese e non per le idee per cui combattevano all’inizio della guerra. Ed io devo essere qui per combattere contro la gente che si batte per la propria patria? Devo uscire da questo impaccio, perché l’Austria non può dire che si difende, e nemmeno la Germania perché le truppe dell’Intesa sono ovunque sulla difensiva e difendono soltanto “le proprie sorelle, le proprie case”, la patria dall’assalto del nemico che cerca di depredare tutto.
Solarol (caverna), 26 luglio 1918.
Schiavi, schiavi, schiavi! Schiavi bianchi. Tanti milioni di uomini devono essere schiavi di un piccolo numero, peggio che nell’antica Ellade e in Egitto, perché oggi i concetti di uguaglianza sono un assioma, allora erano solo presentiti.
Oggi gli uomini non solo lavorano per i propri padroni, ma vanno anche alla morte e ammazzano gli altri… E vengono qua i sacerdoti della Chiesa supertemporale e non vedono che milioni di uomini sono ridotti alla schiavitù, ma nella loro cecità ricordano (ai soldati) i giuramenti forzati, come se questa parola pronunciata non di spontanea volontà valesse più della vita dell’uomo, della vita del tempio di Dio. Se tutti pensassero come i nostri sacerdoti, non esisterebbero affatto né l’evoluzione, né la lotta, né la storia. “Fiat voluntas Tua” significa: lavora, agisci tu stesso, perché si realizzi il Regno di Dio. Senza sangue non si vive sulla terra. Gli uni ora ammazzano milioni di uomini per una causa ingiusta: per la realizzazione del regno di Satana. Forse milioni di uomini non hanno allora ragione di liberarsi dal giogo di quegli altri, anzi in estrema necessità anche di ammazzarli? Ritengo che da questo punto di vista sia lecita la rivoluzione, la guerra di liberazione. E’ terribile, ma il senso della vita è terribile.
Siamo i morti viventi. Tutto il giorno giaccio nella mia caverna e penso di essere in una tomba. Non c’è libertà da nessuna parte, non c’è la luce. La lampada arde, il capitano G. legge Dorian Gray, mentre io ricevo gli scritti, li metto nella busta, aspetto il cibo. In verità, è una vita indegna dell’uomo. Se non pensassi ai miei genitori e alla patria, nella speranza che questo finisca, non rimarrei qui nemmeno un istante. Cercherei per me un’altra esistenza.
Offiziersfeldwache (=OFFW) tra Fontana Secca e Monte Solarol, 31 luglio 1918.
Ho letto in “Novine” che è morto don Ivan Kuvačić.8 Era un’anima santa. In lui infuriava perennemente una lotta interiore ed ha raggiunto un notevole grado di ascesi. Era filosofo ex professo, ciò che nella nostra vita si trova (raramente). Appassionato seguace di Solovjev; ci piaceva soprattutto quando parlava di lui. Voleva scoprire la sfinge del proprio popolo e fino alla fine era nel dissenso. Era il più grande avversario della Jugoslavia e di questo problema ho parlato con lui anche mentre era sul letto di morte. Avevamo riguardo di lui. A Šimrak attribuiva l’appellativo di ipocrita bizantino e condannava tutto questo movimento. Era educato nello spirito austriaco e amava Kralik. Il suo ideale era un’Austria federativa sostenitrice del cattolicesimo; non aveva mai immaginato la Croazia fuori della compagine dei poli cattolici. La sua morte sembra il simbolo di una idea sorpassata, la cosiddetta idea austriaca. La nuova idea della Jugoslavia sarà certamente più giusta, soltanto non so se essa abbia dei sostenitori così nobili.
Sono un gran peccatore, vivo come una bestia, mangio e vivo in schiavitù.
OFFW, Solarol, 2 agosto 1918.
Ieri sera ho parlato con un signore, un giovane pittore olandese (Fabritius). Lavora bene. Ha raccontato molto di Giava. E’ interessante lì: specialmente è sacro il rapporto verso la donna. Il ballo è proibito e la ragazza non si deve nemmeno toccare. Baciare una ragazza in pubblico è uno scandalo…
OFFW, Solarol, 3 agosto 1918.
Ora per me è attuale solo questo: «Interdum vero oportet violentia uti et viriliter appetitui sensitivo contraire, nec advertere quid velit caro, et quid non velit, sed hoc magis satagere, ut subiecta sit etiam nolens spiritui. Et tamdiu castigari debet et cogi servituti subesse, donec parata sit ad omnia, paucisque contentari discat et simplicibus delectari, nec contra aliquod inconveniens mussitare» (De imitatione Christi).
