L’OSSERVATORE ROMANO – edizione quotidiana – del 22 Novembre 2003 – pagina 1

Il Quaderno de «L’Osservatore Romano» dedicato al beato Ivan Merz

I testi integrali degli interventi alla presentazione tenuti dal Card. Crescenzio Sepe, dal Card. Josip Bozanić, da Mons. Marin Barišić e da Mons. Franjo Komarica

Pagine 6 e 7

L’OSSERVATORE ROMANO – edizione quotidiana – del 22 Novembre 2003 – pagina 6

Il Quaderno de «L'Osservatore Romano» dedicato al beato Ivan Merz

«Ivan Merz – Un programma di vita e di azione cattolica per i giovani di oggi» è il titolo del volume numero 66 della Collana dei Quaderni de «L’Osservatore Romano» (Tipografia Vaticana, Città del Vaticano, 2003 – pagine 102, euro 10,00) scritto dal nostro collega Giampaolo Mattei.

Il volume sul giovane laico — beatificato dal Santo Padre il 22 giugno scorso a Banja Luka — è stato presentato, sabato 8 novembre, nella Sala conferenze della Comunità di Sant’Egidio (Piazza Santa Maria in Trastevere). All’incontro — coordinato dal prof. Mario Agnes, direttore dell’«Osservatore Romano», e presieduto dal Cardinale Crescenzio Sepe, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli — sono intervenuti il Cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagabria, Presidente della Conferenza Episcopale della Croazia; Mons. Franjo Komarica, Vescovo di Banja Luka, Presidente della Conferenza Episcopale della Bosnia ed Erzegovina; Mons. Marin Barišić, Arcivescovo di Spalato-Makarska; il prof. Roberto Morozzo della Rocca, della Comunità di Sant’Egidio. Era presente l’Episcopato croato.

Il prof. Agnes ha ricordato che si tratta del terzo volume della serie «Monografie» dopo quelli sull’eroico Cardinale Alojzije Stepinac (1999) e sui martiri ucraini (2002): «Tre libri — ha detto — sgorgati da tre Pellegrinaggi del Santo Padre». In particolare — ha affermato il direttore dell’«Osservatore» — il Quaderno su Ivan Merz «ci dona il respiro del 100° e del 101° Viaggio Apostolico, ci offre il sapore del XXV anniversario di Pontificato e dell’inizio del XXVI».

Il prof. Morozzo della Rocca ha detto di essere rimasto appassionato dalla testimonianza chiara e radicale di Ivan Merz e ha auspicato la pubblicazione del diario spirituale definendolo una sorta di «giornale dell’anima»: «Ivan è un giovane normale ma coraggioso che non volle vivere per se stesso, ma aspirare a niente di meno che alla santità».

In queste due pagine pubblichiamo i testi integrali degli interventi dei Cardinali Sepe e Bozanić, dell’Arcivescovo Barišić e del Vescovo Komarica.

 

Foto

4 ottobre 1998: entrando nell’edificio della Cattedrale di Spalato, costruito da Diocleziano come suo mausoleo  Giovanni Paolo II imparte una lezione di teologia della storia dicendo: «Qui la storia non stava zitta»

22 giugno 2003: il Santo Padre a Banja Luka presiede la Concelebrazione Eucaristica per la beatificazione di Ivan Merz

L’OSSERVATORE ROMANO – edizione quotidiana – del 22 Novembre 2003 – pagina 6

Un grande missionario

Card. CRESCENZIO SEPE

Prefetto della Congregazione  per l’Evangelizzazione dei Popoli

A conclusione di questo incontro dovrei, anche io, dire grazie. E invece io non ringrazio! Innanzitutto non ringrazio il Prof. Mario Agnes, Direttore dell’«Osservatore Romano», per aver pubblicato questo libro sul beato Ivan Merz! Non lo ringrazio perché doveva pubblicarlo!

Il libro entra a far parte della Collana dei Quaderni dell’«Osservatore Romano» che segna ormai la storia della Chiesa, la storia di questi venticinque anni di Pontificato. I libri della Collana sono come «pietre» poste nel cammino di questo Pontificato del quale la Collana coglie non solo i momenti salienti, ma anche queste straordinarie figure di santità. Penso, in particolare, al libro dedicato all’eroico Cardinale martire Alojzije Stepinac e, oggi, al volume sul beato Ivan Merz.

Il Prof. Agnes doveva pubblicare questo libro perché il giovane Ivan è una delle espressioni più belle dell’Azione Cattolica: come poteva un Presidente Nazionale di Azione Cattolica non cogliere questa occasione?

Non ringrazio Giampaolo Mattei perché doveva scrivere questo libro! Per prima cosa perché Mattei è, anche lui, un giovane cattolico. Seconda cosa perché l’autore ha seguito il Papa e ha potuto cogliere e far tesoro di tutta l’esperienza, soprattutto spirituale, del meraviglioso Viaggio Apostolico a Banja Luka, il 22 giugno scorso. Un’esperienza che ho vissuto anch’io. E, terza cosa, non lo ringrazio perché vedo in questo volume quasi una «autoriflessione»: cioè quello che un giovane, di fronte a questa figura, si può domandare. E lui se lo è domandato, facendosi interprete della gioventù che va in cerca di testimoni.

L’autore ha saputo raggiungere la dimensione profonda dello spirito, che non è solo giovanile ma di tutti, di fronte a un giovane come Ivan che è stato capace di trovare la santità nell’ordinarietà. Perché la santità non è straordinarietà: non è vero, non è teologicamente vero!

La santità è ordinarietà, perché la santità è parte essenziale del proprio essere cristiani. Noi siamo battezzati per cosa? Qual è la ragione ultima, profonda, totale, coinvolgente del nostro essere cristiani? È essere santi. E se non lo siamo è perché non rispondiamo alla nostra vocazione. Ogni battezzato, per il fatto stesso di essere battezzato — e quindi parte di questo Corpo che è Cristo, che è la Chiesa —, deve diventare santo.

