C a p i t o l o  VI

               A. Dal Diario di Ivan Merz: 7.III. – 28.XII.1916

            (Comincia il VII quaderno)

Graz, 7 marzo 1916.

            Non ho tanto tempo per riflettere su tutto. Annoterò solo i fatti.

            Lebring è una grande città, in cui le baracche sono disposte bene in ordine. L’acqua gialla e fango. E’ una cosa orribile per i soldati.

            Qui (a Graz) si sta abbastanza bene. Gli esercizi fisici piacciono. I tipi sono simpatici. Un certo magro spilungone, con tratti marcati brutti, sempre racconta della sua origine spagnola (Gusman de Olivares)…, c’è poi un professore piccolo e tozzo che è più maldestro della stessa maldestrezza. Altrimenti sono gente senza bisogni spirituali più profondi, uomini liberali.

            Graz è una città a parte, di carattere tedesco abbastanza intimo. Le donne sono tipi particolari. Con i loro sguardi innocenti, gli occhi abbassati, il colore bianco-roseo ricordano l’epoca cavalleresca della Germania, l’espressione di Grimilde e di Elisabetta (Tannhäuser!). Autentici tipi tedeschi. Qui ci sono molti pensionati: passeggiano nei giardini pubblici, parlano, si fermano, si appoggiano al bastone e poi di nuovo camminano, danno da mangiare agli uccelli, ecc.

            Nel teatro ho visto Walzertraum. Un vero pezzo viennese; ha in sé tutte le caratteristiche buone e cattive di questa città frivola. Come operetta è simpatica; ha molti valzer e melodie meravigliose, passionali, che affascinano l’uomo. Come dramma, non ha molto valore. La psicologia è assurda, rappezzata. E’ simpatica la caricatura dell’ambiente cortigiano e la circostanza che i tipi sono presi dalla società. […]

Graz, venerdì, 18 marzo 1916.

            Avrei molto da scrivere. Dovrei soprattutto descrivere l’ambiente in cui vivo, senza rifletterne troppo. Non perché abbia dimenticato, ma semplicemente perché non ho tempo. Mi alzo alle sei, dall’appartamento corro alla caserma. Era meraviglioso il cielo di questa mattina, così trasparente e così cosparso di “agnellini” da rendere l’uomo allegro insieme con il canto degli uccelli. Inizia l’esercizio: “Schwarmlinie” in vari modi, “verdichten, verlangen, Sturm” e cose simili. L’esercizio non è faticoso, è reso più leggero perché gli ufficiali ci trattano bene. Prima era micidiale, quando tutto il tempo facevano gli esercizi di parata e il “Zugsfürer”, uomo poco intelligente, ci rompeva l’animo. Questi conosce le cose militari, schiamazza e ci sgrida come se fossimo bambini, e ci minaccia con certi “Marschadjustierun­gen” e rapporti. Sciocco! Mica ci spaventa questo. Prima c’era anche un certo Bosniaco sfegatato, il quale pure voleva essere energico e gridava in lingua tedesca così che tutti ridevano. Peraltro è un buon uomo; particolarmente interessante è la sua cartolina a Suljić, in cui ci saluta e dove si riflette lo stile dei Bosniaci con alcune caratteristiche super-intelli­genti, come le maiuscole iniziali, i doppi punti ecc. 

            I colleghi sono vari. Sono proprio degli esemplari. Uno è barone e morfinomane, piange sempre e gli viene un malessere quando sente sparare. Semplicemente è inadatto per la vita. Dovrebbe avere accanto una bambinaia. Non ha potuto fare le esercitazioni. Degli altri dirò qualcosa un’altra volta. Bisogna pensare anche alla propria anima. Abbiamo tante esercitazioni che non si riesce ad occuparsi di un qualsiasi lavoro spirituale. Da domani tenterò di leggere qualche cosa e di continuare a coltivare la mia anima, di trasportarmi di nuovo in quel bel mondo della notte. Proprio questo è la cosa più necessaria per me in questo momento. C’è una grande probabilità che mi mandino al fronte. Parlando sinceramente, non ho paura della morte perché lassù è il vero regno. Solo non mi sono ancora riconciliato con il pensiero che io veramente andrò là e non sono consapevole di condurre una vita virtuosa. Infatti da quando faccio il militare, ho perso il contatto con Lui e ho smesso di lavorare su me stesso. Non ho meditato in che cosa potrei migliorare, e non mi è chiaro se sono al servizio di una causa buona. Spesso ho desiderato il dolore e la sofferenza e quando questa più volte mi ha colto mi sono chiesto se ciò serva al fine. Infine mi si impone la domanda se veramente dovevo giurare, in altre parole se dovevo promettere solennemente di combattere contro quelli che i signori delle cancellerie designeranno. Infatti, sono stato sempre contro la guerra; preferirei abbracciare e rappacificare tutti gli uomini, ora invece  devo ucciderli. […] Potrei consolarmi che la lotta da parte dei Croati contro gli Italiani è una specie di guerra santa. E’ vero, l’Austria – come dice Kralik – è «ein politisches Kunstwerk», dove ogni nazionalità è libera (dovrebbe essere!) e ognuna si sacrifica per un’idea comune. […]

            Ho perduto il filo. Di nuovo mi viene il pensiero che ogni stato dovrebbe sacrificare qualcosa della propria individualità in favore della pace, anziché cercare solo il suo. Ci vuole la pace, ma nell’Apocalisse è scritto che ci sarà sempre la guerra. Però, dobbiamo noi collaborare a questo male? Non ho ancora idee chiare; ora la cosa più importante è di entrare in me stesso, perché so di essere debole e che dovrò andare al fronte e combattere eroicamente, anche se per principio sono contrario alla guerra.

Graz, 20 marzo 1916.

            Potrei scrivere molte cose, ma tutto sarebbe frammentato, come sono disordinati i miei pensieri. Per di più sono stanco dalle esercitazioni. Dunque: ieri ho ascoltato il Trovatore. Quanto al soggetto non ho capito quasi niente e quanto alla musica, ci sono tante melodie belle, meravigliose…

            Sono stato anche a Maria-Trost. Grande chiesa barocca,… Quando vi sono entrato, mi sono raccomandato alla Madre Purissima e, vedendo la gente che pregava e si alzava dagli inginocchiatoi con le lacrime negli occhi, mi è sembrato di riscoprire nuovamente quel mondo che si era tanto allontanato da me. E tutta quella mistica della chiesa, quel tremolio della luce perpetua e di innumerevoli candele compenetrano l’anima come un odore soprannaturale. E’ superflua qualunque descrizione; ognuno sa quanto la vicinanza dell’Eucaristia fortifica. La natura è bella.

            Sono contento di poter soffrire almeno qualche cosa. Questo è nulla in proporzione; una grande spossatezza, dopo la quale sei affamato e dormi come un ghiro. Sì, soffro volentieri, anche se a questa parola tremo, temo che sia troppo forte. Soffrono molto di più mia madre, mio padre e quei milioni di poveri che sopporterebbero le più grandi pene pur di avere un pezzetto di pane. Io invece ho tutto questo.

            Guardando oggettivamente gli uomini che impongono questo lavoro faticoso e il fine che vogliono conseguire, mi viene un sorriso di compassione. Essi vogliono che lavoriamo “stramm”, ci tormentano incessantemente, senza riposo e senza riguardo, minacciandoci con i castighi e sgridandoci con arroganza. Poveretti, non sanno che non si può imparare nulla, quando si esagera. Il semplice contadino conosce questa logica, ma l’ufficiale no. Conosco bene questi uomini. So bene che (l’ufficiale) cerca di seguire alcuni cosiddetti principi: essere buoni quando si lavora bene e molto severi quando il lavoro non va. Un principio prettamente da ufficiale. Invece di fare con amore, per vedere che cosa è possibile e che cosa no. Dovrebbe tener conto che noi non siamo bambini bensì uomini che forse valiamo più di lui. Se una cosa del genere fosse successa a lui nella scuola dei cadetti avrebbe protestato e gridato in segreto contro il proprio capitano, dandogli vari appellativi militari, ora invece lui stesso si comporta così. Sì talvolta è molto buono, talvolta invece ci tortura senza motivo. Così può fare soltanto un uomo senza religione: lo sento in ogni momento.

            Ho finito di leggere Abencérage di Chateaubriand. Nella traduzione non si può avere quella impressione artistica come nell’originale. […]

            Ljuba ha scritto che è stato trasferito a Sarajevo. Proprio mi dispiace.

Graz, giovedì, 23 marzo 1916.

            Ora che mi sono un po’ orientato spiritualmente (di nuovo sono cominciate le lotte spirituali!) dovrò recarmi a Wildon. Sono scontento di me stesso; mi rendo conto che in questo breve tempo del servizio militare sono andato molto giù spiritualmente. Certamente questo è l’effetto della vita nuova, in cui non ho potuto orientarmi bene. Qualche esempio insignificante. Ho sempre fame e mangio continuamente – tre volte al giorno mangio a sazietà. E’ strano: qui il cibo è fatto di noci, di biscotti e cose simili per i bambini viziati. Sempre sento come una certa debolezza di volontà nell’abbandonarmi a questo piacere sensibile. Uno non dovrebbe pensare affatto al cibo, bensì mangiare quello che gli viene servito. Così facevo a casa, ma qui sono ancora nel dubbio: c’è poco cibo e non è nutriente. Il mio organismo è come se fosse avvelenato; sento sempre il bisogno di mangiare qualche cosa di dolce accanto all’altro cibo. Forse si tratta di abitudine, come nel caso del fumo, di morfina e cose simili. Col tempo cercherò di disabituarmi. «Iudicaberis ex facto, non ex scientia», dice Kempis, mi pare. Forse una cosa così prosaica non è per il diario, ma nella vita attuale ciò ha un ruolo. Nel mio caso non si tratta più di un cristianesimo teorico. Sono diventato membro della società e devo diventare un cattolico praticante il quale si manifesta – mi pare – soprattutto in queste piccole cose quotidiane.

            Comunque la cosa peggiore è il servizio militare. Cristo ha detto: «Date a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare», e Mahnić chiaramente dice che questa è la guerra per la Giustizia e per la patria. Tuttavia io qui non mi sono orientato. Tengo conto dei fatti: uccidere un uomo. Se penso a questo, non mi riconosco più. Io ho sognato sempre la fratellanza e l’amore. Fr. mi disse che la morale cattolica esige l’ubbidienza all’imperatore e che abbiamo l’obbligo morale di compiere i doveri militari. Per me questo è un grosso problema. Se fosse stato sempre così nella storia forse tutta la storia non si sarebbe mossa. Chi ha creato e distrutto gli stati, se non la disubbidienza? Se il padrone ordina di fare il male ritengo che il servo non lo debba eseguire. Con questo non intendo dire che io servo una causa cattiva, anzi ho il presentimento che questa guerra avrà una grande missione, solo che essa non mi è chiara. Dico inoltre che la guerra poteva essere evitata.