Che parole magnifiche, forti! Come se il corpo fosse una persona del tutto diversa con la quale lo spirito può trattare come gli piace. Potessi arrivare ad avere questa forza, non dovrei tormentarmi tanto.
OFFW, Solarol, domenica, 4 agosto 1918.
Mio padre è un uomo di animo nobile: quando per un po’ di tempo si è lontano da casa, allora, in prospettiva, tutto si vede molto più oggettivamente. Veramente tutto è strano. Egli è un uomo libero, eppure come è legato a me dal sentimento paterno…, solo che egli, di carattere virile, non vuole proprio rivelarlo, ma tra le righe e con alcune parole buttate giù mi dimostra quanto mi vuol bene, che sacrificherebbe per me tutto, anche la propria vita. Dio lo ricompensi per questo amore! E la mammina -… accanto al padre, ama solo me. Per me sacrificherebbe tutto, e poco si interessa dei principi etici. E da dove potrebbe averli? Educata in una casa di ebrei commercianti, da bambina non ha assorbito l’idea delle cose spirituali. Il giorno più felice sarebbe quello in cui mio padre e mia madre diventassero buoni cristiani, e la mia famiglia diventasse una famiglia cattolica, poiché la famiglia è la cosa più sacra sulla terra. Si potrà ottenere molto con la preghiera. Su mio padre fanno presa le dimostrazioni logiche, solo deve convincersi che anch’egli è educato nei pregiudizi, come quando ritiene che il “clericalismo” è un pregiudizio. Presso la mamma avrà effetto il suo amore verso di me. Bisogna metterla alle strette e andrà.
Roalte vicino Belluno, 23 agosto 1918.
Com’è bello qui. Il primo giorno non riuscivo a orientarmi. I fiori profumati sul tavolo, luccicanti nei loro colori variopinti, lo splendore del giorno e la fresca natura estiva tutto mi sembrava un sogno. Oppure no, mi sembrò di aver sognato un sogno cupo su una vita condotta in una caverna buia e umida, su una natura rocciosa dove non penetrano né il sole né la benedizione di Dio, le piante. Come se lassù abitassero i gelidi spettri che si rincorrono urlando, fischiando e lampeggiando. E’ passato questo brutto sogno e ringrazio Dio perché, dopo una lunga e grave malattia, i miei genitori proveranno un sollievo.
Uomo innamorato: la pancetta, il pane gustoso, mangia, mangia molto, succhia il sugo, che scoli per la gola e riempia lo stomaco. La vita! Il senso di tutto! Vuoi essere buono, brillare dove passi, mentre sei schiavo del tuo stomaco sempre affamato che sempre chiede, chiede qualcosa di forte e di gustoso.
Domani morirai, o uomo. Morirai! Sì, la pancetta e tutto il resto si troveranno ancora sul tavolo, ma tu non ci sarai più, né il tuo stomaco, come se non avessi mai mangiato qualcosa. Vigliacco! Se devi morire, almeno cerca di aver libero lo spirito e che lo stomaco non abbia potere sopra di te, vigliacco!
O Dio, dammi una forza strepitosa, affinché possa prendere in un pugno tutte le mie passioni, per scagliarle con la mano destra e con la forza di un cannone contro la roccia, perché si infrangano come il vetro e si disperdano in tutte le parti. Dio, Dio, quando sarò in grado di fare questo, quando potrò, purificato, camminare sulla terra! Aiutami, o Dio, perché è meglio non vivere che vivere così.
Memento mori: la pancetta sta nell’angolo in agguato. Chi dice che il digiuno è una sciocchezza non sa nulla. Non c’è una vera vita spirituale senza il digiuno, L’uomo in tal caso (cioè se non digiuna) non ha l’autorità su se stesso. Questo (il dominio di sè) invece è la cosa più importante. O Dio, dammi una forte volontà, anche se dovessi essere scalzo e nudo! Se già mi trovo in questo mondo è la stessa cosa se porto la stella sotto il collo o se ho la camicia strappata ai gomiti. E’ importante il grande “Io”, la libertà dello spirito che non teme la morte, il resto è secondario.
Banja Luka, 20 settembre 1918.
Fogazzaro, Il Santo.