Non ringrazio neanche la Casa editrice, la Tipografia Vaticana, perché pubblicando questa Collana, e i libri su queste figure, diventa come un invito a tutte le altre Case editrici a saper cogliere i momenti e le persone nella loro essenzialità. Non si deve continuare a pubblicare di tutto e di tutti. Si devono pubblicare — penso soprattutto alle Editrici cattoliche — queste testimonianze. Papa Paolo VI diceva che noi non abbiamo bisogno di maestri, di dottori, di scienziati, ma abbiamo bisogno di testimoni. E Ivan Merz è un grande testimone. Per cui nessun ringraziamento!

Non ringrazio neanche i relatori — Sua Eminenza Josip Bozanić e le Eccellenze Franjo Komarica e Marin Barišić — perché hanno il dovere di far conoscere che la terra croata è terra di santità. È una santità che inizia dai primi secoli della Chiesa e continua anche oggi. E in questo senso è anche una terra che continua una grande storia, una terra che continua a parlare al mondo.

Se permettete, una riflessione finale. Adesso sì ringrazio perché a me questo libro ha fatto molto bene. Sì, mi ha fatto molto bene questo volume che continuerò a leggere perché è opportuno rileggere queste testimonianze per assimilarle. Dunque continuerò a leggerlo, ma soprattutto c’è una verità che mi prende di questo giovane: la santità non ha età, la santità non ha un luogo, la santità non ha circostanze. Nel senso che a qualsiasi età, in ogni luogo e in ogni circostanza possiamo e dobbiamo diventare santi. Ma, soprattutto, mi ha colpito la dimensione della missionarietà del giovane Ivan. È stato missionario perché ha cominciato la sua missione già nella sua famiglia, dando esempio e convertendo i propri genitori. È stato missionario, è uscito dalla patria e ha testimoniato Cristo in Austria, in Italia, in Francia. La missione è ciò che ogni cristiano è chiamato a vivere nella sua propria esistenza.

Ho detto prima che la santità non ha età, non ha luogo e non ha circostanze: ecco, allora, le grandi figure del Cardinale Alojzije Stepinac e di Ivan Merz — e poi anche la figura del Cardinale Franjo Šeper — che si sono incontrate in gioventù, si sono conosciute nell’ambito dell’Azione Cattolica. Poi ciascuno ha risposto, chiamato da Dio, in diversa misura, però sempre nell’incontro della santità. Ringrazio, dunque, la Chiesa croata, la terra croata per aver offerto alla Chiesa intera una testimonianza di come essere santi oggi.

Infine non ringrazio la Comunità di Sant’Egidio perché è chiamata alla santità, che vive e cammina per la santità, e quindi ha fatto il suo dovere ad ospitarci in questa bella Sala. Alla fine ringrazio tutti voi e soprattutto ringrazio il Signore che, attraverso questi testimoni, ci offre uno strumento per diventare santi.

L’OSSERVATORE ROMANO – edizione quotidiana – del 22 Novembre 2003 – pagina 6

La gioia e il grazie di un popolo cristiano che con la missione risponde all'amore del Papa

Card. JOSIP BOZANIĆ

Arcivescovo di Zagabria, Presidente della Conferenza Episcopale della Croazia

Siamo nel cuore antico di Roma, di fronte alla più antica Basilica dell’Urbe dedicata alla Madre di Dio, con l’animo ancora pieno di gioia e di fervore spirituale: questa mattina i pellegrini croati sono stati accolti a braccia aperte dal Successore di Pietro. Davvero il Papa non si stanca mai di allargare le braccia per stringerci al suo cuore. E noi non ci stanchiamo di rifugiarci tra le sue braccia, forti come quelle del padre e tenere come quelle della madre.

A Roma si viene, pellegrini, per essere confermati da Pietro nella fede e per confermare a Pietro la nostra fedeltà. Come un fiume in piena, la Chiesa cattolica che è in Croazia è accorsa, in questi giorni, a Roma per ringraziare e per «ricambiare» la Visita pastorale che il Santo Padre ha compiuto nel nostro Paese dal 5 al 9 giugno. Una Visita del tutto particolare: è stato, infatti, il suo 100° Viaggio apostolico fuori dall’area geografica italiana. E pochi giorni dopo un altro Viaggio, quello a Banja Luka, in Bosnia ed Erzegovina, durante il quale ci ha regalato un nuovo beato: il giovane Ivan Merz.

Come non rendere grazie a Dio per questi suoi grandi doni? Come non avvertire la responsabilità di essere degni di tale particolare attenzione e affetto da parte del Santo Padre? Coralmente, questa mattina, noi cattolici croati abbiamo confermato la nostra assoluta fedeltà al Papa. Siamo qui a Roma per dirglielo, per testimoniarglielo davanti al mondo a testa alta e a gran voce. Ma la nostra prima risposta ai suoi doni è, innanzitutto, un chiaro impegno di conversione. Dobbiamo essere degni dei doni di amore che il Papa continua a elargirci.

Quanti doni Giovanni Paolo II ha fatto alla Chiesa universale, a ciascuna Chiesa particolare, a ciascuno di noi, in questi straordinari venticinque anni di Pontificato! Stasera siamo qui per «incontrare di persona» uno di questi doni. È un dono che ha un nome e un cognome: Ivan Merz!

Domenica 22 giugno 2003 il Santo Padre, pellegrino nella terra martire di Bosnia ed Erzegovina, a Banja Luka, città natale di Ivan Merz, ha proclamato beato questo giovane, morto il 10 maggio 1928 a Zagabria, a neanche 32 anni di età. È un dono di Giovanni Paolo II ai fedeli della Croazia e della Bosnia ed Erzegovina: dono che, al tempo stesso, supera i confini di questi due Paesi, divenendo incoraggiamento ai laici cristiani della Chiesa intera, perché essere fedeli laici significa avere la vocazione alla missione, quella assegnata da Cristo.

Il libro scritto da Giampaolo Mattei per «L’Osservatore Romano» non è nato «per caso». Questo libro è nato «sul campo», seguendo i passi missionari del Pellegrino Giovanni Paolo II. Si può dire che questo libro porta bene impressi i sigilli della missione apostolica del Papa. Veramente un Viaggio del Santo Padre non finisce mai. Non si conclude con la cerimonia di congedo all’aeroporto. Anzi, inizia in quel momento un tempo di riflessione, di meditazione su quanto si è visto, su quanto si è ascoltato.

