C a p i t o l o VI
D. RICORDI DEL DR. ŠIME CVITANOVIĆ SU IVAN MERZ
Šime Cvitanović, oriundo dall’isola di Brač, era studente di medicina a Innsbruck quando fu mobilitato. Nei primi mesi del 1917 era tenente e ufficiale per i collegamenti nel Tirolo. A lui fu assegnato Ivan Merz, ufficiale aspirante. I due divennero amici dopo che Cvitanović seppe che Merz era stato alunno del prof. Maraković.
Questi nel 1914 aveva pubblicato nella rivista “Luč” due poesie dello stesso Cvitanović, che anche dal fronte gli inviò alcune nuove poesie perché ne desse un giudizio ed eventualmente pubblicasse quelle migliori (sotto pseudonimo) nella rivista “Hrvatska Prosvjeta”. Merz due volte sollecitò questo giudizio, il 10 e il 17 aprile 1917. Nel frattempo Maraković gli aveva risposto il 14 aprile. Il 21 maggio Merz informava Maraković: «A Cvitanović ho trasmesso letteralmente il Suo giudizio. Egli si trova adesso a Mostar (Garnizonsspital 26) e lavora sulle sue novelle di guerra. (E’ stato sul fronte 30 mesi)».1 In seguito, mentre si trovava a Parigi (1920-22), Merz, pregato da Cvitanović, si adoperò per trovargli temporaneamente un posto in Francia, ma non ci riuscì.
Nella rivista “Hrvatska Prosvjeta” (redatta dal prof. Maraković) del 1938, pp. 331-337, il dott. Cvitanović, sotto il pseudonimo Šime Lukin, pubblicava i seguenti appunti su Ivan Merz.
I
Dosso del Fine 1917 – un inverno spaventoso – altezza 2021 m. E’ finita miseramente l’offensiva del principe ereditario austriaco Carlo – perché nemmeno questa offensiva ha portato all’Austria ciò che questa voleva, cioè vincere l’Italia invadendo la pianura italiana. I decimati battaglioni dalmati e bosniaci sono stati trasferiti da Val Sugana, dove avevano annientato la seconda armata italiana, nelle regioni dell’eterno ghiaccio – Monte Zingarella, Monte Zebio – Cima Dodici. Così anche il comando del 22. reggimento dalmata è arrivato al Dosso del Fine. C’è una qualche strada dall’Osteria del Termine sull’Altipiano di Asiago fino al Dosso del Fine, ma solo fino all’altezza di mille metri, quindi si prosegue attraverso le gallerie nevose, sopra le giogaie, sempre in pericolo delle slavine.
Presso il comando del reggimento erano avvenuti in quel tempo grandi cambiamenti. Il comando superiore aveva sostituito il vecchio e buono viennese il colonnello Zechbauer, mandandoci un uomo della Corte, il colonnello Wolf… Quest’uomo malvagio e incapace aveva ottenuto il comando mediante le dame della Corte, e voleva attraverso il sangue dei nostri battaglioni avere promozioni e decorazioni. In quel tempo ero presso il comando del reggimento in qualità di ufficiale per le comunicazioni – la vita per me era difficile, perché dovevo essere per interi giorni e notti in collegamento con i battaglioni e con i comandi superiori nelle retrovie. Dovevo raccogliere e riordinare tutte le informazioni e comunicarle al colonnello Wolf. Il mio ricovero sotterraneo era alquanto distante da quello di Wolf, per cui potevo lavorare indisturbato, specialmente di notte… Proprio in quel tempo alcuni dei nostri erano passati agli Italiani – noi già allora sapevamo della nostra emigrazione. Ogni giorno alle 4 del pomeriggio già al Monte Salubio ricevevo direttamente le informazioni italiane […] Wolf diventava furioso ogniqualvolta qualcuno dei nostri disertava; e poiché la posta passava per le mie mani, leggevo i dispacci del colonnello Wolf nei quali ci titolava solo con i nomi: rei d’alto tradimento, vigliacchi, faule Bestien ecc. Le dame di corte dovevano proseguire tali dispacci più avanti. Si prolungava terribilmente la caduta definitiva della Monarchia. Noi soffrivamo le pene dell’inferno perché a casa la nostra gente periva di fame, al fronte ci mandavano ai posti più difficili e ogni movimento sospetto significava la morte. Noi che dalla vita civile, dalla scuola, dalla famiglia odiavamo mortalmente l’Austria – noi eravamo come crocefissi – non intravedendo ancora la liberazione. Il mio stato d’animo era terribile. Nascondevo il mio intimo quanto e come potevo, mentre le terribili e gelide notti venivano accorciate accanto a un bicchiere di tè con rum, in quanto nel mio ricovero di tanto in tanto trovava posto qualche nostro uomo per un momento di colloquio e conforto. Intorno al comando del reggimento gironzolavano gli ufficiali cechi germanizzati e gli Ebrei, i nostri uomini italianizzati dai dintorni di Trieste che barbaramente odiavano il solo nome Croato – e tutti questi godevano il beneficio del riparo presso il treno (salmerie) e il comando.