Graz, lunedì, 27 marzo 1916.

            Così strano suona il nome: Greta Teschner. Come se in esso si nascondesse il senso della mia vita, come se nei misteriosi suoni di questo (nome) stesse nascosta l’anima «eternamente femminile».

            Di giorno in giorno perdo quota; ogni momento mi sento un uomo debole, anzi ciò che mi amareggia di più è di essere un uomo mediocre. Ogni momento sento di essere impregnato della superficialità del mio ambiente, che non c’è quasi nulla che mi elevi al di sopra di esso e che dimostri che sono una individualità, spiritualmente indipendente dall’ambiente. Già scrivendo nel diario, spesso esprimo questa superficialità. Dico, ad esempio, quel tale è di natura mutevole, e la causa ne è il fatto che non è sessualmente (e spiritualmente!) puro. Così, però, potrebbe affermare un qualunque cattolico… Ecco, nel giudicare gli uomini guardo alle qualità del carattere, come tutti intorno a me, non riflettendo sul fine dell’uomo, sulla questione che cosa sia l’uomo, come la sua anima sia legata al corpo. In altre parole non so andare a fondo. Sono troppo egoista, legato al mio corpo. Giudico gli uomini a seconda della loro condotta nei miei riguardi e non mi sono particolarmente graditi se mi tormentano. Devo elevarmi al di sopra dei miei dolori e riflettere sullo scopo a cui essi mi conducono, e se agisce eticamente chi me li procura (Zugsführer).

            Sono un uomo molto debole. Sono legato da «fili sottili». Appena sono entrato nella vita già ho tradito i miei principi. Infatti penso abbastanza al cibo e forse spesso mangio troppo. Poi non sono molto puntuale in tutto.  Sono superficiale. Ma soffro soprattutto per non aver trovato nemmeno una volta l’occasione di assistere alla santa Messa. Non sens! Avrei dovuto fare dei sacrifici e l’occasione si sarebbe trovata. Proprio ora ho bisogno della forza spirituale, devo attingere alla sorgente inesauribile dell’Amore, a quella forza onnipotente dell’Eucaristia che riempie l’anima di una luce più chiara del giorno, che la trasforma nella contentezza spirituale che si placa nella sensazione di qualche cosa di sconosciuto e infinito. Con tutte le forze vorrei tornare a questa Sorgente. Deus, adiuva me!

Graz, martedì, 28 marzo 1916.

            O Dio, come sei grande! Sono pieno di felicità e gioia. Ho visto una cosa così piccola, eppure tanto grande come nessuna finora nella mia vita. Ho sperimentato veramente una parte di storia: ho percepito chiaramente come la Provvidenza dirige questa e come ogni guerra, nella sua sostanza, è religiosa. In essa si cristallizzano il bene e il male… Ecco che cosa ho visto: in Annestrasse c’è un gran traffico, le vetrine sono illuminate, i tram circolano in tutti e due i sensi, la gente passeggia, soprattutto i soldati. Là si erge dignitosamente la chiesa dei Fratelli della Misericordia. Le tre grandi porte sono chiuse. Davanti alla porta stanno in ginocchio due soldati e pregano… Oh, che grandezza spirituale in questi uomini semplici! C’è ancora quel profondo trasporto religioso medievale, quella mistica cristiana dei santi (Grande Pio X). E questi soldati, noncuranti dell’altra gente incredula che scrolla le spalle e li guarda con disprezzo sulla bocca, si inginocchiano in un posto frequentato davanti alla chiesa e pregano alla presenza dell’Eucaristia. Dio, Dio, ascolta il grido dell’uomo debole e dammi quella grande fede, senza rispetto umano, di questi uomini semplici.

            Quando per strada saluto passando accanto alla chiesa, sono abbastanza nervoso a causa degli altri. E quando ho voluto entrare nella stessa chiesa per adorare l’Eucaristia, nemmeno ho pensato di inginocchiarmi davanti alla chiesa. Quanta corruzione e pregiudizi umani sono ancora in me! Sempre e sempre cerco di correggermi, e sono sempre più debole. Ti chiedo forza, o Dio! Questo piccolo episodio è «a little beauty is a joy for ever». Ero già disperato pensando a tanta corruzione dell’attuale generazione e a tante malattie veneree. E invece si sta formando un’altra sorta di uomini mistici che avranno la forza di combattere questo.

            Quando ero a Schlossberg mi sembrò di essere Gulliver. Guardando dall’alto si ha l’impressione che le case a tre piani siano delle casette e i tram strisciano come dei giocattoli. Gli uomini sono delle strane formiche. Se poggiassi il piede sulla casa la sfascerei tutta. Come sono piccoli questi uomini sotto e guardandoli dall’alto sembra proprio ridicolo pensare che questi lottano tra di loro, che uno accusa l’altro, che alzano la cresta ecc. O meschino genere umano!

            Bisogna andare in montagna, lì c’è la vita, lì l’uomo si libera dal fango della bassura!

Slovenska Bistrica, giovedì, 6 aprile 1916.

            Nemmeno qui riesco a concentrarmi davvero. Intorno a me si chiacchiera e si imparano le sciocchezze militari. Il mio stato d’animo è peggiore di quando ero a Graz. Talvolta sento l’ira – una giusta ira – contro la stupidità umana e distruggerei tutto. Piglierei la terra da una parte e la lancerei nel vuoto perché volasse e scoppiasse.

            A dire il vero talvolta provo una soddisfazione, una vera felicità perché soffro ingiustamente; così sono più simile a Cristo. Certo, che differenza! Solo in questa sofferenza spirituale posso fino a un certo punto rappresentarmi il Cristo crocifisso: donare la propria vita gratuitamente, senza alcun interesse, lasciarsi crocifiggere ingiustamente per l’umanità. Dio – Cristo!  

            Talvolta quando non sono troppo stanco, godo nella natura. Oh quanto è bella! I ciliegi sono in fiore: biancheggiano meravigliosamente. E penso quanto potremmo imparare dal ciliegio. Quest’arte non deve essere senza un valore pratico. La ciliegia nutre e il ciliegio è così bello in tutti i suoi stadi di sviluppo: è davvero meraviglioso. Così anche l’arte deve avere il proprio fine, come il godimento nella bellezza, nell’armonia. Inoltre può essere ancella della religione, in un senso più largo. “L’art pour l’art” è una sciocchezza, lo dice la stessa natura. Infatti che cosa c’è nella natura di bello che non abbia uno scopo? E viceversa?

            E’ difficile descrivere oggettivamente questa vita. Ci alziamo alle 5 del mattino. Facciamo esercitazioni fino a mezzogiorno e di nuovo dalle 2 alle 4. Dalle 5 alle 7 c’è la scuola, di nuovo quella tortura come nell’Accademia. Il bel mondo sulla terra; manca la libertà di pensiero e uno sguardo più profondo sulla vita.

            Qualche volta mi fanno schifo i miei colleghi. Non si sono ancora svegliati e già hanno la sigaretta in bocca. Il fumare sembra una caratteristica della nostra epoca. Bisogna sempre provare qualche piacere sensibile.

Slovenska Bistrica, 14 aprile 1916.

            La vita è monotona. Lo studio è una tortura. Sono contento si aver incontrato il prof. Ribarić, un “senior” e buon amico di Nazor. Ovviamente tutto il nostro discorso si aggira intorno a questo nostro grande poeta. Mi racconta del suo genere di vita ascetico e del fondamento reale delle sue poesie. Pjesni ljuvene (Poesie d’amore) hanno una base reale. Il marito della signora Br. fa il militare. Ella veniva spesso a Kastav da una vecchia insegnante per parlare con lei. Poiché era una donna intelligente – s’interessava di botanica – e simpatica, Nazor la osservava di nascosto. «Pensi, questo asceta ha invitato la signora Br. con quella signorina a pranzo». Hanno anche passeggiato insieme, ma mai soli. Ella se n’è andata, probabilmente a Krk, e non si vedranno più. (Questo amore ricorda il Werther, e anche Immensee). Un occhio inesperto non avrebbe notato nulla, però Nazor ha sperimentato molte cose. Il frutto ne sono le poesie. Bisognerebbe analizzare queste poesie e avremmo davanti a noi Nazor.E’ particolarmente bella la poesia in cui le dice che non si incontreranno mai più, ma penseranno l’uno all’altra. Ribarić pensa che la signora abbia vissuto più profondamente questo amore. Un uomo comune sarebbe felice; però è tragica la sorte del poeta in quanto egli è superiore all’uomo comune e, come Moïse, anela alla semplice felicità umana, però nella sua grandezza e solitudine rimane infelice.

            Quanto all’aspetto formale della poesia, Nazor, consigliato da Ribarić, si è convinto che il ritmo deve armonizzarsi con l’accento delle parole. Tali sono le Intima. Forse ha aderito così presto a questo suggerimento perché anche Pascoli, in Italia, appartiene a questa scuola, e Nazor ama particolarmente quest’ultimo. Del resto, Nazor ha scritto poesie prima in italiano e poi in croato.[…]

Slovenska Bistrica, domenica, 16 aprile 1916.

            Dopo tanto tempo sono stato in chiesa. Meraviglioso! Oggi sono pieno di una certa luce, di entusiasmo e di amore. Quella vita mistica è tornata come in un baleno. Mater dolorosa, Mater amabilis – quanto è buona!

            Ho trascorso bene il pomeriggio in compagnia di Ribarić e del tenente Kondić. Stavamo seduti in una osteria in Gornja Bistrica. […] Abbiamo letto Baudelaire. A Ribarić piacevano soprattutto alcuni paragoni. Era tutto estatico. Egli però ci spiegava soprattutto le Pjesni ljuvene: la loro origine e il significato. Raccontava dell’amore di Nazor per la musica. Conosce Lohengrin, a causa dell’Aida una volta ha fatto il viaggio da Graz a Vienna, conosce Tosca quasi a memoria. Dice che il poeta dev’essere un semplice operaio di gabinetto, che deve studiare, pensare e come uno scultore scalpellare la sua poesia…

Slovenska Bistrica, lunedì, 24 aprile 1916.

            Riccardo III di Shakespeare.