In coincidenza con il XXV anniversario di Pontificato, «L’Osservatore Romano» ha voluto fare un dono al Papa: il libro di Giampaolo Mattei su Ivan Merz, pubblicato per la preziosa Collana dei Quaderni diretta dal Prof. Mario Agnes. È davvero un dono dei laici al Papa che ama i laici! È uno scambio di doni, uno scambio di amore che dura da venticinque anni, suggellato stasera qui, davanti allo splendido mosaico che campeggia sul frontone della Basilica di Santa Maria in Trastevere, e nel nome del nostro giovane amico Ivan Merz.

Ivan Merz era un lettore assiduo de «L’Osservatore Romano» e, quando venne a Roma per l’Anno Santo del 1925, volle visitare la redazione e incontrare il Direttore di allora, Giuseppe Dalla Torre. Un cronista del giornale seguì passo passo il suo pellegrinaggio, scrivendo articoli sulle celebrazioni e sull’udienza di Pio XI, «il Papa dell’Azione Cattolica» tanto caro a Ivan Merz.

Non posso qui non ricordare il libro che «L’Osservatore Romano» ha voluto dedicare nel 1999 al Cardinale Alojzije Stepinac, elevato agli onori degli altari dal Papa a Marija Bistrica il 3 ottobre 1998. Ricordo che anche quel libro venne presentato solennemente, nell’Aula Vecchia del Sinodo,  l’8 marzo 1999, con la partecipazione del Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, e del nostro indimenticabile Cardinale Franjo Kuharić, «archivio vivente» — come è stato definito in quella occasione — del tempo di Stepinac e della sua sofferenza per Cristo e la sua Chiesa.

Oggi abbiamo tra le mani un nuovo «anello» di questa «corona» che ci lega così dolcemente, nel nome del Signore, al cuore della Chiesa. Un nuovo libro: «Ivan Merz – Un programma di vita e di azione cattolica per i giovani di oggi». Lo spirito e la struttura ricordano molto da vicino l’ottimo volume sul Cardinale Stepinac. Con uno stile avvincente, fondato su una precisa ricerca storica, l’autore racconta l’avventura di santità di Ivan Merz. Tutti possono leggere queste pagine, anche coloro che non conoscono nulla di Merz, persino coloro che non amano leggere e tantomeno leggere le biografie. A questo proposito è interessante che Giampaolo Mattei (pagina 8) riporti le indicazioni suggerite dallo stesso Ivan (17 dicembre 1918) per la stesura delle biografie dei santi, precisando che, sicuramente, egli non pensava che un giorno sarebbero state applicate anche a lui. Mi ha molto colpito il fatto che l’autore inizi il libro con una serie di domande a bruciapelo: «Ma chi è mai questo Ivan Merz? Che cosa ha fatto di così significativo da spingere Giovanni Paolo II a recarsi in pellegrinaggio nella sua città natale per beatificarlo? Che cosa ha da dire oggi Ivan Merz? Che cosa ha realizzato di tanto straordinario per essere ritenuto un santo? A leggere la sua biografia essenziale non si trova nulla di sensazionale: è un giovane cattolico come ce ne sono tanti» (pagina 13). È vero. È nella sua ordinarietà, nella sua normalità, il fatto straordinario, originale, irresistibile, affascinante. E che il suo ruolo sia fondamentale si comprende anche da una semplice constatazione: quando il regime comunista jugoslavo di Tito ha preso il potere nel 1945 ha impedito persino di menzionare il nome di Ivan Merz. Ma non si può far tacere Cristo, non si possono zittire i santi.

Ivan Merz è un giovane santo vicino al mondo tedesco, latino e slavo. Suo padre è tedesco di Boemia, di tradizione cattolica ma di idee liberali. Sua madre è ebrea ungherese. Ivan nasce in Bosnia ed Erzegovina — allora sotto l’impero austro-ungarico — poi si trasferisce a Zagabria. Studia a Vienna e a Parigi. Conosce l’Italia non solo per averci passato due anni di guerra, ma soprattutto per i pellegrinaggi a Roma. Nato nel 1896, è morto a Zagabria nel 1928. Ha terminato gli studi nel 1914, tredici giorni dopo l’attentato di Sarajevo che ha scatenato la Prima Guerra Mondiale. È vissuto, dunque, in un periodo storico di grandi avvenimenti politici che hanno cambiato il volto dell’Europa. Ivan è diventato santo in questo delicato e complesso contesto storico.

Il libro di Mattei propone la «corsa verso la santità» di questo giovane croato, con una statura ed un respiro autenticamente europei, che ha vissuto e ha proposto «un programma di azione cattolica» validissimo anche per la gioventù di oggi e di domani. Ivan Merz — scrive l’autore — ha scoperto che essere laici è una vocazione per una missione e ha dato vita nella sua terra all’esperienza dell’Azione Cattolica secondo le chiare indicazioni di Papa Pio XI. Ha ragione Mattei quando scrive che per conoscere Ivan Merz il primo passo da compiere è quello che avrebbe fatto lui: ascoltare la voce del Successore di Pietro, del «Bianco Padre». «Cristo ha detto – il Papa lo vuole» è stata la semplice e fondante ragione della sua vita, l’inizio e la fine dei suoi discorsi.

Ho avuto la grazia di partecipare al pellegrinaggio del Santo Padre a Banja Luka. Insieme al Vescovo diocesano, Mons. Franjo Komarica, ho letto la Petizione al Papa per l’elevazione agli onori degli altari di Ivan, visto che la Causa di canonizzazione appartiene alla mia Arcidiocesi di Zagabria: è stata aperta dal  mio compianto Predecessore, l’allora Arcivescovo coadiutore Franjo Šeper, che era profondamente legato a Merz da una forte amicizia spirituale, l’8 maggio 1958, il giorno del compleanno del beato Cardinale Alojzije Stepinac che, in quel momento, si trovava recluso nella canonica di Krašić.