Così all’inizio dell’anno 1917, in una fredda mattinata si fece annunziare da me un ufficiale aspirante giovane e magro. Salutò alla maniera rigorosamente militare, indossava la divisa dei militari bosniaci con il fez sul capo e la sciarpa di lana intorno al collo: «Herr Leutnant, Kadett-Aspirant Hans Merz stellt sich gehorsamst zum Befehl vor». – Quando sentii il suo nome e cognome, appena lo guardai, mentre tra me e me mormorai: di nuovo uno dei loro mandato solo per disturbarmi e divorarmi! Proprio in quel momento squillava il telefono del secondo battaglione con la relazione per il comando del reggimento. Il telefonista di servizio mi passò la cornetta ed insieme iniziammo a scrivere le singole lettere del dispaccio… L’ufficiale aspirante è rimasto sull’attenti mentre io ricevevo il messaggio. L’avevo quasi dimenticato e quando ho alzato gli occhi, ho fatto cenno con la mano di mettersi a riposo. Ho dato poi ordine ad un soldato di condurlo nel rifugio per telefonisti dal sergente maggiore Kudrić e di dargli il tè con il pane. Ho letto l’atto con cui veniva assegnato al mio plotone questo magro cadetto Hans Merz: nell’atto si diceva che era uno sciatore straordinario e buon combattente in alta montagna. – “Combattente delle bianche montagne” – ho ironizzato tra me sul conto del nuovo cadetto. “Lo vedremo”, ho detto alzando un po’ la voce, mentre il mio soldato lo conduceva nel ricovero per i telefonisti! In quel periodo il reggimento aveva bisogno di molti buoni sciatori presso l’ufficio per i collegamenti perché spesso le slavine interrompevano le linee telefoniche e allora gli sciatori dovevano portare le informazioni.
Non volevo permettere al nuovo ufficiale aspirante di prendere cibo nella mensa degli ufficiali, perché pensavo che non fosse uno dei nostri, ma dei «loro», e volevo essere coerente ogniqualvolta lo potevo. Ogni giorno la mattina doveva presentarsi da me, io gli davo compiti difficili da sciatore, egli però li ha sempre risolti in ordine, dimostrandosi “stramm” – “marziale” – come si direbbe nel gergo militare, veramente un vero combattente delle bianche montagne. Eseguiva pedantemente gli ordini, proprio in modo premuroso e senza protesta, così che ho cominciato ad interessarmi sempre più di lui e mi è diventato simpatico. Era magro, slanciato, aveva il collo abbastanza lungo, il torace lungo, stretto e piatto, le articolazioni flessibili e la pelle delicata, pochissimo grasso addosso, i muscoli delicatamente sviluppati. Dal suo tratto esterno l’ho classificato così dal punto di vista medico – i medici direbbero, per corpi così strutturati che appartengono al gruppo di astenici; e poiché era molto pedante, talvolta l’ho impiegato anche per il telefono.
Sul mio tavolo nel rifugio, tra le varie carte speciali e schemi c’era anche un piccolo libro del gesuita spagnolo Pallau Katolik na djelu (Il cattolico all’opera). Questo libro era stato preparato per i lettori croati dal vescovo Šarić,2 e a me l’aveva regalato un cappellano militare, un certo francescano, il quale mi ha avvertito che si trattava di un tentativo moderno di De imitatione Christi. E questo Spagnolo guidava veramente il lettore in modo piacevole ed interessante con le sue spiegazioni! Nei momenti di riposo, prima leggevo al fronte Disputationes tusculanae di Cicerone, ma dopo aver cominciato a leggere questo libro cattolico moderno, ho sentito un altro tono di vita, di pensiero e di sentimento. Un giorno il nuovo cadetto vide questo libro da me e, secondo le regole militari, mi chiese se ero disposto a prestarglielo.