            Questa è la seconda Pasqua trascorsa all’estero. Ieri, domenica di Risurrezione, ho fatto la Comunione. Questo mi ha dato forza e mi ha riempito l’anima di infinita gioia. Ma alcune ore più tardi sembrava apparire una certa terribile reazione. Sebbene non avessi dubitato, tuttavia non ho sentito la grandezza di questo mistero e, in una parola, mi ho provato un sentimento di terribile insoddisfazione spirituale. Forse perché sono molto debole. «Abstinentia vera pax invenitur», mi sembra che dice Tommaso da Kempis e, in teoria, io sono d’accordo con lui. Ma quale differenza tra la teoria e la prassi! Sono un bambino debole: sempre mi preoccupo del cibo e perdo energia. Dovrei pensare di giorno, anche se sono stanco, affamato ed altro. Di notte bisogna dormire. Io invece dormo tutto il giorno. Tutto faccio dormendo, senza energia, meccanicamente. Cercherò di fortificare la mia volontà, di agire non secondo l’istinto, ma come mi comanda la volontà. Dio, aiutami!

            Ho finito di leggere Riccardo III di Shakespeare. In un primo momento non si ha  l’impressione di una grande opera, come effettivamente è. […] Però, già alle prime parole… ho sentito istintivamente che si tratta di grandi pensieri…

            (Segue la presentazione e analisi dell’opera).

Slovenska Bistrica, 10 maggio 1916.

            Orribile! Non perché vivo fisicamente in schiavitù, ma perché guardo la sozzura tra le nostre file…

            Ultimamente mi sono passate per la testa molte cose. C’è quella lotta contro la carne e il tentativo di elevarmi su tutto ciò e di unirmi con la natura e con Dio. E’ una lotta difficile che dura eternamente. Inoltre sono stati qui i miei genitori e per alcune ore mi sono sentito quello di una volta, cioè come colui che ama molto queste persone dalle quali è sommamente amato. E ho visto come la Provvidenza si cura di tutto; come tutto ha un senso, così anche il mio servizio militare. Se non ci fosse stato questo, non credo che la mamma sarebbe tornata a Dio, invece lo ha fatto. La mia più ardente preghiera è stata esaudita. Persino mio padre dice di essere stato colto da un sentimento di preghiera, quando è venuto in mezzo alla meravigliosa natura. C’è ancora in lui (qualcosa) di quella falsa logica moderna, però passerà anche questo.

            Tutto va bene. Con Ribarić leggo Nazor e solo adesso sto penetrando nella nostra poesia. Mi sto sempre più convincendo come è meravigliosa la nostra lingua, purché venga nelle buone mani, come quelle di Nazor. Se Nazor ci avesse dato soltanto la sua lingua con i suoi epiteti, avrebbe già fatto molto. Ma egli è salito sulla Montagna dei sogni – «Planinu sanja», al di sopra di ogni partito e nelle sue poesie ci ha dato la sua profonda vita spirituale. In un secondo momento scriverò un saggio su di lui.

            Dio, Dio, quanto ti amo, quanto ti ringrazio perché ora mi colmi l’anima di una singolare dolcezza. Come l’anima mia si innalza, come vola a Te! Con una forza sovrumana vorrebbe rompere questo petto per andare da Te, lassù, per l’eternità, per unirsi a Te.

            Qui c’è chiasso…

Slovenska Bistrica, 24 giugno 1916.

            Un vuoto nell’anima. Non riesco a meditare e a raccogliermi. Intorno a me avvengono tante cose e il mio quasi unico lavoro consiste nello studiare le persone intorno a me; cerco di dominarmi e di elevarmi al di sopra di questo ambiente. Talvolta mi è difficile, però sento che già abbastanza facilmente mi privo del denaro e di altre cose.

            Continuo a studiare Nazor. Dopo averlo terminato, descriverò una giornata trascorsa con queste persone, i loro discorsi e i loro gesti. Qui si trovano vari tipi; in essi vedo il futuro di interi popoli e dell’umanità. Suljić parte per Banja Luka e non so perché mi sento così. Così tanto mi attira quell’ambiente…

Slovenska Bistrica, 4 giugno 1916.

            Mi sono un po’ rasserenato oggi leggendo Istarske priče (Racconti istriani) di Nazor. Non sapevo che i Croati avessero novelle così moderne e belle, che sotto molti aspetti possono essere paragonate con quelle di Lagerlöf. I Croati sono ciechi: non si rendono conto quale grande epoca culturale vivono, che grande poeta hanno in Nazor. Quando egli morirà, allora si accorgeranno che era un grande. Egli non è un poeta che vive nella città isolato e che, come Verlaine, arriva a così profondi sentimenti in seguito al contrasto con la società. No, egli ricorda Pindaro ed altri che sono isolati dalla società e vivono sulle alture, dove si creano il loro mondo e dall’alto osservano il passato e il presente del popolo e aprono la strada al futuro. Pertanto vediamo nella sua lirica una nota epica: non sono le descrizioni del sentimento di un individuo che soffre nella società, che vive e ama come gli altri uomini, bensì egli è un certo Omero, un Mosé, il sacerdote del popolo, che ci offre nella poesia le sue impressioni e la sua filosofia sulla natura e la filosofia del suo popolo. […]

            L’anima mi si sta viziando. Mi tormenta la sensualità; i pensieri più brutali mi afferrano ogni momento.

Slovenska Bistrica, 5 giugno 1916.

            Il Facol rakamani (di Nazor) non è senza obiezione dal punto di vista tecnico. Si vede chiaramente che questo racconto non è sorto da un bisogno spirituale, come Göste (di Lagerlöf), ma il poeta è un così grande artista che con facilità imita lo stile di Selma (Lagerlöf), i colori del Cantico dei Cantici, la mistica di Strindberg. […]

            Sarebbe auspicabile che Nazor scrivesse una certa Istriade…, in cui, sotto forma di racconti, descrivesse esaurientemente tutti i lati della vita istriana.

Slovenska Bistrica, lunedì, 12 giugno 1916.

            Stari Frane (Il vecchio Frane di Nazor) non è descritto realisticamente. Come se Nazor non sapesse descrivere gli uomini che incontra tutti i giorni, ma solo quelli che la sua fantasia crea. Forse anche la sua visione politica è condizionata da questo: non conosce quella caratteristica dei Serbi (quella enorme volontà come degli Ebrei /Chamberlain!/), ma di essi fa tipo di uomini quali egli li vorrebbe, e ad essi affida lo stesso ruolo come ai Croati. Forse ha ragione; come un profeta che dall’alto guarda il destino del suo popolo e gli indica la strada dell’avvenire. Per la verità i suoi canti patriottici non mi piacciono;… sono troppo legati all’ambiente e all’epoca…, il futuro non li ricorderà. Egli non si è così intensamente immedesimato con la storia e l’evoluzione del popolo come con il corso della natura, la sua vita, la sua musica e i suoi colori…, mentre le sue Intima rivelano una bella evoluzione verso il cristianesimo. […]

            Basta di questo: bisogna occuparsi un po’ della vita, perché la vita è qualcosa di più della poesia. A questa conclusione sono arrivato leggendo (il libro di) Chamberlain Grundlagen des XIX Jahrhunderts. Anche se quest’uomo non è molto profondo, ha delle idee straordinarie. Dice che la storia è rappresentata dalle Personalità, che hanno avuto la forza di uscire dal proprio ambiente e dai suoi pregiudizi e di creare un’etica superiore. Certamente questo è esagerato, però la loro lotta eroica contro la carne e contro le false etiche dei secoli e delle leggi ha conquistato migliaia di uomini, ha dato l’esempio ai secoli che pure anelavano ad una grande e difficile vita spirituale che dà poesia alla vita. Noi non vogliamo una poesia formale, di quella che contempla le bellezze dei colori e la loro armonia. La poesia deve passare per tutta la trafila di una grande vita che saprà mettere tutto in armonia e portare a quel punto in cui si pone la domanda «Che cosa?» e «Donde?».

Slovenska Bistrica, martedì, 13 giugno 1916.

            Interrompo i pensieri quando questi si accavallano… Nessun peccato, poiché vedo e sperimento tante cose nuove che sarebbe forse anche dannoso addentrarsi nelle speculazioni filosofiche e a causa di queste distruggere tutta la vita. Allora forse conviene descrivere una cosa quando è terminata, quando comincia un nuovo periodo spirituale. Mi sento debole e sono convinto che in questo osservare la vita c’è molto egoismo, però cercherò di formarmi un giudizio su queste impressioni della vita, sì, una vita grande e bella. Mi interessa soprattutto il problema della donna e mi sembra che sotto questo aspetto mi sto avvicinando abbastanza alla Verità. […]

            Nell’esercito: grandi dissensi tra Boemi e Tedeschi. I primi sono abbastanza antipatici, si ubriacano, sono immorali, egoisti – non danno nulla a nessuno. Ma sotto l’aspetto nazionale mi incutono rispetto. Dopo aver nello stato di ubriachezza fraternizzato con i prigionieri russi, senza alcun timore si lamentano di essere stati offesi dal 28. Reggimento (?), ed uno – Horaček – ha accusato il capitano perché gli ha detto di essersi ferito da solo. Il capitano ha dovuto dargli la soddisfazione.  E quando rimproverava un altro, questi ha cominciato a rispondergli dispettosamente, non temendo il fronte o altro. E’ strana e grande questa consapevolezza nazionale che non ha paura nemmeno della morte. […]

Slovenska Bistrica, 16 giugno 1916.

            La peggiore cosa è che rimango sullo stesso livello etico, anzi sotto molti aspetti cado. E’ molto difficile accontentare la società e Dio nello stesso tempo; in quest’ultimo paio di giorni ho dormito di più, infatti non ho guardato… La lotta è difficile e dobbiamo cercarla.

            Ribarić è stato da Nazor. Dice che Nazor ha scritto il poema epico Utva zlatokrila (L’anatra dalle ali d’oro), che verrà letta al posto di Kohan i Vlasta.1 Ha scritto poi Snježana. Si occupa soprattutto della traduzione dell’Inferno nei giambi con il dattilo alla fine. Pensa di fondare una rivista letteraria per radunare tutte le forze senza distinzione. Penso che ciò sia opportuno perché “Hrvatska Prosvjeta” e la sezione estetica di “Luč” entrano troppo nelle questioni di parte (i seguaci di Starčević, i nazionalisti) e accettano solo gli elaborati dei cattolici, invece di raccogliere tutte le cose – fossero anche dei panteisti – che siano buone; perché non esiste l’uomo che inconsapevolmente non pensi cattolicamente in molte cose.

Slovenska Bistrica, 17 giugno 1916.