Momento centrale del pellegrinaggio del Papa a Banja Luka è stata la Concelebrazione Eucaristica durante la quale ha proclamato beato Ivan. Nell’omelia il Santo Padre ha presentato al mondo il valore e l’attualità della testimonianza di Ivan con queste parole: «Giovane brillante, seppe moltiplicare i ricchi talenti naturali di cui era dotato ed ottenne numerosi successi umani: si può parlare della sua come di una vita ben riuscita. Ma la ragione per cui egli viene oggi ascritto all’albo dei beati non è quella. Ciò che lo introduce nel coro dei beati è il suo successo davanti a Dio. La grande aspirazione della sua vita, infatti, è stata quella di “mai dimenticare Dio, desiderare sempre di unirsi a Lui”. In ogni sua attività, egli ricercò “la sublimità della conoscenza di Gesù Cristo” e si lasciò “conquistare” da Lui (cfr Fil 3, 8.12)».

«Alla scuola della liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa (cfr “Sacrosantun Concilium”, 10) — sono ancora le parole del Papa all’omelia —, Ivan Merz crebbe fino alla pienezza della maturità cristiana e divenne uno dei promotori del rinnovamento liturgico nella sua patria. Partecipando alla Messa, nutrendosi del Corpo di Cristo e della Parola di Dio, egli trasse la spinta a farsi apostolo dei giovani. Non a caso scelse come motto “Sacrificio-Eucaristia-Apostolato”. Cosciente della vocazione ricevuta nel Battesimo, fece della sua esistenza una corsa verso la santità, “misura alta”, della vita cristiana (NMI, 31). Per questo “non scomparirà il suo ricordo, il suo nome vivrà di generazione in generazione” (Sir 39, 9)».

Si resta impressionati leggendo il diario di Ivan: ci sono pagine mistiche e allo stesso tempo di una concretezza quotidiana eccezionale. Davvero particolare è il suo «diario di guerra». È un’emozione spirituale continua leggere il carteggio tra Ivan e la madre che non accetta la fede del figlio. Si resta commossi davanti alla storia della conversione dei genitori. Ivan si è affidato al Sacro Cuore di Gesù e ha usato l’arma del Rosario. Scrive tre mesi esatti prima della morte: «Oggi per la prima volta la mamma ha acconsentito che il Rosario venisse recitato in comune nella nostra famiglia. Domani è la festa della Madonna di Lourdes. Questo è opera sua». Il primo impegno di Ivan, più ancora — si può dire — che l’apostolato dell’Azione Cattolica, è la conversione a Cristo dei suoi genitori. Quando il padre si riaccosta ai Sacramenti Ivan si definisce la persona più felice del mondo. A questa causa ha offerto tutto se stesso. Che grande lezione: la missione — ci dice Ivan — comincia nella nostra famiglia, nel nostro ambiente di studio e di lavoro. Una missione che egli ha condotto con il Rosario, una preghiera profondamente radicata nella storia del popolo croato.

Ci si commuove, poi, davanti alle testimonianze di quanti l’hanno conosciuto personalmente. Nel libro ci sono le parole di molti protagonisti diretti. Ma ogni pagina propone una sorpresa perché è la vita stessa di Ivan a essere una continua sorpresa. Come ha potuto raggiungere vette di spiritualità così elevate, in poco tempo e senza un sostegno alle spalle? Vorrei citare la testimonianza del prof. Tommaso Federici, teologo e biblista morto nel 2002 — riportata nel libro alle pagine 46-48 — che esprime insieme stupore e ammirazione: «Sulla dottrina liturgica di Ivan Merz noi professori del “Pontificium Institutum Liturgicum” di Roma siamo pieni di ammirazione e comprendiamo come egli sia stato il vero iniziatore del movimento liturgico croato. Così, laico, unico tra i fondatori dei movimenti liturgici e di rinnovamento nell’età moderna, Ivan Merz è degno di essere acclamato come figlio diletto, prezioso della Chiesa, anima eletta, santo di Dio, ed essere proposto come esempio di santità moderna reale e vissuta». La testimonianza  del prof. Federici va letta per intero: quando l’ho fatto io sono rimasto intimamente commosso. E bene ha fatto l’autore a chiedere la preziosa collaborazione di Mons. Fabijan Veraja, già Sotto-Segretario della Congregazione delle Cause dei Santi, e autore della «Positio» su Ivan Merz.

L’ultimo periodo della vita di Ivan, dal 1923 al 1928, è segnato dal suo apostolato, infaticabile e creativo, nell’Azione Cattolica, fondata secondo le indicazioni di Papa Pio XI. Viveva con amore questo apostolato nella quotidianità più semplice, insegnando nel liceo diocesano di Zagabria. Mattei conclude il libro affermando che la testimonianza del giovane Ivan Merz è nel cuore delle Giornate Mondiali della Gioventù. Sulla verità della Croce Ivan Merz ha puntato la sua vita: per la santità con cui ha vissuto questa verità il Papa lo ha proclamato beato. L’autore, a pagina 24, a conclusione dell’incalzante capitolo dedicato ai rapporti tra Ivan Merz e Alojzije Stepinac, scrive che nel cuore di Zagabria si può compiere un pellegrinaggio di forte impegno spirituale che va dalla Cattedrale, luogo di sepoltura del Cardinale martire, alla Basilica del Sacro Cuore, nella quale riposa il giovane Ivan. Ci si trova a faccia a faccia con la santità. E qui ritorna, oserei dire «irrompe», la forza spirituale di Giovanni Paolo II. È stato lui, infatti, a beatificare sia il Cardinale Stepinac che Ivan Merz. E lo ha fatto in due Viaggi apostolici: li ha voluti elevare agli onori degli altari proprio laddove essi sono vissuti. «Le loro testimonianze — scrive Mattei (pag. 21) —, così diverse ma così unite, costituiscono una ragione di speranza per la nuova Europa che non può e non deve dimenticare le proprie radici cristiane. Protagonisti della storia del Novecento, essi sono fondanti per la storia del Terzo Millennio».

Nel XXI Canto del Paradiso, Dante parla di un uomo «di Croazia» che, affascinato dal Volto di Cristo impresso nel velo della Veronica, non può più volgere lo sguardo altrove, lo tiene fisso sul Signore, s’immerge nella contemplazione fino a conformarsi con Cristo, fino a donare la propria vita per Cristo:

«Qual è colui che forse di Croazia

viene a veder la Veronica nostra,

che per l’antica fame non sen sazia,

ma dice nel pensier, fin che si mostra:

“Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,

or fu sì fatta la sembianza vostra?”».

