C a p i t o l o VI
II. Dalle lettere di Ivan Merz a Nikola Bilogrivić
1
Da Slovenska Bistrica, 30 luglio 1916.
Di questa lettera abbiamo soltanto la prima parte, scritta su una cartolina della posta militare (Feldpostkorrespondenzkarte), mentre la seconda parte, scritta su un’altra cartolina, è andata smarrita.
Mio caro Nina (Nicola),
Ben volentieri ti scrivo, e ancor più volentieri parlo con te. Ti scriverei più spesso se fossi meglio disposto e se non mi occupassi tanto di me stesso; inoltre nella mia stanza c’è sempre, ed anche adesso, un chiasso per cui non posso raccogliermi. Avrei molte cose da raccontarti, perché la vita e il proprio “io” sono un eterno libro, molto più misterioso e difficile di qualunque opera filosofica. E la vita: potrei dirti che sei felice perché non vivi tra gli uomini . Solo adesso mi sono convinto che la vita è tutto, fonte dell’arte, della poesia, della filosofia, di tutto. Ma vivere una grande vita spirituale senza il minimo egoismo e senza la paura innata, è la perfezione , fratello mio. Quanto mi rendo conto che sono debole e che non agisco secondo quei principi di cui sono entusiasta! Devo ancora combattere con i pregiudizi che ho assorbito…
2
Da Banja Luka, 2 novembre 1916.
Lo informa che la madre ha acconsentito «tacitamente» ch’egli si iscriva alla facoltà di filosofia, per cui è più contento: quindi continua:
Sempre ascolterò i tuoi consigli, perché mi hai sempre reso contento. Anzi mi piace Scheeben ed io vivrei in quel modo se fossi solo.
3
Da Slovenska Bistrica, 13 novembre 1916.
Caro Nicola,
Ti ringrazio per le tue cartoline. Non arrabbiarti se ancora una volta le chiamo consigli, perché per me tutto l’ordine del mondo, tutta questa bellezza equivale a un consiglio, a fortiori ciò vale per i frammenti – come tu stesso li chiami – di una idea, che è un estratto di quel Genio che governa l’essere.
4
Da Seewiesen, 6 dicembre 1916.
Il 23 novembre 1916, nella prima cartolina al Bilogrivić scritta da Seewiesen, Ivan diceva di aver ricevuto la rivista “Luč” e letto «di quelle interessanti frazioni in cui si spacca il nostro movimento». Ora si sofferma sull’articolo di Petar Rogulja che aveva suscitato tante reazioni nelle file dei cattolici croati (v. Cap. II, 8).
Scritto il giorno di san Nicola, al collega Nicola. Dunque, auguri!
Ho ricevuto la tua trilogia; le precedenti cartoline sono andate perdute. Mi dispiace veramente (è comprensibile!).
Quell’articolo di Rogulja mi ha veramente sorpreso; già da tempo sapevo che ci sono delle differenze e che certe questioni politiche sono entrate nel nostro movimento, dove secondo il mio parere non dovrebbero esserci questioni politiche.
Penso che questa sia la più grande ferita nella nostra storia, che ciascuno è un politico. Altrimenti da dove viene tanta discordia che ha causato il crollo del regno croato, e oggi come un dubbio è penetrata nella nostra vita pubblica? Proprio come un dubbio, poiché continuamente tenta di penetrare nel nostro movimento per corroderlo finché è ancora giovane. Ritengo che bisogna guardarsi da questo più che da tutti i nostri nemici esterni. Il compito principale del nostro movimento…è quello di formare uomini che vivano una profonda vita (che è, come ti dissi, la fonte di ogni ramo della vera cultura). (…)
5
Da Bolzano, 26 gennaio 1917.
Il 28 dicembre 1916 Ivan aveva lasciato al Bilogrivić i propri diari (v. supra, Introd. generale); ora precisa che ciò sarebbe diventato attuale nel caso della sua morte. Prima di questa lettera, Ivan aveva mandato all’amico una cartolina da Bolzano, «meravigliosa città (che) ha una grande libreria cattolica (Tyrolia)». E nella successiva del 19 gennaio gli aveva prospettato la possibilità di continuare gli studi a Friburgo (Svizzera), qualora il vescovo lo lasciasse; a tal fine lo stesso Merz aveva scritto al dott. Marko Rebac a Banja Luka di interporre i suoi buoni uffici presso il vescovo a favore del Bilogrivić. Anche Ivan voleva continuare gli studi in quella università, dove pure intendeva recarsi il francescano con il quale egli aveva stretto amicizia a Bolzano.