            Solo oggi ho potuto rendermi conto dove sono. Un villaggio di Stiria in una valle verde. Ad est e ad ovest (ci sono) alti monti pieni di vigneti, a nord colline che si perdono in lontananza. Tutta la natura è ornata di chiesuole. Oggi sono uscito da solo durante l’Angelus. C’era silenzio, solo i grilli stridevano, talvolta le rane dal profondo del pantano gracidavano quasi accompagnate dal piffero. Le nuvole grigie si trascinavano nel cielo, assumendo ad occidente color giallastro… La chiesa tedesca e quella slovena sembrano ergersi una contro l’altra… Più in alto sporgono fuori due campanili della chiesa di San Giuseppe. E mentre vagavo col desiderio di raccogliermi interiormente e di comprendere questo silenzio, questi colori…, suonò l’Angelus prima sulla chiesa slovena e poi iniziò a suonare anche sulle altre. Questo mi scosse. Poco prima avevo cercato nell’anima questo mondo spirituale e tutto mi sembrava come un palcoscenico, ora invece mi resi conto che tutto era vero  e che questo mondo invisibile è la realtà.

Slovenska Bistrica, 27 giugno 1916.

            […] Ho studiato Pjesni ljuvene (di Nazor) e ho scritto il mio pensiero in merito. Ho finito di leggere Mass für Mass  e Das neue System di Björnson. Dirò qualcosa dell’ultimo. Si può affermare che un’opera d’arte è in parte frutto dell’ambiente in cui è nata. In certe opere ciò si nota più chiaramente, in quelle più internazionali meno (Corot!). Però la teoria di Taine non si può negare. In Norvegia non potrebbe nascere Kumičić, come neanche Björnson in Croazia. I due sono figli di popoli diversi che conducono una vita particolare. In Croazia la lotta politica dei partiti è all’ordine del giorno: sono sussulti di un popolo soggiogato. In Norvegia il popolo è libero: lì si svolgono lotte molto «più moderne». Anche lì il popolo si divide in partiti, questi però sono una specie di gruppi tecnico-sociali. Ibsen è riuscito ad essere il poeta di tutto il mondo civile, lo interessano i problemi culturali di ogni genere. Tuttavia nemmeno in lui si può negare il colorito norvegese… Di fronte a Ibsen, Björnson è un poeta provinciale. […] La cosa più grande in Björnson – ciò che lo eleva al di sopra di Ibsen – è il suo ottimismo, la caratteristica specifica dei nordici. […]

Slovenska Bistrica, 30 giugno 1916.

            Il miglior libro per la vita – la vita è la sorgente di tutto quel che è umano – è (relativamente) De imitatione Christi.

            «Quicumque non concordant cum spiritu tuo, illis cede propter pacem tuam et ipsorum. Hoc pro magna sapientia tene, si de propria sapientia nihil habes. Ubi prompta oboedientia, ibi laeta conscientia. Ubi humilitas, ibi sapientia. Ubi pax et concordia, ibi Deus et omnia bona. Ubi lis et dissensio, ibi diabolus et omnia mala».

Slovenska Bistrica, sabato, 1 luglio 1916.

            (Presentazione e analisi di L’Intrus e Les Aveugles di Maeterlinck).

Slovenska Bistrica, 5 luglio 1916.

            Non ti ho dimenticato, piccola Greta. Tu sei morta ed io ti ricordo ancora un poco. Non saprei più ripetere le tue parole, ma so come sei. La tua anima si è cristallizzata in me, sei diventata il mio idolo che amo più di qualunque ragazza. Piccola Greta, dormi in pace. Forse arrivederci.

            Dolore, dolore, un atroce e tetro dolore mi ha preso…

            Non posso pensare molto: caldo, stanchezza, nervosismo, pulci, oh! tutto ciò ammazza l’uomo. Bisogna ancora studiare queste cose militari. Non voglio inutilmente sprecare le cellule nervose per questo scopo. Se non avessi i genitori che amo tanto, saprei essere il padrone della situazione.

Slovenska Bistrica, 7 luglio 1916.

            (Termina l’analisi di Les Aveugles di Maeterlinck).

Slovenska Bistrica, 15 luglio 1916.

            In questi giorni c’è l’esame per gli ufficiali, perciò interrompo sempre.

            (Continua l’analisi del romanzo Le crime di Paul Bourget).    

            (Comincia l’VIII quaderno).

Slovenska Bistrica, 17 luglio 1916.

            (Continua l’analisi di Le crime di Bourget).

Slovenska Bistrica, 19 luglio 1916.

            Silenzio totale… Così anch’io mi sento in pace. Vorrei pregare a lungo, con animo dolente, affinché Quello di lassù mi sradichi dal cuore tutto ciò che mi lega al transitorio: tutto quell’egoismo brutale che sempre pensa soltanto a sé. Oh, sono poveri gli uomini che non possono stare soli. Nel vortice della vita si attacca il fango, così che l’uomo inavvertita­mente comincia a vivere nel caduco.

            E’ difficile essere ricco; in questo caso bisogna dare tutto all’altro, non solo, ma dobbiamo essere lieti nel dare qualcosa ad un altro, anche se questi fosse sfacciato…, «deberes te subicere omnibus». Se poi io dò e nel mio profondo c’è ancora quell’egoismo che prova dispiacere, si adira contro colui che ha chiesto, ecc. E’ veramente terribile. Tutto l’edificio spirituale crolla…

            Sì, la vita è qualcosa di più dell’arte, della letteratura; per noi uomini la vita è l’unica grandezza, sorgente di tutto.

            Quanto sono felice quando riesco a uscire da queste piccole croci quotidiane e godere pensando a questo meraviglioso ordine del macrocosmo e del microcosmo. La terra sembra sospesa nell’aria e sembrano immensamente lontani quei mondi orgogliosi: tutto vive e bolle. Poi qui ci sono uomini minuscoli che lavorano (ora mietono e legano i covoni), mentre le cicale gareggiano nei campi. C’è quindi l’amore: il ragazzo si gira verso la ragazza che fa finta di non vederlo. Tutto si muove, vive, bolle – ovunque c’è la vita; io invece, come un vecchio filisteo, in questa natura estiva piena di frutti mi adiro con quelli che chiedono qualche corona o fanno chiasso per capriccio.

            O Dio, Dio, sradica in me tutto questo, crea di me l’uomo e non la rana che sempre striscia nel pantano.

            Quando penso che questa vita è solo un’ombra, una ipotesi reale e nient’altro, mi meraviglio soprattutto di me stesso. Quando di sera mi corico e mi immergo in quel grigiore, in quella oscurità, e mi sembra che non c’è nulla in me, mi sprofondo in quello (grigiore) sempre più e cerco ovunque. E non posso trovare niente. Tutto è indeterminato, ed io stesso non so come, (e) senza che io ci pensi, si presenta quel grande desiderio del Pane, di quella piccola Ostia. Allora non so più nulla, la ragione dorme completamente, mentre la mia bocca e tutta la mia interiorità vorrebbe l’Ostia per unirsi ad essa. E davvero non riesco a percepire tutta la grandezza di questo. C’è l’istinto. Poiché ora studio molto, mi osservo in tutte le fasi.

            Fra poco avrò l’esame, sempre però mi accorgo quanto sono lontano dalla perfezione. Cerco sempre di essere il padrone della situazione intorno a me, desidero conoscere gli uomini e osservare i loro atti, come se ciò non mi riguardasse, mentre talvolta si insinua in me una certa piccola paura: la paura dell’esame.

            Che debolezza, quando penso quante generazioni sono morte senza che alcuno le ricordi, ed io rabbrividisco!

            Ho addosso fango, brutto fango. Dovrò lavorare ancora molto per lavarmelo. Perché sono così, se penso che verrà la morte e questo corpo si putrefarà, mentre quello che inconsapevolmente avverto, quella parte spirituale oscura che appena percepisco, diventerà enorme, grande, piena di luce e di prospettiva e occuperà tutto lo spazio?

Slovenska Bistrica, 23 luglio 1916.

            Sono in servizio a fare la guardia. A destra c’è una viva…(parola incomprensibile), a sinistra invece un intero magazzino (come se io volessi ammazzare qualcuno!). Nella cameretta di dietro è appeso un Russo, dal grande volto rotondo e dai baffi gialli. Ha gli occhi celesti. Dice che in Russia non c’è una pena simile. Dio mio, terribile! L’Europa “civilizzata” è ancor più incivile che nei secoli passati. Si parla della libertà dello spirito, dell’individualità dell’uomo moderno, mentre in realtà l’uomo moderno è più condizionato di quello di prima. Perché si rinfaccia tanto al cattolicesimo di soggiogare l’individualità, di imporre i dogmi che devono essere creduti? Eppure questo cattolicesimo rispetta l’uomo che non compie questo, comprende il tormento dell’uomo che è in cerca per tutta la vita, mentre l’Europa moderna tiranneggia lo spirito, lo soggioga, gli comanda, e appena lo spirito si oppone un po’, l’uomo già pende (impicato), oppure è da abbattere – «ist niederzumachen», parola con cui per ogni maggiore (violazione?) termina il Dienstreglement I, apologetica di questo sistema. Molta gente soffre. L’uomo che sa guardare la magnificenza del cielo notturno, dell’universo, che comprende il corso della storia, quest’uomo buono viene legato per un nulla, (solo) perché vuol esser libero. Il mondo civile, moderno si è terribilmente sprofondato; come se sia vicina la fine.

Slovenska Bistrica, 23 luglio 1916.

            (Continuazione dell’analisi di Le crime di Bourget).

Slovenska Bistrica, 26 luglio 1916.

            (Presentazione e analisi della commedia Le allegre comari di Windsor di Shakespea­re).

Mürzzuschlag, 15 agosto 1916.

            Dolore, dolore, dolore. O sono malato oppure di nuovo sento la mancanza di compagnia, così non posso ridere di cuore. Sarei tutto felice se potessi come un piccolo bambino piangere o esser allegro ed entusiasmarmi per degli ideali giovanili. Mi tormenta sempre il problema della vita. Mi viene nausea guardando questa vita, eppure nonostante tutti gli sforzi per godere sempre nella religione, non va. Mi sono alzato presto, sono andato alla Comunione e ho cercato di immergermi in questo mistero. Mi sembra di essermi profondamente addentrato in me stesso e in quel mondo. No, non ho visto tutto, ma come in una nebbia mi sembra di aver percepito quelle norme, quel qualcosa che tutto muove, e dopo di questo la Madonna col Bambino e inoltre Quello più grande, che unisce insieme nell’Ostia tutto quello che ho percepito.