(Paradiso XXXI, 103-108)

I cattolici croati conoscono bene questi versi danteschi. Sono un «biglietto da visita» culturale, storico e spirituale di immenso valore. Quel «croato anonimo» di Dante, quell’uomo che «di Croazia» viene qui a Roma in pellegrinaggio, ha in realtà un volto, quello dei santi della terra croata. Ha il volto di Alojzije Stepinac. Ha il volto di Ivan Merz. Ha il volto degli eroici testimoni di Cristo in terra croata lungo i secoli. Deve avere il volto di ciascuno di noi perché tutti siamo chiamati ad essere santi.

Desidero, infine, ringraziare «L’Osservatore Romano», nella persona del Direttore prof. Mario Agnes, per aver accolto l’impulso del Santo Padre e pubblicato questo libro. Sono certo che quanti lo leggeranno, soprattutto i giovani in età e in spirito, conosceranno la testimonianza di Ivan Merz e non potranno non trovare un nuovo slancio nella vita cristiana.

L’OSSERVATORE ROMANO – edizione quotidiana – del 22 Novembre 2003 – pagina 7

La storia continua a non stare zitta

MARIN BARIŠIĆ

Arcivescovo di Spalato-Makarska

Devo proprio dire che noi croati qui a Roma ci sentiamo a casa perché Roma è la casa di tutti, per vocazione. Perché a Roma c’è la Casa di Pietro. Ci sentiamo ancora di più a casa, in famiglia, nella stessa fede in Gesù Cristo, nella memoria dei santi e dei martiri. Le nostre radici sono qui.

Penso a san Caio, originario della Dalmazia, Papa dal 283 al 296, martire sepolto nelle catacombe di san Callisto. Penso ai martiri salonitani le cui memorie si trovano nell’Oratorio di san Venanzio, accanto al Battistero del Laterano, fatto erigere da Papa Giovanni IV, anch’esso di origine dalmata. Questo Papa ha voluto che le reliquie dei martiri fossero portate a Roma per onorarli nel cuore della cristianità. Siamo negli anni 640-642. La nostra fedeltà al Papa e la nostra unione con Roma non sono un fatto di oggi. Sono la nostra storia! I martiri sono un «ponte» che ci unisce ancora di più a Pietro!

Senza dubbio Giovanni Paolo II ha impresso uno slancio straordinario ai rapporti tra Roma e il popolo croato. I suoi Viaggi apostolici nella nostra Patria, tre nella Repubblica Croazia, a cui si aggiungono i due in Bosnia ed Erzegovina, sono altrettanti segni di amore. Stasera qui stiamo scrivendo insieme un altro significativo capitolo di comunione e di fraternità. In particolare vorrei soffermarmi su due punti: la figura del beato Ivan Merz e l’eredità religiosa dei cattolici croati.

Ivan Merz è un beato la cui elevazione agli onori degli altari è stata attesa a lungo dalla Chiesa in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina e il cui esempio è uno stimolo particolare ai cattolici di entrambi i Paesi, soprattutto ai fedeli laici, per continuare nell’impegno quotidiano per la testimonianza evangelica nelle condizioni sociali e culturali del nostro tempo, segnato nuovamente dalla democrazia e dalla libertà politica e religiosa.

Siamo grati all’«Osservatore Romano» per aver risposto con prontezza all’esortazione del Santo Padre a conoscere più da vicino il giovane laico Ivan. Il libro di Giampaolo Mattei racconta la storia di Ivan e, allo stesso tempo, interpella ciascuno di noi sulla propria vocazione e sul proprio impegno nella Chiesa e nella società. Ovviamente i primi ad essere chiamati in causa sono i giovani laici. Ma tutti, anche noi Vescovi, ci troviamo a fare un esame di coscienza leggendo queste pagine dedicate ad un giovane santo così affascinante e chiaro nella sua semplice testimonianza cristiana. Il libro è scritto in modo da afferrarti, da catturarti, da costringerti a guardare dentro te stesso. Non è una biografia fredda e indifferente. Sono pagine di vita, di amore e di speranza di un nostro quasi contemporaneo che, con il suo esempio di apostolo della gioventù croata, indica la strada da percorrere nell’impegno di vivere in sintonia con il Vangelo.

La beatificazione di Ivan è stato un evento di grazia, di quella stessa grazia che ha suscitato, ha guidato e ha formato Ivan Merz nei vari ambienti dove è vissuto. Egli ha avuto larghi orizzonti, ma sempre e dappertutto aperto all’agire della grazia. Mattei mi ha chiesto una testimonianza e l’ha pubblicata a pagina 93-94, insieme con quella del mio predecessore, l’Arcivescovo Ante Juri{l-cacute}. A Mattei ho detto che noi vediamo questo giovane come un sogno e come un segno, come un ideale della nostra realtà e della nostra storia. Ivan è cresciuto in un ambiente umile e si è formato, intellettualmente e spiritualmente, sulle riconoscibili radici cristiane di cultura e di civilizzazione europea. E queste radici sono oggi vive più che mai. Noi ne abbiamo fatto diretta esperienza, anche in questi ultimi anni della nostra storia.

            La città di cui io sono Vescovo — Spalato — ha una lunga storia cristiana: 1700 anni. Basti ricordare che san Paolo scrive a Timoteo (2 Tim 4, 10) che il suo discepolo Tito è partito per la Dalmazia, mentre nella Lettera ai Romani ricorda di aver predicato il Vangelo sino all’Illirico. La mia Arcidiocesi di Spalato-Makarska, erede dell’antica Salona, risale dunque al III secolo. Quando «i potenti di turno» ci hanno costretti al silenzio, sono state le pietre a «gridare», secondo la forte verità evangelica. Le «pietre» delle nostre città cristiane «parlano» e «raccontano» una grande storia di fede. Che cosa sarebbe la nostra terra croata e che cosa sarebbe l’Europa stessa senza ciò che è scaturito dalla fede in Cristo? Senza ciò che è scaturito dalla speranza che ha aperto gli orizzonti del tutto nuovi all’umanità intera? Senza ciò che è scaturito dalla carità che deve essere la regola di vita dei cristiani?