Mio caro Nicola,
Ti ringrazio per la tua cartolina. E’ giunta. A proposito del Diario non ho pensato che tu lo richieda ora, ma nel caso della mia morte.
A Bolzano mi è piaciuto moltissimo. In qualche modo ho avuto l’idea di quale era la vita religiosa nel medioevo. Di domenica migliaia di persone vanno in chiesa (francescana!) e fuori. Un vero traffico. Si distribuisce la Comunione in continuazione. Ma sono rimasto impressionato soprattutto quando il giorno prima di partire – era un giorno lavorativo – mi sono recato in chiesa per liberarmi dei miei peccati e per ricevere Colui, il Sommo, che ama tanto noi che siamo deboli. Non me l’aspettavo, fuori era buio, qua e là si vedeva qualche persona imbacuccata che camminava in fretta verso qualche luogo. Regnava il silenzio. Non appena entrai nella grande chiesa barocca, rimasi profondamente impressionato nel vedere tutti i banchi zeppi di persone sedute immobili come spiriti, mentre su tutti gli altari, davanti e ai lati (ve ne sono più di dieci) i frati, con le loro grandi tonsure, nei loro bellissimi paramenti celebrano le Messe. Ora si sente lo scampanellio leggero su questo altare, ora su un altro il celebrante si gira con le braccia allargate e pronuncia sotto voce: Dominus vobiscum.
Non si può descrivere l’impressione profonda che esercita la chiesa, dove nello stesso momento, nel mistico bagliore di molte candele, tante volte si compie questo Mistero dei misteri. In quel silenzio la gente si avvicina all’altare maggiore, dove il sacerdote, vestito con un manto nero merlettato, distribuisce il Pane del Signore.
L’uomo si sente come se si trovasse in un’isola in mezzo al mare burrascoso, nell’isola della vera vita. Da quelle piccole donne che hanno sofferto e capito la sfinge di questa vita emana in questi grandi momenti, quando si trovano piccolissime davanti alla Mensa del Signore, una luce misteriosa soprannaturale che riempie tutta la chiesa di melodie di impercettibili canti angelici.
Non trovo parole per esprimere quale effetto esercita sull’uomo un ambiente positivamente religioso. Qui voglio prendere lo spunto dal tuo pensiero sulla religiosità in Banja Luka. Dici il vero quando affermi che lì non c’è. L’uomo deve vedere altri luoghi veramente religiosi per poter dare un giudizio. Lì, in chiesa, ci sono 2-3 vecchiette che pregano a motivo della vecchiaia, ed è tutto. La gente o non ha sofferto e non comprende – meglio, non sente – quel grande miracolo della transustanziazione, oppure a causa della bestemmia (davvero il nostro più grande, terribile peccato) è talmente affondata nel fango che ci vorrebbe un grande uomo per salvarla.
Prima credevo che il nostro popolo fosse molto religioso, però ho sperimentato che la sua religiosità è piuttosto tradizione ereditata dai padri. Pensa: qui ogni città ha un suo santo, veri santi per la cui intercessione avvengono miracoli. Ne sono rimasto stupito, ma è vero. E da noi? Difficilmente si troverebbe qualcuno di cui si potrebbe affermare che è beato. (Detto di passaggio: molti dicono che Eckert1 è morto come un santo!). E quali sono le nostre chiese? E’ una vergogna. Quando guardo qui: ogni villaggio (anche) il più isolato ha la chiesa che potrebbe ornare Zagreb. Vi si trovano pitture artistiche, un grande organo ed altro.
La nostra gente deve avere tale mentalità a causa dei Turchi. Spesso mi trovo con loro, e quando dalla loro bocca sento certe cose e simili porcherie penso “odi vulgus profanum”. E’ un peccato questo, però sempre mi ritorna in mente questa espressione pagana.