            Questi sono solo attimi, e la convinzione di poter trovare la soddisfazione piena in un monastero non si è realizzata. Dopo di che una costante inquietudine mi spinge: sento semplicemente che dev’esserci Qualcosa che mi soddisfi.

            Sono conscio della mia debolezza, della mia dipendenza. Mi meraviglio che una volta potevo entusiasmarmi per l’arte e cose simili. Mi sembra questo un illudere me stesso. La vita è al di sopra di tutto e io non so vivere né trovo felicità nella vita. Ecco, cerco la soddisfazione, ma se penso a un lavoro, alla creazione di una qualunque opera d’arte mi viene il pensiero che questo non è niente. Quando l’uomo crea sembra sopravvalutare se stesso, mentre in realtà è terribilmente limitato, legato alla società e, quel che è peggio, al proprio genus.

            Quanto volentieri mi abbandonerei all’amore, conscio che esso serve alla propagazio­ne dell’umanità, quante volte mi propongo di non guardare una ragazza, pur di non avere un pensiero di fecondazione, eppure tutto mi attira a vedere un bel volto e a parlare con una giovane. E questo mi fa soffrire terribilmente. So che nemmeno una donna mi procurerà soddisfazione, eppure una forza vulcanica mi spinge verso di lei. Quel che mi ripugna negli altri, la dipendenza degli altri alle sigarette, lo vedo in me. Provo ribrezzo nel sentir parlare i colleghi in maniera sensuale sulla donna, eppure la stessa cosa è in fondo all’anima mia. Come Whitmann sento il desiderio di unirmi alla ragazza. Faccio schifo a me stesso, non so nulla, tutto è per me un punto interrogativo. Ci sarebbero altre cose da dire in merito alla mia sincerità. Sono un po’ innaturale, ecc.

            Devo trovare una compagnia femminile e forse troverò di nuovo l’entusiasmo per la vita e per l’arte, forse anche scomparirà quel pensiero sensuale.

            Dolore, dolore, un atroce e tetro dolore mi ha preso.

Sabato, 26 agosto 1916.

            In me c’è un’eterna lotta, un’eterna fame. Sempre cerco la verità, mi rallegro quando scopro qualche nuovo pensiero. Sì, è grande questa gioia, solo che non trovo questi pensieri.

            Ad ogni modo è interessante l’ambiente in cui vivo. Preferirei chiamare tutti accattoni, in un senso cattivo. Tutto il giorno (queste persone) chiedono qualcosa l’uno all’atro, e il problema delle sigarette dimostra in fondo quella grande debolezza dell’uomo moderno (anch’io sono tra questi – mea culpa). Si vede proprio quella umiliazione e quel senso di fragilità di chi chiede tutto il giorno… Poi durante i pasti si nota quel grande egoismo: ciascuno prende senza riguardo per gli altri. Anzi, ho visto come quelli che spesso hanno fame sono avari, se qualcuno chiede a loro qualche cosa. Poi i tipi come W. che nella loro vanità infantile fermano il collega-Gefreiter per non aver salutato.

            A dire il vero, io non sono migliore: sì, mi sono fermato qui perché non so che cosa dire. Io non riesco a dire i miei peccati, sebbene ogni momento senta di peccare.

            Precedentemente ho dimenticato di menzionare la mia conoscenza con Stipe Filipović. Mi interessa molto. Poi la salita a 2000 metri d’altezza, su Rax, nella meravigliosa natura montanara, dove i venti si scontrano e le valli sporgono terribilmente. Cammin facendo, ho incontrato Jagić2 e Rešetar.3 Questi slavisti parlano di «Personenzug» e usano una infinità di parole straniere. Anzi Jagić voleva viaggiare in terza classe.

            La questione più importante per l’uomo è il problema della morte. E questo deve ora interessarmi più di tutto perché già fra due mesi potrei essere lontano dalle speranze di questo mondo.

            Ora in verità vedo che la mia vita non ha una base solida. La mia ideologia sulla vita futura me la sono fatta sulla futura felicità terrena, quindi ora non riesco immaginare che fra poco potrei cadere. E questo pensiero talvolta mi induce a riflettere sulla necessità di pensare più spesso alla morte, per essere preparato ad essa in ogni momento. E che cosa è questa (morte)? (Gli Italiani fanno chiasso, per cui non posso concentrarmi!). Così la immagino: vado al fronte, mi colpisce una pallottola durante l’attacco (o Dio, chi attaccherò io: è terribile la potenza che inesorabilmente spinge l’umanità in queste sofferenze) ed io cado morto. Così cessano tutte le speranze, tutti gli ideali, mentre la terra e le stelle continuano a girare vertiginosamente. E l’anima? Devo smettere di scrivere, sebbene in certi momenti io veda quel meraviglioso passaggio da questo mondo terribilmente limitato in quella lontana distesa. Di questo un’altra volta.

            Non mi sono ancora completamente calmato dal punto di vista sessuale, mi sembra però di aver già superato il male di Whitmann. Egli, come anche Rodin, ha capito molto superficialmente questo mondo materiale e la sua psiche. E’ un fatto che tutto ciò che esiste ha una ragione, però non tutto è buono. Egli gode in questa meravigliosa armonia della natura…, nella bellezza del corpo umano ecc., egli però così dimentica un mondo completamente diverso e molto più grande: il mondo dell’anima umana e di tutto quanto essa comprende. Sì, per Whitmann non esiste l’immoralità: dia però uno sguardo alla psiche degli uomini che si tormentano, che soffrono, alle lotte spirituali di quelli che hanno perduto l’innocenza, e vedrà che questo istinto sessuale non costituisce l’essenza della vita dell’uomo, e che la natura non è una sfinge che nasce da sola ma che in fondo ad essa c’è il Creatore che dona la vita all’anima delle cose (S. Agostino). Secondo lui la vita sessuale è tutto, la scienza, l’arte, tutto è subordinato. Sì, una volta cercavo di godere nella bellezza fisica di una ragazza, nella pienezza della sua salute, e ho vissuto in me dal bacio fino all’atto di fecondazione… Si, anche questo appartiene alla vita, però cosa sarebbe se pensassi a questo atto sessuale ogniqualvolta passo accanto ad una bella donna… Questo porterebbe alla rovina non solo me e interi Stati, ma anche la stessa morale. Che stato sarebbe questo, se tutti gli uomini, incontrandosi, pensassero solo a questo; questo offenderebbe l’orgoglio innato dell’uomo che si oppone ad essere considerato un animale. Anzi, quel mondo che sta dietro a questo sensibile, è quello vero e molto più grande; questa vita esteriore è solo un simbolo di quella spirituale.

Lebring, 10 settembre 1916.

            In questa vita militare salto da un ambiente all’altro, per cui cambiano anche i miei interessi spirituali. Mi sembra che lì a Bistrica ero stao invaso da un sano pessimismo: mi sono convinto che il dolore è l’aratro che ara l’umanità e che la vita è sorgente di tutto. Sì, la vita di ogni individuo, la (sua) volontà che sottomette a sé ogni vena del corpo affinché questo (sia) in armonia con tutto l’universo e con quello Spirito che tutto muove. A Mürzzuschlag ho studiato Whitmann e Sant’Agostino perché mi interessavano i problemi della vita, specialmente perché ero tormentato sessualmente. Adesso sento una stagnazione nell’anima, perché mi trovo tra gli uomini e vado a zonzo tra le baracche come un filisteo solitario.

            Mentre Arnautović parla, io scrivo questo. Qui vivo abbastanza stranamente. Sono venuto in mezzo alla gente e mi sento come Nježdanov. Ecco, ora ho il compito di guidare 500 uomini, avrei quindi l’occasione di «aiutare la gente». Non so che cosa cominciare con loro: non mi va di fare del moralismo, e d’altra parte non trovo opportuno fare dei corsi per analfabeti. Ecco, dialogo con loro, essi mi raccontano le loro sofferenze, ad alcuni faccio vedere come devono scrivere.

            La mia vita spirituale è lacerata. Leggo Carlyle, vedo che è un profeta del XIX secolo.

Banja Luka, mercoledì, 20 settembre 1916.

            Come passa il tempo! Tutta la vita è lacerata, non riesco a raccogliermi da nessuna parte. Non posso scrivere una frase completa, tanto meno riflettere seriamente su qualche cosa. Il fatto stesso che mi sono confessato il sabato e domenica non ho fatto la Comunione dimostra quella lacerazione che sperimento nell’anima. Per di più è stata inopportuna la lettura della Fame di Hamsun con alcuni passi troppo erotici. Avevo bisogno di qualcosa che mi unisse l’anima all’Unico e la elevasse e non lacerasse costringendomi a sperimentare la sensualità e combatterla per l’ennesima volta.

            Anzi questa vita familiare mi fa schifo. E’ una tremenda tirannia. Ci si alza tardi – contro la natura -, si mangia continuamente e si vive ogni giorno ugualmente come una macchina. Invece quando sono solo, anche se ho fame, sento almeno di dominare qualche cosa, di lottare e di avvicinarmi sempre più alla Perfezione. Lì almeno l’anima vive e contempla mentre qui non sento così chiaramente la differenza tra il corpo e l’anima.

            Faccio schifo a me stesso quando penso in che modo ho parlato con Zora,4 sempre avevo voglia di toccarla mettendo palma nella palma della mano… Strano, sentivo accanto a me piuttosto una femmina; non ho nemmeno pensato che anche lei ha gli stessi interessi spirituali come me, che preferisce essere libera, che desidera studiare, che la interessano le scienze naturali, l’arte ecc. Oh, quanto l’ho offesa!

            Sì, la vita vale più di tutti i libri. Qui so analizzare tutte le specie di amore e la sua essenza, però quando vengo a contatto con le donne mi comporto secondo i pregiudizi di questo ambiente meschino…

            Come ho detto, ho letto la Fame di Hamsun, una novella moderna che ha messo in subbuglio il mio sangue infelice. Capisco che Hamsun presenta l’uomo moderno  – se stesso -con tutte le sue debolezze, quindi scopre qualcosa della vita sessuale come un fattore molto importante. Tuttavia dagli effetti deduco che questo non è adatto per noi uomini comuni. Un bell’atto di Tiziano non mi tocca affatto, ma la più piccola descrizione di queste cose – come notai – mi mette in agitazione. Bisogna anche tener conto che non ci sono molti lettori puri.