Sono oggi sulla Cattedra che fu del martire san Domnio, ucciso nell’atroce persecuzione ordita da Diocleziano. Le nostre radici, le radici di Ivan, le radici del beato Cardinale Alojzije Stepinac, sono là, in quel sangue versato dai nostri primi martiri, come il Santo Padre ha ricordato durante le sue indimenticabili Visite pastorali nella nostra terra. In quel sangue sta il senso della nostra storia plurisecolare, piena di testimonianze evangeliche di tanti uomini e donne, noti e meno noti.

Il 4 ottobre 1998 è una data scritta a «caratteri d’oro» nel cuore della gente di Spalato e della Croazia del Sud, detta Dalmazia: Giovanni Paolo II è venuto a visitarci. Il giorno dopo aver elevato agli onori degli altari, a Marija Bistrica, l’eroico Pastore della diletta Chiesa di Zagabria, il nostro Cardinale Alojzije Stepinac, il Papa ha celebrato la Santa Messa alla periferia di Spalato, a Žnjan, proprio in faccia al mare. All’omelia ci ha detto: «Anche nei periodi più duri della vostra storia non sono mancati uomini e donne che non hanno cessato di ripetere: “La fede cattolica è la mia vocazione” (Ivan Merz); uomini e donne che hanno fatto della fede il programma della loro vita». Dunque il Santo Padre a Spalato ha fatto esplicito riferimento proprio al nostro giovane Ivan.

Dopo l’Eucaristia il Santo Padre ha voluto visitare la Cattedrale, la più antica del mondo, come data di costruzione dell’edificio. Era infatti il mausoleo che l’imperatore Diocleziano si era fatto costruire tra il 295 e il 305. Ma la storia presenta sempre il suo conto. Il mausoleo che era stato voluto da uno dei più feroci persecutori di cristiani è, dal VII secolo, la Cattedrale cattolica, dedicata al nostro Vescovo san Domnio, martire proprio della furia di quell’imperatore, il 10 aprile dell’anno 304. E nella Cattedrale oggi si venerano le reliquie dei santi martirio Domnio e Atanasio.

Entrando nella Cattedrale il Papa si rivolse a coloro che gli erano vicini dicendo: «Qui la storia non stava zitta». In realtà c’è poco da aggiungere a queste parole del Santo Padre. Il giorno prima aveva proclamato beato il Cardinale Stepinac, martire del XX secolo. In quel momento si trovava davanti a san Domnio, martire sotto Diocleziano. C’è la storia della Chiesa, ci sono tutti i martiri, di venti secoli, in quelle parole del Papa: «Qui la storia non stava zitta».

Non tutti ascoltarono la frase del Papa. Solo quanti gli erano vicini. Né io — in quel momento ero Vescovo ausiliare — né l’Arcivescovo Jurić le sentimmo perché commossi dall’evento straordinario di vedere il Successore di Pietro, nell’augusta Persona di Giovanni Paolo II, entrare nella nostra antica Cattedrale. Le registrò però il prof. Mario Agnes, pubblicandole in grande evidenza sulla prima pagina de «L’Osservatore Romano» da lui diretto. E quando l’Arcivescovo ed io andammo a ringraziarlo per l’attenzione che ha per noi, capimmo la ragione. Credo di poter «rivelare», signor Direttore, che nel suo studio, appesa alla parete, c’è la fotografia scattata proprio nel momento in cui il Papa, entrando nella nostra Cattedrale, dice: «Qui la storia non stava zitta». Nell’immagine si vede il Papa che si rivolge a lei, Direttore, che ha accanto il suo inviato, che è poi l’autore di questo libro su Ivan Merz.

Noi siamo rimasti profondamente colpiti, commossi, dalla frase del Santo Padre tanto che abbiamo voluto inciderla su una lapide che è stata collocata, fatto davvero eccezionale, all’interno della Cattedrale costruita da… Diocleziano!

Ma la storia continua a non stare zitta! L’elevazione agli onori degli altari di Ivan Merz è un altro «grido» che raggiunge il cuore di ogni uomo e lo riempie di speranza. Sappiamo che il domani si costruisce non dimenticando il passato. Giovanni Paolo II ce lo mostra di continuo. La sua visita a Spalato è culminata nell’incontro con i giovani e i laici ecclesialmente impegnati davanti all’antico Santuario mariano di Salona che è una specie di «fonte battesimale» del popolo croato. L’itinerario compiuto dal Santo Padre resta una lezione pratica di catechesi e di storia della Chiesa.

Un nostro detto popolare dice: «Il mondo rimane ai giovani». Un proverbio polacco — che il Papa ha citato a conclusione della Veglia della Giornata Mondiale della Gioventù del Grande Giubileo a Tor Vergata — ricorda: «Se tu stai con i giovani, devi diventare anche tu giovane». È anche nella saggezza popolare il messaggio di santità di Ivan Merz. Nella nostra missione dobbiamo avere il cuore giovane, pieno di entusiasmo e di gioia. Ce lo insegna Ivan Merz. Ce lo insegna Giovanni Paolo II.

L’OSSERVATORE ROMANO – edizione quotidiana – del 22 Novembre 2003 – pagina 7

La testimonianza di santità del giovane apostolo laico contemplata dalla terra martire di Bosnia ed Erzegovina

FRANJO KOMARICA

Vescovo di Banja Luka  Presidente  della Conferenza Episcopale  della Bosnia ed Erzegovina

Sono molto lieto di partecipare alla presentazione del libro, dedicato al primo beato proveniente dalla Bosnia ed Erzegovina, che ha per titolo: «Ivan Merz – Un programma di vita e di azione cattolica per i giovani di oggi», scritto da Giampaolo Mattei e pubblicato dall’«Osservatore Romano». Sono lieto che si possa parlare del significato del beato per il nostro tempo: come lo vediamo noi dalla sua città nativa, Banja Luka, e dalla sua patria, la Bosnia ed Erzegovina.

Ringrazio «L’Osservatore Romano» che ha risposto prontamente al Santo Padre pubblicando questo libro e poi per avermi dato la possibilità di parlare in questa circostanza particolare.