– Sie verstehen kroatisch, Kadett? (Lei capisce croato, cadetto?)
– Anzi, molto bene, signor tenente – ha risposto (in croato) l’ufficiale aspirante Hans Merz.
Ho spalancato gli occhi. Che cosa è questo giovane, di dove è, come è venuto qua?
– E di dove è lei?
– Ho terminato il ginnasio a Banja Luka.
– Hm, allora sì che conosce il croato.
Gli ho dato il libro. Quella notte ho pensato molto a quel magro ufficiale aspirante e fumando la mia pipa presso il telefono di nuovo facevo conclusioni sbagliate.
Sarà forse figlio di qualche alto funzionario tedesco di Bosnia – pensavo. Questi sono pericolosi – devo stare attento doppiamente… Il nome mi ingenerava il sospetto, perciò lo assegnerò piuttosto al sergente maggiore Kudrić – è un mio uomo – ed egli metterà a posto il giovane ufficiale aspirante. Intanto mi venne una nuova idea: sapevo che a Banja Luka si trovava il professor Ljubomir Maraković, persona simpatica per gli studenti prebellici, che era stato uno dei più importanti e forti ideologi dei giovani studenti croati cattolici. Ciò che il professor Maraković scriveva in “Luč” conquistava gli studenti di quel tempo, così anche me. Tenterò di sapere se conosce il nostro Ljubo – se non lo conosce, continuerò a ritenerlo come persona da cui bisogna guardarsi, e comportarsi di conseguenza. Sul prof. Maraković in quel tempo era rimasta tutta la tradizione del movimento studentesco cattolico croato, perché quasi tutto era stato mobilitato… Quella mattina, quando l’ufficiale aspirante si presentò da me, lo feci accomodare e ordinai al soldato di portargli eccezionalmente dalla mensa degli ufficiali il tè con il pane biscottato e burro, perché volevo metterlo alla prova. L’ufficiale aspirante beveva saporitamente il tè e morsicava il pane biscottato con il burro. Dopo aver finito di bere lo interrogai subito, perché volevo vederci chiaro:
– Dunque, Lei ha terminato (lo studio) a Banja Luka?…Conosce il prof. Maraković?
– E’ stato mio professore dal quinto ginnasio.
– Veniva più strettamente in contatto con lui?
– Sì, nell’organizzazione – ha risposto sinceramente.
– Questa sincerità mi ha colpito – subito ho cambiato l’opinione e il tono del discorso.
– Dunque, Lei è uno studente croato cattolico organizzato?
– Sì, signor tenente.
Mi sono alzato e mi sono girato verso di lui porgendogli la mano:
– Dunque, apparteniamo alla stessa organizzazione. D’ora in poi, fuori servizio, siamo compagni e per essere più vicini l’uno all’altro, anche se io sono più anziano, ci daremo del tu; fuori servizio mi darai del compagno, come è consuetudine nelle nostre organizzazioni. Il giovane cadetto rimase come trasfigurato; era felice come un bambino. Quasi non sapeva come cominciare a parlarmi…
Compagno – gli dissi -, d’ora in poi sei qui mio ospite; è vero, non puoi ancora accedere alla mensa degli ufficiali, però io la dirigo fino ad un certo punto e tu, da oggi in poi, riceverai in questo mio rifugio il cibo degli ufficiali. Te lo porterà il mio soldato e ti farò preparare anche il giaciglio accanto a me. Tutto questo puoi ringraziare al fatto di essere studente croato cattolico organizzato e di conoscere il nostro Ljubo Maraković che ti ha introdotto nella nostra organizzazione. Noi studenti organizzati dobbiamo sapere qual’è il nostro dovere reciproco.
Così si sono incontrati sul Dosso del Fine due compagni che non si conoscevano, due membri del Movimento studentesco cattolico croato per aiutarsi da compagni e per dar prova come forte, ideale e disinteressato fosse allora il legame tra questi studenti.