            Hamsun nelle sue opere, quindi anche in questa, descrive sempre se stesso – l’uomo moderno. La Fame è solo un estratto, una piccola scena di questo grande romanzo dell’uomo moderno. Vi è presentata la psiche di questo ateo nei momenti di fame e di follia, che è conseguenza della fame. Pare che questo sia un’analisi psicologica scientifica – un po’ secondo il gusto di Dostojevski – in cui sono presentati tutti i momenti della vita di questo giornalista che deperisce per la fame, scrive opere drammatiche, ruba cinque corone, si mostra orgoglioso, istintivamente vuole violare una ragazza e alla fine, dopo tante sofferenze sovrumane, si reca al mare in cerca di fortuna… Le analisi psicologiche di tutte le fasi della fame, della stanchezza, dell’abbattimento psichico sono fatte con mano d’artista. Però quella scena con Ylajali poteva essere semplicemente omessa, mille volte più facilmente di quei passi sospetti in Une vie. A dire il vero, neanch’io so se questa scena andava omessa. Hamsun ha fatto veder come l’amore è una forza del tutto indipendente dall’ambiente, dall’aspetto esterno ecc. Ylajali si è innamorata di lui e basta…

            Penso che questo amore sia troppo sensuale: nella vita mi sarebbe nauseante. La donna non è solo per l’amore, anch’essa è «animal religiosum». Basta pensare alla grandezza spirituale delle suore e al loro grande lavoro.    

Banja Luka, 21 settembre 1916.

            (Continua l’analisi della Fame di Hamsun).

            Questo è un romanzo psicologico o meglio patologico, perché mette in evidenza l’animo ammalato dell’ateo moderno, nella cui testa c’è tutto un brulichio di sentimenti, di ricordi, di rimorsi di coscienza, di rabbia istintiva, di una critica insensata di sé. Qui si vede come la fame è una forza che uccide più l’orgoglioso uomo moderno che non un umile…

Pécz, 22 ottobre 1916.

            In questo tempo sono stato una settimana a Lebring e, avendo ricevuto quattro settimane di congedo, una l’ho passato a Banja Luka, una a Vienna ed eccomi ora qui da una settimana.

            A Vienna avevo preso le dispense per studiare il diritto romano, quand’ecco è venuto qua Kranjc e ha convinto mio padre che è una sciocchezza costringere qualcuno a un determinato studio. Ebbene, il padre si lascia convincere, ma con la mamma ci sono ancora molti fastidi: non vuole rinunciare ai suoi pregiudizi sulla filosofia. Secondo lei i filosofi sono uomini che camminano curvi, con le scarpe vecchie impolverate, con bastoni gialli e sempre con la mantellina. Ma la cosa è fatta: prenderò romanistica e germanistica e come materia secondaria il croato.

            Ancora provo gran pena nell’anima; questa vita da macchina: mangiare, dormire e vagare senza meta e senza pensieri. Nell’uomo c’è il desiderio di creare, di impegnarsi per una cosa intorno alla quale, come intorno al nucleo di un minerale, tutto il resto si concentra. E non così: chiudo gli occhi, rifletto sul processo del pensare e cerco di immergermi in quel mondo, cerco il passaggio, la differenza tra i due (mondi). Poi osservo questo meraviglioso universo, come tutto è sospeso e gira vertiginosamente, come tutto si muove in questo vuoto; poi mi assale la paura al pensiero dell’inferno; ad un tratto sento come questa vita è niente, solo una fase transitoria verso quella duratura, dopo che ci siamo liberati da quelle cose che bollono sempre in noi e siamo passati in quell’altro mondo; per ora mi sembra una prospettiva abbastanza oscura, ma molto profonda – allora comincia quello giusto. Pensando a questa transitorietà, non ho voglia di nessuno studio, di nessuna letteratura, di nessuna ragazza, di nulla affatto. Forse solo una vita ascetica, monastica nell’adorazione dell’Eucari­stia rende soddisfatti. Il resto no, mi sembra.

            Come potrei essere felice, ad esempio, nel raccogliere i quadri d’arte e cose simili, mentre tanta gente ha fame. Come potrei desiderare di vivere solo nella mia cameretta se così inganno me stesso, non frequentando la gente, non guardando le loro sofferenze e non conoscendo la loro psiche. Quale diritto ho di godere nell’arte e in tutto questo se la lotta per il pane, la vita in tutta la sua singolarità, con tutte le sofferenze, sconfitte e vittorie è la sorgente di tutta la poesia, anzi è necessaria, se vogliamo capire questa vita come preparazione, come una fatica il cui premio è – il Grande. Non so, devo uscire da questo dilemma, mi sembra che la cosa migliore sarà un compromesso. Infatti, in questa piccola armonia che si chiama civilizzazione, cultura, o diversamente, è certamente nostro dovere occuparci della conoscenza. Forse la conoscenza è buona e cattiva, l’anelito all’Eternità, il fine dell’umanità. Quindi accanto al fine materiale della vita e al sostentamento degli uomini, ognuno ha il compito di cercare – nel suo ramo – la conoscenza. In una professione più, in una meno, penso però che ovunque il dolore sia la sorgente di tutto. Dove non c’è questo, penso che il frutto, se non è cattivo, è almeno inutile, perché non è in armonia con il fine della vita. Ogni lavoro dev’essere in armonia con l’idea di Tutto.

            A Vienna ho visto Rheingold di Wagner, i Kameraden di Stridberg e nell’Urania ho ascoltato «Wiener Volksmusik». Non ho capito bene Rheingold, perché non  ho potuto leggere il testo, tanto meno prepararmi.

            (Segue l’analisi di Kameraden di Strindberg).

            Ho finito di leggere Carlyle, Helden. Heldenverehrung etc. (Eroi e il loro culto). Condivido la sua opinione sulla storia fino a Lutero, e quasi sempre le sue idee in genere. Ma questo è secondario. […]

            Per lui anche Lutero è un grande uomo, a causa della sincerità con cui ha lottato. Come anche Maometto, contro l’idolatria (Tetzer). Il sincero Knox, il religioso Cromwell, tutti grandi uomini. Riconosco tutto, penso però che san Francesco d’Assisi e alcuni missionari che hanno convertito milioni di uomini sono eroi molto più grandi… La loro vita ascetica è un eroismo più grande di tutte le vittorie di Napoleone. E infine, perché non ha preso in considerazione Hus? forse perché questo è più grande di Lutero. E Cristo? Certamente l’ha passato sotto silenzio, perché non si sentiva all’altezza di parlare di lui.  Devo conservare questo libro e aprirlo spesso. Ha veramente delle idee meravigliose; tutto è sistematico e ben ordinato…

            Domani vado di nuovo a casa. Dovunque c’è la fame, solo qui c’è tutto in abbondanza. Molte moschee trasformate (in chiese). La chiesa all’interno è molto bella. Stile romanico, quattro torri. Tre navate e in mezzo alla chiesa l’altare, così che il popolo  sta intorno. C’è molto marmo… Tutte le arti sono unite come in un accordo. Ci sono anche statue antiche… La cosa più interessante è la visione ingenua del mondo nel medioevo, per esempio i tre Re Magi dormono in un letto, le teste sono l’una sopra l’altra, naturalmente dormono con le corone in testa. Bisogna ammirare il medioevo: c’erano tante opere d’arte imperfette, prodotte dal cristianesimo, eppure la gente credeva così profondamente, mentre noi uomini moderni, che ogni giorno guardiamo opere quasi perfette della religione, (che sono delle) conferme in quasi tutti i campi della loro veridicità, non crediamo quasi. I giornali, le ferrovie, le città sono colpevoli di tutto questo. Siamo troppo lontano dalla natura, non guardiamo e non capiamo quel «miracolo palese», come dice Carlyle.

Banja Luka, 31 ottobre 1916.

            Una vita strana: sto leggendo tutto il giorno Le Cabinet des intrigues di Balzac, al fine di imparare bene il francese. Ho finito di leggere Utva zlatokrila di Nazor, un poema epico romantico-idilliaco non riuscito. Dei difetti scriverò un’altra volta.

            Con Jusuf sono andato alla Medresa. L’imam è giovane, conosce bene l’arabo. Però con tutta la sua religiosità e ingenua bontà non può essere come un nostro chierico. Fuma abbastanza, poi si congeda e dice semplicemente che va a fare la corte.

            C’è un Arabo, dagli occhi neri bellissimi, uomo anziano. Sta seduto per terra e prepara il tè su un suo apparecchio. Parla male il croato per cui l’ho capito poco. Dall’aspetto sembra un filosofo, perché ricorda sempre la morte e medita sul mistero della vita.

            Piccola Greta, dove sei?

Lebring, 11 novembre 1916.

            Piangerei dall’amore. Amaramente. Oh, piccola Greta, potessi vederti, per essere insieme e insieme piangere, tanto, tanto, tanto. Dove sei? Vieni perché possa vederti, mostrati! Non so che cosa chiedo a te. Sono già lontano da ogni sensualità e so perché c’è l’amore, tuttavia l’anima mia cerca te, ha bisogno di te; si sprofonda nel buio, desidera te e piange lungo la strada. Dove sei, piccola Greta? Potessimo essere insieme e piangere a lungo, a lungo, a lungo.

            Stanotte ho sognato lei; eravamo insieme, nella camera per ospiti mi ha raccontato la causa della sua morte. Oh, perché hai fatto questo? Dio mio – dice che qui non aveva l’occasione per unirsi a Dio… Povera Greta, quella fredda lapide con l’iscrizione Grete Teschner – nome orribile e sulla piccola lapide, dove appena qualche fiore spunta – e qui tutto quello che è rimasto di te?… Dio sia con te!

            Adesso bisogna andare di nuovo in quell’aria torbida, su quel campo bagnato e addestrare quei poveri uomini: padre e figlio insieme. Orribile! Come gli uomini hanno guastato la vita! Così muore una generazione dopo l’altra.

Seewiesen, 23 novembre 1916.

            L’altro ieri è morto l’imperatore. R.I.P.