Benché si tratti di un romanzo non molto raffinato dal punto di vista formale, vale la pena leggerlo. Potrebbe servire come modello ai nostri narratori nuovi e vecchi, i quali molto spesso toccano i problemi dell’uomo religioso, anzi osano presentarci un sacerdote modello, mentre in realtà non hanno l’idea di quel che avviene nell’anima di un uomo religioso. E’ la prima opera di questo genere che ho letto. Mi dispiace soltanto che F. ne Il Santo non abbia presentato un cristiano attivo nel mondo: un grande artista (Raffaello, Leonardo) o un altro grande (S. Francesco d’Assisi) che si sia distinto nel campo della riforma. Se il personaggio non è storico, tutta l’opera è abbastanza illusoria. In questo si sente la mancanza di Il Santo; infatti gli avvenimenti si svolgono nella nostra epoca, nelle nostre città e noi non abbiamo sentito parlare di questo Santo.
Tuttavia l’opera è molto interessante. Viene analizzata la vita religiosa di un apostolo moderno. E questa vita religiosa è presentata bene. Solo che non si tratta della vita di un Santo nel vero senso della parola. Piero Maironi è proclamato santo dal popolo, non è oggettivamente un santo. Per poter presentare la vita spirituale di un santo canonizzato, si dovrebbe studiare molto la mistica, perché attraverso gli scritti mistici e ancor più tramite quei grandi movimenti che hanno fatto progredire la storia, noi possiamo intuire quali grandi prospettive spirituali Dio apre alle anime elette e in qual modo Egli agisce in esse.
Segue l’esposizione del contenuto del romanzo, quindi un giudizio sintetico:
L’idea dell’opera è religiosa, sebbene il vero pensiero dell’autore non venga fuori con forza. […] Il valore maggiore (dell’opera) sta nell’analisi della vita spirituale di Benedetto. […] E’ interessante la presentazione di vari tipi di sacerdoti, specialmente di don Clemente…, della folla che accorre a Jenne,…della marchesa e degli studenti di Roma. Infine sono presentati meravigliosamente il ministro e il suo sottosegretario, cioè uomini che si sentono potenti ed hanno dinanzi agli occhi solo la sicurezza dello Stato o meglio la benevolenza dei superiori. Sono presentati bene anche il papa e la gente che si trova al punto di morte di Benedetto. […] Il componimento è troppo vasto per cui molte parti sono troppo pallide. Sono superflue le discussioni teoriche religiose ed i molteplici discorsi di Benedetto. Il romanzo dovrebbe presentare la vita e si potrebbero omettere le parti teoriche, così il romanzo acquisterebbe più vivacità. Ripeto, ciò che distingue l’opera è la descrizione dell’evoluzione religiosa di Benedetto.
Banja Luka, 23 settembre 1918.
Voltaire, Mahomet. (Presentazione e analisi dell’opera).
Banja Luka, 24 settembre 1918.
Voltaire, Ce qui plait aux dames. Una novella abbastanza frivola senza valore artistico. (Presentazione e analisi).
(Inizia il XIV quaderno)
Banja Luka, 25 settembre 1918.
Voltaire, Satires e Les trois manières. (Presentazione).
Banja Luka, 29 settembre 1918.
Sono stato a Ljubija e ho visitato la miniera. Il lavoro è semplice. C’è tanto minerale metallifero che la montanga viene minata e il materiale portato via. (Tagbau!) Tutto è modernizzato. La maggior parte degli operai sono Italiani. Per molti secoli sarà redditizio lo sfruttamento di questo minerale. Come sarebbe opportuno che anche in altre località venisse introdotta l’industria.
Cedarchis (presso Tolmezzo), 4 ottobre 1918.
Voltaire, Tancredi. (Presentazione).
Cedarchis, 5 ottobre 1918.
Voltaire, La mort du César. (Presentazione).
Cedarchis, 7 ottobre 1918.
Rodenbach, Le chêne au carrfour. (Presentazione).
Cedarchis, 10 ottobre 1918.
In tutto vi deve essere ordine. La sofferenza è la base della vita. Se mangio solo lo stretto necessario, il corpo richiede di più, penso al cibo, ma non mangio e soffro. In seguito a questi pensieri l’uomo (così si giustifica) è incapace di lavorare: mangia quindi quanto puoi, e potrai lavorare bene. Sembra che qui ci sia una contraddizione, perché l’astinenza è la via verso Dio, e la sofferenza che ne segue deve rafforzare le energie della vita – se essa è principio della vita – e fare di noi uomini forti, non solo sul piano etico, bensì uomini completi per la vita: scienziati, operai, ecc. L’astinenza non solo non è impedimento al lavoro scientifico, ma ne deve essere la base.