II
Il rigido inverno del 1917 impediva quasi ogni movimento nella zona del Dosso del Fine, ma per noi due, da quel momento in poi era più piacevole e sopportabile. Quando Ivan doveva portare un messaggio a qualche battaglione o ad un altro comando attraverso la tormenta si perdeva come una saetta tra le bianche montagne, ritornava poi tutto infreddolito ma felice nel rifugio, dove lo attendeva il tè caldo con il pane biscottato. Da allora ironizzavo sul suo conto, ma non più con malizia come quando fu assegnato al mio plotone; lo salutavo: «Combattente delle bianche montagne, entra, bevi il tè, almeno questo spetta al combattente delle montagne». Egli rideva e cercava di sollevarmi il morale, poiché in quel tempo già cominciavo a disperare a causa delle condizioni difficili. Terribile e dolorosa era in quel tempo l’immagine della Croazia…
Il periodo prebellico ci aveva portato il liberalismo e il progressismo e proprio per questo si era sviluppato anche il movimento degli studenti cattolici croati. I progressisti e liberali, aiutati materialmente e moralmente dalle logge (massoniche) e da altri elementi sovversivi, avevano come scopo principale quello di scuotere e annientare il cattolicesimo nel popolo croato. Essi sapevano esattamente quale era il loro obiettivo principale, poiché il popolo croato oggi sente sulle proprie spalle i frutti di questa loro vile opera. Tutto fu impiegato nella lotta, bisognava calunniare i Croati come retrogradi, ultramontani, servi dell’Austria, bisognava annientare il cattolicesimo come l’ultimo ostacolo sulla via verso questo traguardo. Molti di quegli uomini tuttora (1938) combattono per quello stesso fine, solo sotto un altro nome. […]
Triste era l’immagine della Croazia quando nasceva e si sviluppava il movimento degli studenti cattolici croati. Questa organizzazione si era prefissa di educare uomini di carattere per il futuro lavoro nel popolo, e poteva farlo solo prendendo la difesa di quella organizzazione che i progressisti e liberali cercavano di distruggere: della Chiesa, per essere da Essa e in Essa educata, a vantaggio del proprio popolo. Uno dei più forti ideologi di questa organizzazione studentesca è stato il prof. Maraković, perciò volevo sentire dal mio nuovo compagno Ivan Merz tutto quello che egli aveva sentito da quell’uomo. La guerra infatti durava troppo a lungo ed io stavo perdendo contatto con tutti i nostri uomini.
Sta scritto nei miei appunti come il defunto Merz parlava del prof. Maraković:
– Egli mi ha introdotto in un’altra vita, mi ha aperto gli occhi, si è sforzato di fare di noi buoni operai nel campo non arato delle nostre misere condizioni. Dalla quinta ginnasiale egli è mio maestro e guida. […]
III
Durante una terribile notte, mentre la tormenta trasportava montagne di neve intorno a noi, noi nell’angolo del nostro rifugio, accanto alla stufa, discutevamo sul tema a noi tanto caro: che cosa deve creare la nostra organizzazione studentesca? Il professor Maraković creava l’organizzazione per l’educazione dei caratteri – disse il def. Merz… Ed io con un sorriso aggiunsi: E poiché tu sei stato nella sua organizzazione, combattente delle bianche montagne, ergo: che cosa ne segue? Egli divenne molto rosso, perché era molto modesto.
– Parla, parla, ufficiale aspirante!
– Ecco, egli voleva inculcarci il concetto di che cosa significa il carattere.
– Te la sei cavata bene – ridevo della sua modestia.
Nel frattempo quotidianamente leggeva sempre di più il libretto Il cattolico all’opera, e non solo leggeva, ma aveva pure iniziato a discuterne a lungo con me. Mi sono accorto che questo giovane era sulla strada di diventare un attivo operaio cattolico moderno. Un giorno pesante, di nuovo il combattente delle bianche montagne doveva recarsi a Bolzano per portare un rapporto al comando superiore. L’avevo rifornito di cibo di riserva ed egli, legando sulle spalle la carabina e avvolto il collo nella sciarpa che copriva anche il petto, allacciò gli sci e con fulminea velocità sparì tra le bianche montagne. Non avevo segnato la data di quel giorno. Dopo alcuni giorni quando ritornò era tutto contento, io invece pensavo di doverlo mandare all’ospedale.
– Che cosa hai per essere così allegro? Io dopo una simile fatica sarei sfinito.