            La vita è la sorgente di tutto: il dolore è l’essenza più necessaria della vita. Esso solca profondamente l’anima e documenta la sostanza dell’etica. Dove non c’è dolore e dove tutto è sazio, proprio lì si vedono nel modo più chiaro gli errori etici. Nitsche e simili. E’ facile teorizzare sulla forza dell’individuo a cui devono sottomettersi i più deboli, quando tale individuo non è minacciato da alcun pericolo…

            Sono fuori tema: voglio quanto prima registrare il racconto di un uomo moderno. H.S., un lirico elogiato ecc. ecc., conoscente di Jörgensen e di altri grandi uomini, un propugnatore di pace (non è stato sul fronte!), social-democratico (scrive nei fogli cattolici), il quale trova la causa della guerra in alcune persone singole (Processo Krupp ecc.). Ieri, mentre eravamo a letto, ha cominciato a raccontare la storia dei suoi amori e, in relazione a questi, la genesi delle sue opere artistiche. Non mi è permesso di ripetere le sue parole, solo devo ricordare varie perversità sessuali dell’antica Roma. Anzi, nella misura in cui nel frattempo la cultura si è sviluppata, nella stessa misura, se non ancora di più, sono diventate più raffinate le stimolazioni sessuali. Secondo lui, tutte queste stimolazioni sono effusione d’amore… Non so se sia lecito descrivere queste perversità: sono convinto che neanche Noldin le conosce. […]

            Mentre ascoltavo queste descrizioni dell’«effusione d’amore»,… mi veniva in mente che egli stava descrivendo sua madre, mia madre o quella di chiunque, sua sorella ecc. Sono rabbrividito. Mio Dio, come l’uomo può cadere così profondamente… diventare una belva, un bruto e null’altro. Non solo lui, ma tutta la società moderna è così. Non c’è parola del matrimonio, della maternità, esiste solo la cosiddetta visione ottimistica della vita, la comprensione e la bellezza della vita e, come massima espressione di questa, quelle «effusioni d’amore». Da questo racconto ho avuto un’immagine compatta, proprio poderosa della nostra società, a partire dalle semplici signorine delle città, con gli occhi bassi, fino alle aristocratiche piccole donne «ben lavate», che non sono accecate dalla «religione positiva, che è una sciocchezza», ma hanno aperto gli occhi e compreso il senso della vita. Intorno a me tutto è simile…

            Sì, questa era l’anima di un uomo moderno che vuole riformare la società.

            Still ruhn oben die Sterne,

            Und unten die Gräber.

            Non sanno forse che esiste l’universo, così grande e meraviglioso, e che Colui che ha ideato tutto questo è più grande di tutto ciò… Sì, sì, egli morirà, scomparirà con tutti i suoi amori…

Seewiesen, 26 novembre 1916.

            Ieri uno è precipitato ed è rimasto morto. Oggi ho fatto la Comunione e in questa occasione mi sono convinto che tutta la storia è scritta col sangue, che tutti i valori culturali sono frutto del dolore. La religione è nata  ed è necessaria a causa del dolore: il dolore salvava l’uomo dall’ignavia, esso gli inculcava sempre il timore dinanzi ad un dolore sconosciuto e più grande.

            Chi vuol capire la cultura, deve aver sofferto, non solo spiritualmente ma anche fisicamente. I signori tecnici, che stanno seduti nelle loro camere calde, possono burlarsi di tutto e negare l’esistenza di Dio; facciano però un passo nella vita e provino a soffrire fisicamente e spiritualmente e allora dicano se è sciocco stare in una chiesa fredda e guardare le «smorfie» di una messa recitata. Anche qui si sta pazientemente e si comprende che il dolore è necessario e che non è niente di fronte a Cristo, il quale ha dimostrato che questo non è nulla riguardo all’eternità.

Seewiesen, sabato, 9 dicembre 1916.

            Sto passeggiando nella mia camera, mangiando il cioccolato. Camminando penso come siamo schiavi della carne noi uomini. Sempre cerco di iniziare una specie di vita ascetica, di mangiare solo tre volte al giorno e di non pensare al cibo fuori dei pasti eppure, appena so che ho qualcosa nella valigia, prendo e mangio. Naturalmente trovo sempre una scusa. Poco fa è entrato S. E’ arrivato solo alla mela.

            Ecco, siamo terribili noi uomini; tutto in noi si aggira intorno alla carne, invece di fare queste cose meccanicamente e riflettere sempre sulla grandezza del creato (Schöpfung) o almeno percepirla e con occhi aperti guardare quelle forze che muovono la vita. Dico a me stesso queste cose e sono convinto che domani farò gli stessi peccati.

            Andiamo di nuovo sugli sci. […]

Seewiesen, 17 dicembre 1916.

            Sono convinto che tutto ha uno scopo, questo lavoro e le mie piccole sofferenze. Attraverso il dolore l’uomo vede tutto diversamente e comprende più profondamente l’amara parola: vita. Questo pensiero mi viene confermato da (Tommaso da ) Kempis (De imitatione Christi, II, 12): «Ecce in cruce totum constat, et in moriendo totum iacet», e da molti passi del Vangelo, come ad es. Luc. 9, 23: «Dicebat autem ad omnes: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me», e anche queste parole molto commoventi (Luc. 9, 58): «Dixit illi Jesus: Vulpes foveas habent, et volucres coeli nidos; Filius autem hominis non habet ubi caput reclinet».

            Quanto queste parole mi richiamano in mente questo tempo di guerra, in cui gli uomini soffrono come Cristo, e non dovrebbe essere così. Tutto ciò avviene a causa degli uomini cattivi che negano l’alloggio, che prorogano la guerra. Mi sembra che così debba essere sempre, perché Cristo dice «tollat crucem suam quotidie», e il mistero di questa vita consiste nella continua pena e sofferenza. Sì, io posso facilmente parlare così stando in una camera riscaldata, pieno di soldi e zeppo di cibo, ma la vita significa anche quella invisibile, spirituale, senza alcunché di transitorio (Luc. 9, 3: «Et ait ad illos: Nihil tuleritis in via, neque virgam, neque peram, neque panem, neque pecuniam, neque duas tunicas habeatis»). Sì, il dolore è il succo della vita, esso la domina ed è promotore della religione. Dove non c’è il dolore, possiamo essere convinti che non c’è la vera vita. Il dolore, questa parola così comune, significa non aver pane, essere ammalato, essere sempre in pericolo di morte, portare un gran peso, essere ingiustamente messo da parte e punito: tutto questo è dolore, tutto questo crea la storia e, dopo vari dissensi spirituali, fa ritornare sulla retta via una parte dell’umanità.

            La maggioranza degli uomini soffrono, chi più, chi meno, ma la sofferenza c’è sempre. Se questa non ci fosse, semplicemente non potremmo capire che gli uomini vadano nei templi, in questi luoghi freddi e bui, per pregare. Sì, sono spinti dalla vita, dalla sofferenza, la quale dice loro che il corpo non è nulla e finirà nella tomba, e istintivamente percepiscono che con ciò viene anche il premio. Proprio gli uomini che hanno sofferto sanno che cosa è il dolore, la sofferenza. E’ una cosa terribile. Essi hanno paura già di questa sofferenza in questo mondo e molto più quando pensano alle tremende sofferenze nel purgatorio o addirittura nell’inferno. Sì, queste parole suonano strane per chi non ha provato un dolore di lunga durata, che non lo lascia nemmeno nel sonno e lo perseguita come un fato. Sì, l’uomo che come Prometeo vorrebbe rifiutare il rispetto ad una forza superiore, viene ricondotto alla religione dalla sofferenza e dalla viva consapevolezza, potenziata dalla sofferenza, dell’altra vita.

            Quindi amo questa generazione perché ha sofferto ed ha capito che la vita è una cosa seria e non un giocattolo, e che vivere significa combattere. Sì, amo i nostri combattenti (guerrieri), perché hanno compreso la vita. Questa è una generazione nuova e profonda; la vita non è più qualche cosa di istintivo; l’arte e la scienza ricevono un nutrimento profondo. L’universo non è più una macchina che gira senza scopo, l’uomo non è un prodotto del caso, tutto ha senso, tutto è ordinato e bene calcolato. L’uomo passa attraverso la natura, questo «miracolo palese», come dice Carlyle, ammira tutto ciò che lo circonda e viene preso da un sacro timore di fronte a queste opere grandi e meravigliose, si prosterna e prega umilmente. Questa umiltà – il fiore mistico – è frutto di questa guerra: l’uomo conscio della propria debolezza, consapevole che in ogni momento può morire, attende il destino come un bambino ignaro.

            E’ nuova quest’epoca, con uomini nuovi che stanno vivendo una grande vita. Sì, la vita è la sorgente di tutto: rispetto al «savoir vivre», sono secondari l’arte, la scienza e tutti i prodotti dello spirito umano. La vita è la loro sorgente e il loro alimento. I grandi uomini sono la sorgente inesauribile della poesia e sono portatori della storia. Di questi grandi uomini ce ne sono stati relativamente molti; essi hanno creato le ricchezze culturali di cui noi usufruiamo. Pertanto faccio un memento a me stesso e a tutti: viviamo una vita profonda e grande e ogni momento siamo consapevoli della nostra reale esistenza e non poniamo resistenza a quest’armonia che regna nell’universo. Il corporeo non è la vera vita; la vita è quell’oscuro, invisibile, pieno di profondità e di prospettive, che in certi momenti si fa largo perché sentiamo quell’altro grande mondo, quelle forze che irresistibilmente agiscono muovendo tutto questo. E proprio per poter immergerci in questo universo infinito, per poter osservare più oggettivamente la vita esteriore intorno a noi, dobbiamo annientare in noi ogni passione e anelare alla vita ascetica. Chi ha tentato almeno un poco di perseguire questo obiettivo, vedrà – con grandi difficoltà – il mondo circostante in una luce del tutto diversa, avvertirà quei fili segreti del peccato che si intrecciano nella società moderna e giocano con essa, come il gatto con il topo… Più la nostra vita è ascetica, più quelle voci misteriose ci introducono nel mistero dell’esistenza.

            «Habe nun, ach, Pfilosophie, Juristerei, und Medizin, und, leider, auch Theologie durchaus studiert mit heissem Bemühen» ecc. Caro Faust, tu potevi studiare molto di più, mai però per questa strada giungerai al «seme che regge tutto». […]

            Il lavoro di Faust è un lavoro di cervello che …, alla fine, deve arrivare alla conoscenza della Divinità, ma questo è piuttosto una «grigia teoria». Goethe doveva mandare Faust al fronte ed egli certamente sarebbe tornato con una più profonda visione del mondo. E’ facile morire prendendo il veleno dall’antica fiala, ma è difficile sopportare le sofferenze  fisiche e convincersi che la guerra e il dolore sono il colore di fondo della storia e del progresso, che il dolore ha messo in piedi milioni di uomini e distrutto i troni, che la sofferenza di Cristo ha mostrato all’umanità il senso fondamentale della vita e ha creato la Divina Commedia: il saggio Faust dovrebbe rendersene conto.