Oggi ho una forte volontà di mettere in pratica questi principi; perché l’uomo fa davvero ribrezzo a se stesso a causa delle sue passioni non domate.
Cedarchis, Domenica, 13 ottobre 1918.
Rodenbach, La Vocation (Berufung). (Presentazione della novella).
Cedarchis, festa di S. Teresa (15 ottobre) 1918.
Voltaire, Henriade. (Presentazione).
- Ivan A. Gončarov (1812-1891), romanziere russo.
↩︎ - La citazione dell’Imitazione di Cristo in lingua francese ci fa ritenere che Ivan si sia procurato l’edizione francese dopo aver regalato quella latina al tenente Cvitanovic (v. supra, Cap. VI, D). Inoltre, quel “domani” inserito tra i due versetti del testo, forse sta per indicare il tema su cui riflettere il giorno successivo.
↩︎ - Sul frontespizio del quaderno sta scritto: Ivo Merz, c. phil. – Banja Luka, Bosnien. Il giorno 9 settembre 1917 sopra Asiago, Monte Rasta.
↩︎ - Si tratta di un quadernetto; sul frontespizio sta scritto “Farina” e dentro sono annotate alcune spese. Poichè Ivan aveva smarrito alcuni fogli del diario (le annotazioni del 27 e 30 ottobre e del 5 novembre), il 13 novembre 1917, a Feltre, ha riassunto brevemente il contenuto delle predette annotazioni: “Si sono smarriti gli scritti, devo quindi di nuovo notare le cose più importanti. Il 25 di notte, al chiarore della luna, il passaggio attraverso Krn, coperto di neve. Un paesaggio meraviglioso. Le trincee abbandonate, piene di viveri: pane, conserve, vino. Nella mensa degli ufficiali c’era champagne ed altre cose di valore. Durante la notte abbiamo dormito sul Krn, poi la discesa a Kobarid (Caporetto). La popolazione ubriaca dall’allegria, una vecchia maestra canta. I Tedeschi irrompono nelle case e si comportano come veri barbari. Attraverso Homec, Bergogna, Pascoli, Molmento a Tarcento. Il nostro esercito saccheggia senza pietà la città abbandonata. Gli ufficiali vanno per le farmacie. Grandi ricchezze della terra. Formaggio, caffé, olio, riso in abbondanza”.
↩︎ - Sul frontespizio Ivan ha scritto: S. Gregorio 27.I.1918. Besitzer (Possesore) Merz Ivo, kolodvor (=Stazione), Banja-Luka (Bosnien, Bosnia), poi in tedesco, in francese e in italiano: «Se si perdesse questo quaderno, si prega di mandarlo a l’indirizzo scritto la sù (sic)».
↩︎ - Famiglia amica di Banja Luka.
↩︎ - “Danica”, associazione universitaria slovena a Vienna.
↩︎ - Don Ivan Kuvačić, nato a Gata, diocesi di Split, l’11 aprile 1885, ordinato sacerdote il 27 dic. 1908, svolse il ministero pastorale nelle parrocchie di Zagvozd e Podgora. Nell’autunno del 1912 si iscrisse alla Facoltà di filosofia a Vienna, per prepararsi ad essere professore di storia nel ginnasio-liceo vescovile di Split. Merz lo conobbe durante i suoi studi a Vienna nel 1915 (cf. Cap. V). Ha parlato con lui anche “sul letto di morte”, mentre Kuvačić veniva consumato dalla tbc, nel Schwesterspital in Hartmanngasse. Questo colloquio poteva aver luogo soltanto tra il 3 e il 17 aprile 1918, mentre Merz si trovava a Vienna per il Gaskurs. Kuvačić morì il 19 luglio 1918, come risulta dal telegramma dell’arcivescovo di Vienna, card. Piffl, all’Ordinariato di Split, spedito il 20 luglio, e dove si dice: «Ivan Kuvačić gestern gestorben», e non il 21, come si legge nel necrologio in “List biskupije splitske-makarske” 1918, num. 7, p. 34. La documentazione relativa al sac. Kuvačić si trova nell’Arch. Arcivescovile di Split, S-M, Spisi g. 1920, br. 3441.
↩︎