Ho criticato molto gli altri, sono però curioso di sapere quale cattolico pratico sarò io nel sopportare tutte le sofferenze belliche, pur avendo la fede. Spesso ho in mente la morte e, nonostante la mia fede nella vita futura, provo una certa paura. Prega per me, mi sentirò meglio.
Per ora è bello a Santa Cristina, continuo a sciare. Ho fatto amicizia con il francescano «domagojac» (membro del «Domagoj») a Bolzano (P. Venceslav Basta). Non è un frate bosniaco (capias!).
Conserva queste cartoline. Saluti. Hans
6
Feldpost 369, 9 marzo 1917.
L’8 marzo 1917 Ivan confermava a Bilogrivić di aver ricevuto sette sue cartoline. Quanto alla sua situazione aggiungeva: «Fortuna, forse anche troppo grande, di essere venuto qua. Non penso molto, non c’è alcuno stimolo, perché non succede niente». Il giorno dopo gli mandava la seguente cartolina:
Caro Nicola,
Ho capito quello che scrivi tra le righe. Di tutto ciò noi siamo bene informati, quindi ne concludiamo che la guerra non può durare a lungo. […]
Feldpost 605 avevo mentre ero al corso di guide della montagna (Bergführer BTF è il nostro segno) e quindi non ero al fronte. Mi hanno assegnato al Feldpost 369 perché si riteneva che i Bosniaci sarebbero tornati qua – fugiunt -, ma poiché non sono venuti, rimango qui dove adesso per caso si trovano i Dalmati. Per ora non ho alcun lavoro, ma me lo procuro da solo. Visito sugli sci questi bellissimi luoghi e studio (da militare!) queste zone. Spesso trovo i vecchi nidi delle mitragliatrici, “scritte italiane” del tutto crivellate ed altro.
Saluti a Čelik2 e a te. Hans
P.S. Rebac non risponde. Leggi Putem ljubavi (Per la via dell’amore) di Baar.
7
Feldpost 369, (dalle Alpi) 28 marzo 1917.
Caro Nicola,
E’ spuntata una domenica bianca.3 Brillano dal biancore la maggior parte delle zone delle Alpi con le loro cime, valli e forre. Gli abeti dai loro colori verde-cupo si innalzano solennemente verso l’alto e si vantano del loro sfondo color celeste.
Ovunque luce, luce e splendore. Nella valle è stata costruita una piccola cappella, ricoperta di rami di abete, mentre davanti vi è un crocefisso di legno. A destra, sotto i massi neri di fumo ci sono baracche da cui esce il fumo. Davanti alla cappella stanno in ginocchio una ventina di soldati dai volti abbronzati e con mantelli scuri…, mentre ovunque sono il sole, la luce, lo splendore, la bellezza, solo questi uomini sono neri e miserabili…
Viene distribuita la Comunione. Quella piccola ostia bianca, bianca e splendida, e lo splendore di questa giornata serena va verso questi uomini neri e spossati. Ed essi hanno incrociato le mani sul petto e piegato il capo fino a terra e nel proprio intimo vivono questo Mistero.
Tutta la natura è meravigliosa, in genere tutto è bello e felice, tranne l’uomo. Così soltanto sembra. Oggi la loro anima è più pura e più luminosa di questa grande luce della domenica alpina; tutta questa grandezza della natura è solo un simbolo dell’anima umana. E questo suo misero, compunto e affranto corpo nero non appartiene proprio qua, anch’esso deve perire e venire in armonia con l’altra bellezza.
Io sto bene. Saluti. Hans
- Vedi supra, Cap. II, nota 15.
↩︎ - Čelik Dragutin, sacerdote dell’arcidiocesi di Sarajevo, nato nel 1894, ordinato il 17.III.1916. Dopo la Seconda guerra mondiale fu vescovo-amministratore apost. di Banja Luka (1951-1958). Subì anche maltrattamenti fisici da parte dei comunisti; morì l’11 agosto 1958.
↩︎ - Nell’originale croato la lettera comincia con “Osvanula bijela nedjelja”, il che potrebbe far pensare alla domenica in albis (appunto: Bijela nedjelja). Il 28 marzo 1917, data della lettera, era però un mercoledì, poiché la Pasqua nel 1917 era celebrata l’8 aprile. Ivan invece alludeva al bianco della neve che copriva tutta la regione.
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