            Ancora una volta: quando sarà finita questa querra che crea uomini grandi (delle sue conseguenze negative bisogna dire qualcosa in un secondo momento), non dobbiamo ritirarci nelle nostre camere calde e accanto al bicchiere di vino raccontare gli avvenimenti eroici. Sempre dobbiamo aver presente la transitorietà della vita e che questa è solo una piccolissima fase nell’eternità. Cerchiamo di addolcire con la vita ascetica questo breve periodo; giuriamo, come i Trappisti, che lavoreremo alla nostra perfezione, e siamo certi che compiremo anche grandi opere.

            E’ facile scrivere, ma è difficile fare. E’ terminato il giorno del compleanno di Greta 1916.

            Oggi compi vent’anni. Dio mio, come sei bella e sana. Dovresti sposarti. Forse hai già trovato il marito, ed io poveretto, come quell’eroe in Immensee, vengo a trovarti e sulle tue fragili mani leggo che mi ami ancora. E chi altro?! Ricordo che – dopo il chiasso della compagnia degli ufficiali – dicesti a tua madre che preferivi me a tutti gli altri – me, ragazzo sedicenne, che non pensava affatto all’amore, ma istintivamente si arrendeva (forse anche troppo) a questa forza ignota. Se ti incontrassi ora, Greta, non potrei baciarti in quel modo ardente, forse mi metterei ai tuoi piedi e, poggiando la testa sul tuo seno, piangerei silenziosamente. Il tempo ha fatto di me un uomo completamente diverso: questa vita non è più la sorgente di tutte le gioie, ma piuttosto la valle di lacrime. Sì, piccola Greta, piangeresti anche tu e ti renderesti conto che la vita è un grande segreto che finisce in quella tetra tomba.

            Oh sì, tu ci sei già, forse sei già decomposta. Tutto è passato, come se non fosse esistito. O Dio, abbi pietà, come è terribile ciò! Perché tutto va in rovina, scompare, perché periamo anche noi e le generazioni dopo di noi? E poi lo stesso gioco e di nuovo la morte. Sì, Dio mio, io ti comprendo: la vita – dici – è una prova breve e dura, e chi la supera entra nella vita piena di splendore e di colori.

            Cara piccola Greta, prega per me!

            Alla sera subentrano pensieri profondi e pieni di timor di Dio, mentre con la luce del giorno scompare quella vita mistica e l’uomo quasi perde quel legame misterioso con lo scopo della vita e vivacchia istintivamente, invece di essere consapevole in ogni istante della propria dipendenza dall’armonia dell’universo.

Seewiesen, martedì, 19 dicembre 1916.

            Presentazione e analisi dell’opera drammatica Moć tmine (Il potere delle tenebre) di Tolstoj.

28 dicembre 1916.

            In “Österreichische Rundschau” ho trovato l’articolo del dr. Z. Hadin Der Krieg und die deutsche Mystik. Qui ho trovato frasi molto caratteristiche del Maestro (Eckehart), il principale mistico tedesco (1300): «Tutti voi che meditate, ricordatevi che il cavallo più veloce che vi porta alla perfezione è la sofferenza. Non c’è nulla di più amaro della sofferenza  e nulla così dolce come l’aver sofferto. Il fondamento più sicuro della perfezione è l’umiltà. Poiché si eleva alle più sublimi altezze della Divinità solo colui, il cui uomo naturale (carnale) è stato umiliato fino al livello più basso».

            Questo è solo un’appendice simpatica al Mysterium crucis. Ed è veramente un Mistero.

            Sono ancora stanco del viaggio. La vacanza è stata bellissima, ma è passata presto in quanto non ho potuto vivere tutte le impressioni. Sono state molte le impressioni: la Prima Messa di Bilogrivić, la s. Comunione dai Trappisti e la conversazione con loro, infine, ciò che ha lasciato in me una profonda impressione è un certo sentimento verso Zora, che mi ha portato fino al bacio.5

            Si aprono le vecchie ferite: Mentre passeggiavo lungo l’oscuro viale, mi ha assalito un tale sentimento che l’avrei ricoperta di baci. Ero fuori di me e lei lo era altrettanto. Avvertivo che lei non vedeva l’ora che io lo facessi, sebbene per lei stessa ciò fosse una sorpresa. La donna è sempre passiva. Mi sono reso conto che la donna comincia ad amare quando le si dà l’occasione. Mi ha raccontato della sua solitudine e del desiderio dell’amore e di qualcuno che la sapesse guidare. Infatti non aveva nessuno che la guidasse, nemmeno la vera madre. Per questa ragione, dice, sin dall’infanzia è così chiusa in se stessa, un tempo cercava conforto nella religione e si è circondata con il muro di una certa rassegnazione e dell’insensibilità.

            Sarei disposto ad introdurla nel nostro movimento, affinché lì trovi gioia ed entusiasmo per il lavoro. Però anch’io sono solo un teorico, per cui probabilmente non la accontenterei. Ella è rimasta entusiasta del mio parlare della vita e del mistero del dolore, nonché dei miei, ormai addormentati, progetti circa il dramma solenne croato. Sì, la donna viene conquistata soprattutto quando si convince che il marito conosce una cosa e che saprebbe guidarla. Anche a me piace che ci sia qualcuno che mi comprende e ascolta con fiducia. Non so se questo sia l’amore, penso però che senza i sensi tutto verrebbe meno. Penso che non avrei mai voluto così bene a Greta, se non ci fossimo baciati impetuosamente. Così si doveva arrivare al bacio, solo per dimostrare – anche se per quanto mi riguarda non ci vedo chiaro – che non rifiuto con indifferenza questo sentimento. E’ un grande punto interrogativo se questo sia l’amore; temo che si sia trattato di pura sensualità. Ad ogni modo ritengo che da questo possa svilupparsi l’amore, dipende solo da lei.

            Nell’uomo c’è davvero quella tendenza verso la donna, perciò non voglio negare questo sentimento. E’ strano che si tratti dello stesso sentimento che nutrivo per Greta e che ora ho trasferito su Zora. Proprio questo dimostra che per l’amore ci vuole qualcosa di vivo, corporeo. Non sono ancora certo da che parte andare, se rimanere fedele a Greta e continuare a mantenere con lei un legame spirituale. Per il momento non voglio intraprendere nulla, lascerò che gli avvenimenti si svolgano a piacimento; la cosa principale è conservare l’indipendenza morale.


  1. Kohan i Vlasta, poema epico di Franjo Markoviæ (1845-1914), poeta croato, critico letterario, filosofo e storico.
    ↩︎
  2. Vatroslav Jagić (1838-1923), uno dei più grandi slavisti di tutti i popoli, professore a Vienna, Pietroburgo, Odessa e Berlino.
    ↩︎
  3. Milan Rešetar, v. Cap. IV, nota 7.
    ↩︎
  4. Vedi infra, nota 5.
    ↩︎
  5. In base alla documentazione conservata nell’Archivio Merz possiamo individuare la persona a cui Ivan qui allude. Zora H. era un’amica della famiglia Merz, residente al Petričevac a Banja Luka. Nell’ottobre del 1915 era a Sarajevo, alunna della scuola magistrale e ospite nel convitto delle Suore (scrive che devono pregare 16 volte al giorno!); lì aspettava anche la visita (non sappiamo se sia avvenuta) di Ivan che in quei giorni era a Sarajevo per l’esame di latino. Per il Natale del 1916 avvenne l’incontro a Banja Luka, descritto in questo brano del Diario. Dal fronte Ivan le mandò qualche cartolina e i saluti (cf. cartoline alla madre 15.IX. e 31.VIII.1917); anche Zora, scrivendo a Ivan, faceva salutare la mamma e il papà. Nel frattempo ella aveva terminato la scuola magistrale, ma non aveva potuto subito ottenere un impiego; nel 1921-22 era maestra a Prijedor, dove Ivan le fece mandare dal prof. Maraković un Messale appena uscito in traduzione croata. Non abbiamo altri dati sulla sua vita, ma dalle sue quattro lettere indirizzate a Merz nel 1921-22 abbiamo la conferma di quello che Ivan scrive di lei. Nella lettera da Banja Luka del 22.VII.21. ella scrive: «Io sono come un pezzo di cera di cui ciascuno può fare quello che vuole…Ora so che la salvezza sta nel dimenticarsi e nell’umile e fattiva carità. La carità mi ha toccato il cuore. Ieri al posto di questa lettera volevo scrivere solo la parola: Comprendo. E’ inquieto il mio cuore finché è fuori di te, Signore». E nella successiva lettera da Sarajevo scrive: «Non è necessario che ti dica quanto mi sono rallegrata della tua lettera. Il mio stato attuale è strano. Sento un grande abbandono in Dio; il “Padre nostro” mi rafforza come una bibita rinfrescante ŠrafforzaÆ colui che è sfinito, io stessa però non sono fonte d’amore e di vita che ristori gli stanchi. Se non sono felice è un segno che penso troppo a me stessa, sono pesante a me stessa… A lungo, nello slancio, amavo troppo il dio che mi sono creata io, per poter entrare in un vero contatto con il Dio Creatore, per seguire la via del Dio Redentore. Talvolta penso di essere diventata semplice e di cuore puro; ed ecco, quando comincio a scrivere mi vengono una infinità di pensieri confusi e vogliono soffocare il germe che ha cominciato a verdeggiare… Mi duole di non poter con parole semplici esprimere lo stato semplice: desidero la pace e la purezza di cuore, cerco Dio con fede e fiducia di trovarlo. In questa ricerca mi guidano le tue istruzioni. Ti sono grata per ogni consiglio, ti prego di aiutarmi». Probabilmente dopo aver ricevuto questa lettera, Ivan scrisse al prof. Maraković, il 12 settembre 1921, di mandare a Zora, a Banja Luka – Petričevac, un numero della rivista “Hrvatska Prosvjeta” e aggiunge: “Ella Zora è nello stato di conversione (già prega il “Padre nostro”), pertanto La prego di aiutarla con le Sue preghiere. (Questo rimanga tra noi!)». Nella lettera del 18 gennaio 1922 – l’ultima che abbiamo – Zora scrive: «Tu sei per me quello che è la coscienza». Descrive quindi le proprie disposizioni interiori a seconda che si sente fisicamente e psichicamente bene – e allora «molto spesso anche involontariamente comincio a pregare il Padre nostro» – oppure passa i momenti di stanchezza quando «quasi non ho forza di pregare». Pensa che per uscire da se stessa dovrebbe lavorare per gli altri, per gli ammalati, eventualmente in qualche ospedale per i bambini. E conclude: «Ti prego, Hans, scrivimi e informati se è possibile che io passi le vacanze in qualche convento francese occupandomi dei bambini o facendo qualche altro lavoro. Chi sa perché io non posso essere diversa o finora non sono riuscita ad esserlo. Ti saluta calorosamente Zora».
    ↩︎