– Senti, ho incontrato a Bolzano un francescano. (Mi ha detto il suo nome, ma io non l’ho segnato; so soltanto che era professore di teologia. Ivan ha fatto amicizia con lui e, in quel tempo che doveva stare a Bolzano, pare che quel francescano abbia esercitato un particolare influsso su di lui). Mi ha introdotto nel segreto della meditazione sistematica. Quasi non compresi ciò che voleva dire con queste parole.
– Ti chiedo una cosa importante.
– Che cosa?
– Tu lo puoi fare, lasciami qualche volta andare da lui a Bolzano.
– E il colonnello Wolf? – Egli si impensierì.
– Tu sei il comandante del reparto, procurami questa possibilità!
Mi aveva pregato così fervidamente che non avevo potuto rifiutare. L’avevo lasciato spesso andare a Bolzano ed egli ritornava ogni volta più contento.
– Sai – mi disse una volta – il professor Ljuba Maraković mi aveva obbligato ad un lavoro sistematico in tutto; ora vedo il valore di quelle parole, da quando ho cominciato a frequentare questo francescano.
Non posso negare che qualche giorno mi era difficile stare senza di lui, perché le circostanze diventavano sempre più difficili, tuttavia trovavo sempre il modo di lasciarlo andare a Bolzano e lo rifornivo di viveri. Ivan di solito si recava a Bolzano ogni domenica, ed io sono sempre riuscito a sottrarlo agli occhi del colonnello Wolf. L’ultimo tema che mi aveva sviluppato prima che lasciassi il reggimento, era: L’uomo deve essere al suo posto nella propria vocazione. Di questo argomento egli ha discusso molto con il padre francescano e mi diceva che questo sarebbe stato il tema preferito che avrebbe elaborato nella prassi dopo il ritorno dalla guerra; e che d’allora in poi avrebbe lavorato con un altro slancio e fervore secondo le indicazioni del prof. Maraković, perché solo adesso lo capiva, come anche l’organizzazione studentesca con la quale il nostro prof. Ljuba Maraković cercava di educare e formare i caratteri.
Nel frattempo per me le condizioni nel reggimento erano diventate terribili. Il…colonnello Wolf cercava di liquidarmi. Dovevo sparire. […]
Il mio congedo con Ivan fu triste. Egli mi amava come un fratello, perché anch’io l’avevo accolto come tale quando ho saputo che apparteneva all’organizzazione a cui anch’io appartenevo. Sebbene egli non fosse nato in una famiglia di contadini come me, per poter comprendere minutamente ogni gemito e fremito politico dell’anima del nostro popolo, egli tuttavia si era reso conto che bisognava con tutte le forze conservare in questo popolo la Chiesa, ed egli senza indugio si è inserito tra i combattenti che cercavano di conservare nella martoriata Croazia il concetto della Chiesa, perché questo concetto portava alla Croazia tutto ciò che essa aveva. Egli aveva una grande energia e carattere e tutto iniziava e terminava sistematicamente.
Il magro ufficiale aspirante, combattente delle bianche montagne, prima della mia partenza voleva darmi una tangibile prova del suo amore e mi regalò il suo libro più caro De imitatione Christi. Tutt’oggi conservo questo libro sul quale egli ha scritto di suo pugno: Merz Hans, Dosso del Fine, 19.II.1917. VI. I.T.D. III. Korps XI. Armee. Chi conosce il defunto Merz, sa che cosa voleva dire questo dono.
Ci siamo congedati con pena. Tante volte mi ha raccomandato di andare a trovare, se possibile, il professor Maraković, suo maestro. «A lui devo tutto» – diceva – e questo mi ha ripetuto anche nell’ultimo momento, quando sono sceso dalle bianche montagne nella valle, accompagnato da lui. […]
- Riferiamo questi dati perché il primo biografo di Merz, D. Kniewald, non conoscendo le lettere di Merz al prof. Maraković, pensava che le poesie su cui Maraković aveva espresso il suo giudizio a Merz, fossero di quest’ultimo; esse invece erano di Š. Cvitanović.
↩︎ - Il libro di Gabriel Palau S.I. El Católico de Acción uscì nel 1905; nel 1907 si era già alla quarta edizione, benché la terza fosse stata stampata in 20.000 copie. In croato fu tradotto dal vescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Ivan Ev. Šarić, e pubblicato a Zagreb da “Društvo Sv. Jeronima” (Società di San Girolamo) nel 1916 con il titolo Katolik na djelu, 192 p.
↩︎