Inizio il mio intervento con la citazione delle parole del Santo Padre pronunciate durante l’udienza generale di mercoledì 25 giugno, tre giorni dopo la sua Visita apostolica a Banja Luka, che è anche la mia città di nascita. Disse il Papa: «Culmine del pellegrinaggio è stata l’Eucaristia solenne con la proclamazione del beato Ivan Merz» indicato «come un esempio ai cattolici, in modo particolare ai giovani».

Il 10 maggio 2002 — giorno anniversario della morte dell’allora servo di Dio Ivan Merz — ho inviato un messaggio alla mia diocesi: «Vi invito a pregare più ardentemente per il nostro Santo Padre Giovanni Paolo II, perché proprio lui, che più volte ha accennato alla grandezza spirituale del servo di Dio, possa donarci il nuovo beato». Il Papa, alla fine del Grande Giubileo, nella Lettera Apostolica «Novo Millennio ineunte», ha dato a tutti i cattolici un «programma», in sette punti, su come vivere ed agire nel nuovo millennio da cristiani. La prima parte comprende l’invito a realizzare la santità. In questi anni il Papa ha proclamato santi e beati tanti cristiani, tra cui molti laici.

Proclamando beato Ivan Merz — primo laico della Chiesa nel popolo croato e primo beato nato nella Bosnia ed Erzegovina — il Santo Padre ha incoraggiato, ancora una volta, tutti noi a non avere paura e a camminare coraggiosamente per la via che ha percorso il giovane beato, cioè per la via dell’ascesi, del sacrificio, dell’obbedienza a Cristo e alla Chiesa; per la via della preghiera quotidiana, dei Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia; per la via del cuore puro!

Il Santo Padre, parlando a Banja Luka di Ivan Merz, ha detto parole importanti: «Giovane brillante, seppe moltiplicare i ricchi talenti naturali di cui era dotato ed ottenne numerosi successi umani: si può parlare della sua vita come di una vita ben riuscita». Davvero egli ha unito nella sua persona — a livello spirituale, intellettuale e culturale — varie Nazioni: Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Ungheria, Repubblica Ceca, Austria,  Germania, Francia ed Italia. Ivan parlava dieci lingue. Veramente si tratta di un uomo che è «riuscito» nella sua vita, «adatto» per il nostro tempo: un’epoca in cui uno degli ideali è il «successo» nella propria carriera.

Il Santo Padre ha sottolineato un altro aspetto attuale di Ivan: «La ragione per cui egli viene oggi ascritto all’albo dei beati è il suo successo davanti a Dio… Cosciente della vocazione ricevuta nel Battesimo, fece della sua esistenza una corsa verso la santità, “misura alta” della vita cristiana… Il nome di Ivan Merz ha significato un programma di vita e di azione per tutta una generazione di giovani cattolici! Deve continuare ad esserlo anche oggi!». In queste parole del Papa sono inclusi i valori e le virtù che il beato Ivan ha praticato nella sua esistenza, per cui egli si è impegnato e coscientemente ha offerto la sua giovane vita. In queste parole del Papa si trova anche l’«essenziale» del «programma» di Ivan, cioè del «programma» di ogni fedele laico che desidera veramente vivere i fondamentali valori cristiani nello spirito del Vangelo di Cristo.

Guardando da vicino la grandezza spirituale del beato Ivan, possiamo scoprire molti suoi amori: amore alla Trinità Santissima; amore a Gesù Cristo e soprattutto al suo Cuore e alla Santissima Eucaristia; amore alla Madonna, alla Chiesa, al Papa, ai Vescovi e ai sacerdoti; amore all’apostolato; alla purezza del cuore; alla scienza, all’apostolato e alla cultura. Tra tutti  questi suoi amori, soprattutto si distingue l’amore a Gesù Cristo, alla Chiesa e all’uomo nella sua integralità. L’impressione comune e inevitabile, guardando la sua vita e la sua opera, è che l’amore verso Chiesa è la realtà la più forte. E dentro la Chiesa, la liturgia ed il Papa, soprattutto, sono le caratteristiche riconoscibili del suo essere apostolo.

Il beato Ivan vive la Chiesa come la sua Casa, ma anche come il suo compito. Quando scrive sulla Chiesa le sue parole sono ferventi come quelle dell’apostolo Paolo. Secondo il beato Ivan, tutto deve essere fatto nell’ambito della Chiesa. Se Cristo ha fondato la Chiesa per l’uomo, allora l’uomo deve essere riconoscente a Cristo per la Santa Chiesa, amarla con tutto il suo cuore, lavorare in essa, con tutto il suo cuore. Il beato Ivan è cosciente di portare in sé il mandato della Chiesa per essere apostolo, nella sua vocazione, sul suo posto di lavoro e nel suo tempo.

Oggi perfino molti nel clero, purtroppo, non sentono la Chiesa così profondamente come la viveva il beato Ivan che, per di più, non era sacerdote. Il beato Ivan ha dato il suo cuore fino in fondo alla Chiesa. La sentiva come sua, la serviva nel modo più ideale. Ha incoraggiato gli altri a servirla, ad attivarsi in essa il più possibile, a sforzarsi di capire che la Chiesa è la loro Madre e che nel suo seno possono trovare la vera gioia e la pienezza della vita.

            L’ideale del beato Ivan è stato di fare in modo che il maggior numero possibile di giovani s’impegnasse nell’apostolato della Chiesa, facesse amicizia con Gesù Cristo. E questi giovani, tramite la familiarità con Cristo, dovevano essere purificati nel cuore. I giovani servono la Chiesa con cuore completamente puro: è possibile realizzare questo nella prassi? Nel suo entusiasmo giovanile per Cristo, e per le giovani generazioni nella Chiesa di Cristo, il beato Ivan ha fatto di tutto per insegnare a vivere col cuore puro. Scrive che tutti i membri dell’Azione Cattolica devono vivere senza peccato altrimenti l’intera associazione è «senza senso, perché a che serve avere tutto il mondo se si perde lo scopo per cui l’uomo e creato?».

Il beato Ivan vede nell’Eucaristia un vero rinnovamento spirituale. Essa è per lui il «programma» di una vita autentica. Chi vive dell’Eucaristia vive con cuore puro, completamente dedito a Dio e all’uomo, vive per la propria conversione e per ogni realtà positiva che promana dalla spiritualità e cambia il mondo in meglio. Chi vive secondo l’Eucaristia realizzerà il senso e lo scopo della sua vita e, come premio, riceverà «qualcosa» che sorpassa tutti i suoi desideri, i suoi progetti, i suoi sogni. Questo è, in sintesi, il rapporto di Ivan con l’Eucaristia. Non dobbiamo meravigliarci che il beato Ivan ogni giorno ricevesse la Santa Comunione e ogni sabato si accostasse al Sacramento della Confessione. Mi domando se esiste un invito più ideale alla gioventù di oggi, spesso disorientata e senza un vero contenuto: è un invito ad una vita con Cristo, intensivamente sacramentale, unica realtà che può veramente far felice il cuore umano.

Oltre questo accentuato amore verso la liturgia della Chiesa, con al suo centro l’Eucaristia, il beato Ivan ha vissuto un ardente amore per il Papa. Nel Santo Padre egli vede la garanzia e la sicurezza della verità, e perciò per lui vale la certezza che senza ubbidienza al Papa non c’è vero cristiano, e soprattutto non c’è l’uomo santo. Per Ivan il Papa è il Cristo visibile sulla terra. Questo fatto Ivan lo ripeterà moltissime volte, in varie forme, nelle sue numerose conferenze, nei suoi tantissimi scritti. Ivan dimostrava questo suo amore verso il Vicario di Cristo soprattutto nell’approfondire l’insegnamento pontificio, non soltanto per se stesso, attraverso lo studio delle Encicliche. Si intravede nella vita del beato Ivan una decisa fedeltà al Successore di Pietro fondamento dell’unita della Chiesa. Sono pochi, nella recente storia della Chiesa, che hanno così chiaramente, decisamente, mantenuto ed insegnato questo atteggiamento di fedeltà appassionata come ha fatto il  beato Ivan Merz.

Ugualmente chiaro e conseguente è stato il suo rapporto con i Vescovi. In una lettera all’Arcivescovo di Sarajevo, Mons. Ivan Šarić, il 3 maggio 1926, così esprime il suo rapporto con la Gerarchia ecclesiastica: «È chiaro che noi ci siamo messi al servizio della Santa Chiesa, pronti ad aiutarla — con la grazia di Dio — nella diffusione del Regno del suo divino sposo. Non abbiamo alcun altro fine che quell’unico, principale, di unire con Gesù il maggior numero di anime. Perciò in questa questione come in tutte le altre ci sottomettiamo ai nostri Vescovi, e se essi dicono che siamo sulla strada sbagliata, con cieca ubbidienza ascolteremo e faremo secondo il loro desiderio… Noi abbiamo sempre insistito sull’ubbidienza all’autorità ecclesiastica e siamo pronti a dare l’esempio di tale ubbidienza anche quando ciò ci fosse difficile».

La gioventù oggi deve essere educata ad avere tale corretto rapporto con il Papa, i Vescovi e i sacerdoti. Il sincero «sentire cum Ecclesia» di Ivan, cioè  la sua intima unione con la Chiesa, è oggi un forte invito alla Chiesa nel popolo croato. Questo vale in primo luogo per lo studio e per la conoscenza del Magistero. Soprattutto i sacerdoti e religiosi sono chiamati a dare un esempio.

Il beato Ivan Merz è veramente un prezioso dono di Dio alla Chiesa del nostro tempo, non soltanto alla sua Diocesi natale di Banja Luka e all’Arcidiocesi di Zagabria, dove ha terminato la sua vita santa, ma all’Europa intera ed oso dire anche al mondo. Con la sua intelligenza, con la sua educazione e soprattutto con la santità della sua vita, egli veramente può essere attraente per la generazione odierna dei cristiani, soprattutto per i giovani. Ivan ha dimostrato con il suo esempio che essere cattolico vuol dire essere un uomo completo. «Aut catholicus aut nihil»: a questo suo slogan egli rimase sempre fedele. Con la sua nota frase «la fede cattolica è la mia vocazione nella vita», realizzata nella sua vita, egli può veramente diventare un nuovo prezioso esempio da seguire e può essere l’intercessore presso Dio anche per i cattolici dell’odierna Europa, non raramente stanchi e indifferenti nella Chiesa. Con il suo pensiero «la vita non significa godere ma il sacrificio», il beato Ivan richiama all’essenziale tutti i cristiani.

La personalità del beato Ivan Merz è  una forte messaggio alla generazione odierna, soprattutto ai giovani cristiani, non soltanto nella Bosnia ed Erzegovina e nella Croazia, ma anche agli altri Paesi del Europa Centrale: un messaggio affinché si uniscano tra loro più fortemente in un retto e veritiero rapporto con la Chiesa, con il Santo Padre, per indirizzarsi verso il compito urgente dell’impegno apostolico per la rievangelizzazione del Continente. Perciò i Presidenti delle Conferenze Episcopali di otto Paesi del Europa centrale — Austria, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina —, che stanno realizzando un comune programma per la Giornata dell’Europa centrale che si svolgerà nel maggio 2004 a Mariazell —,  intendono scegliere proprio il beato Ivan Merz come prezioso intercessore, soprattutto dei giovani. Sono convinto che questo porterà i frutti per il futuro della Chiesa cattolica in questi Paesi.

Termino con le parole del Santo Padre a conclusione della Santa Messa di beatificazione a Banja Luka. Consegnando la grande Croce ai giovani il Papa ha detto: «Il beato Ivan ha posto al centro del suo studio, del suo insegnamento, del suo apostolato il mistero pasquale che viene celebrato nella liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa. Accogliete nella vostra vita la Croce gloriosa di Cristo! Sull’esempio del beato Ivan siate testimoni della bellezza del culto cristiano ed esprimete nella vita quanto avete ricevuto nella fede. Nel vostro pellegrinaggio verso il Regno la Croce vi sia sempre luce e guida».

L’OSSERVATORE ROMANO – edizione quotidiana – del 22 Novembre 2003 – pagina 7